NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 15 gennaio 2010

Il Giornale del 2 settembre 1982


"Il Giornale" in queste settimane sta ripubblicando le sue prima pagine più famose dal 1974 in poi.
Su un prima pagina ripubblicata oggi, quella del 2 Settembre 1982, si parla di Re Umberto.
Si tratta dell'ultima fase della sua vita , quella in cui la Sua malattia non può essere più nascosta ed in cui in Italia l'opinione pubblica si sensibilizza.
Non si sensibilizza una classe politica di infami che non avrà nessuna pietà.
Riportiamo l'articolo e riporteremo anche i prossimi anche quando, come in questo caso, non ne condividiamo il contenuto.

Se la Repubblica è forte sia generosa con Umberto


L 'opinione che si esprime nei partiti e sui giornali è quasi unanime nell'affermare che si debba consentire il ritorno in Italia di Umberto E' molto probabile che questo parere sia condiviso da una larghissima maggioranza di italiani L'art. XIII delle Disposizioni i transitorie e finali della Costituzione dopo aver precluso l'accesso alle cariche pubbliche e all'elettorato attivo o passivo a tutti i membri e discendenti di casa Savoia, vieta l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale «agli ex re, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi», cioè, oggi, a Umberto, Maria José e Vittorio Emanuele. Difatti, pur menomati nei loro diritti politici risiedono da tempo in Italia il duca d'Aosta, alcuni anziani prìncipi del ramo Genova, e possono venire fra noi quando vogliono le figlie di Umberto.
Queste disposizioni furono definite dai costituenti stessi come transitorie.
Rivederle, dunque, non dovrebb'essere impossibile neppure per le più bigotte vestali del testo costituzionale. Quel che è transitorio è destinato a declinare e scomparire assai più rapidamente del resto delle cose umane. O dovremmo farci ammaliare dallo scettico motto francese per il quale solo il provvisorio dura?
Ma il caso non è, puramente giuridico, anche se certe forme, in un Paese libero, devono essere osservate con scrupolo. Il caso del ritorno di Umberto è storico e soprattutto politico. Sembra ingiusto alla maggior parte di noi bandire ancora dal territorio italiano un uomo che non ebbe grandi responsabilità nelle, nostre tragedie e che si comportò con dignità, equilibrio e buon senso di fronte alla crisi finale del suo brevissimo regno. Né si deve omettere di confrontare gli errori gravissimi di casa Savoia, e soprattutto di Vittorio Emanuele III, con i , grandi meriti della dinastia nel promuovere l'unità d'Italia e nel contribuire a vincere la durissima guerra del '15. Per quanto si voglia distinguere, arzigogolare e piatire, un secolo di storia italiana, dall'alba del Risorgimento fino al referendum del 2 giugno, dimostra un intreccio strettissimo nel bene e nel male tra i destini di casa Savoia e quelli della nazione.
L'ingiustizia diventa ancora pia clamorosa quando si ferma lo sguardo sulla figura di Umberto lontano dalla moglie e dai figli, dignitoso nel sopportare le sventure, malatissimo. Ma l'aspetto umano, che tanto colpisce il pubblico, non è decisivo. Gli Stati non hanno il dovere di essere sempre compassionevoli. Anzi, quando sono in gioco i loro interessi supremi, hanno il dovere opposto, cioè di mostrarsi impassibili. La tenerezza, il sentimentalismo possono essere virtù private (ma talvolta non lo sono).
Altri, e più severi, devono essere i princìpi che reggono l'azione degli uomini di Stato.
La domanda che il Presidente della Repubblica, supremo custode della Costituzione, il governo, il Parlamento, al quale spetta la revisione dell'art. XIII, e l'opinione pubblica, devono porsi, al di là delle pur giuste ragioni storiche e sentimentali, può essere riassunta in breve. Ci si deve chiedere se il ritorno di re Umberto sia un pericolo per le istituzioni repubblicane. Credo che sia vero il contrario: un gesto di umana comprensione, che significhi per tutti la chiusura di una lunga e oramai defunta polemica, sarebbe un segno di forza da parte della Repubblica, che ne verrebbe consolidata.
Il discendente dei Borbone Orléans il pronipote di Luigi Filippo, che porta il titolo di conte di Parigi. è rientrato in Francia solo un seco1o dopo la cacciata dell'avo (1848). Prima dovette rinunciare alla rivendicazione del trono. Come avverrà, come potrà avvenire il ritorno di Umberto? Sono convinto che basti una sua lettera si Presidente della Repubblica: a condizione che l'esule non ripeta l'errore commesso per la traslazione delle spoglie di Vittorio Emanuele e di Elena, quando Umberto si indirizzò al presidente Pertini senza attribuirgli le qualifiche che gli spettano come capo dello Stato. La cortesia, il rispetto per le, forme, la sostanza stessa delle cose non esigono che, prima di tornare, o nell'atto di tornare, Umberto compia un gesto di profonda contrizione, che nessuno può chiedere a un uomo così dignitoso. Quel che si deve domandargli è di riconoscere, anche tacitamente, l'esistenza della Repubblica nella persona del suo Presidente. Tutti, tranne pochi fanatici, apprezzeranno la nobiltà pacificatrice del gesto e il suo significato storico.

di Domenico Bartoli

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