NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 8 aprile 2011

Il Re gesuita: un Savoia contro l'Unità


di Filippo Rizzi


Una figura che ha inciso come un’ombra ingombrante, con i suoi gesti, la sua condotta di vita devota e mistica, quasi bigotta, sulla storia di Casa Savoia e del Risorgimento. Lo è stato certamente Carlo Emanuele IV, re di Sardegna dal 1796 al 1802, avo di Carlo Alberto (di cui fu padrino di battesimo) e di Vittorio Emanuele II. Un personaggio dimenticato negli annali dell’araldica sabauda e rimosso dalla storia ufficiale del Risorgimento, ma che più di quarant’anni prima della proclamazione del Regno d’Italia – avvenuta il 17 marzo 1861 – dopo aver abdicato al trono, si fece gesuita e si spense a Roma il 6 ottobre 1819 nella casa di formazione dell’ordine a Sant’Andrea al Quirinale. 


Figlio di Vittorio Amedeo III e appartenente al ramo primogenito di Casa Savoia (dopo di lui e prima della salita al trono di Carlo Alberto, saranno re di Sardegna i suoi fratelli minori Vittorio Emanuele I e Carlo Felice) il «monarca che si fece gesuita», nato a Torino il 24 maggio 1751, sarà sovrano del piccolo Stato dal 1796 al 1802: un arco di tempo breve ma cruciale per la storia, perché proprio in quel periodo l’Europa sarà il teatro dei moti giacobini della Rivoluzione francese e dell’ascesa di Napoleone. Sotto il suo governo la corona perderà, esclusa la Sardegna, buona parte dei beni per mano del generale Bonaparte.


E a testimoniare ancora oggi la sfortunata sorte del sovrano sabaudo sono le parole di Vittorio Alfieri: «Infelice e purissimo principe». Molto devoto alla religione cattolica, sulla scia del suo avo il beato Amedeo IX, Carlo Emanuele divenne tra l’altro terziario domenicano ed ebbe come precettore il barnabita e poi futuro cardinale Giacinto Sigismondo Gerdil. Le testimonianze e le cronache del tempo raffigurano questo rampollo Savoia come uomo di salute cagionevole, «malaticcio», soggetto ad attacchi epilettici, restio a succedere al padre Vittorio Amedeo, con tendenze alla vita monastica: dedito più a «sgranare rosari» – come racconta lo storico Bruno Manunta – che a interessarsi degli affari del suo Stato. 
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