NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 1 aprile 2011

Lettera aperta a Bruno Vespa

di Giovanni Semerano, Commendatore della Corona

Nepi, 1 aprile 2011




Illustre Dottor Vespa,
la ringrazio per aver dimostrato, per l'ennesima volta, la sua conoscenza delle materie che affronta e il suo equilibrio di giudizio.

Mi riferisco alla trasmissione TV del 30 marzo quando non sono mancati i soliti, triti e barbosi luoghi comuni, nati dalla propaganda nazifascista-repubblichina, poi fatti propri dalla propaganda repubblicana, comunista, socialista-nenniana e azionista e, una volta "prevalsa" la repubblica, diventati la "verità storica" ufficiale del sistema, comodissima a tutti in quanto faceva del Re "fuggiasco" il capro-espiatorio di tutti i mali d'Italia. 
Come, d'altronde, è avvenuto nel giudizio sul 28 ottobre 1922 – quando nacque un governo di coalizione con ministri e sottosegretari popolari, liberali, social-riformisti, nazionalisti, tecnici e, ovviamente, fascisti; alla Camera, presieduta dall’On. Enrico De Nicola, i deputati fascisti erano 35; il Governo Mussolini ebbe 306 voti a favore, con la dichiarazione di voto del Presidente del Gruppo Popolare, On. De Gasperi.
Come è avvenuto e continua ad avvenire nella valutazione di tante altre vicende storiche, mai ricordando un solo merito di quel Re, dall'intesa personale e politica con Zanardelli e Giolitti - quando la lira faceva aggio sull'oro - a Peschiera, nel 1917, quando egli si impose per la difesa sul Piave e non sul Mincio come volevano gli Alleati (vedasi le memorie del Primo Ministro britannico David Lloyd George); per non parlare del 25 luglio: senza il Re Vittorio Emanuele III - come anche recentemente hanno ricordato Sergio Romano sul “Corriere della Sera” e Mario Cervi sul “Giornale” - l’Italia sarebbe finita come la Germania, rasa al suolo e divisa; e potrei proseguire citando molti altri eventi significativi… per finire al suo ultimo gesto, prima di imbarcarsi a Napoli per l’esilio di Alessandria d’Egitto dove morì (e dove è ancora sepolto!): la donazione al "Popolo italiano" della collezione di monete, dal valore incalcolabile (il Presidente Fanfani, nel 1983, parlò di una “stima” di 100 miliardi di lire; le allego in proposito la "memoria" del Marchese Fausto Solaro del Borgo resa pubblica nel 2010).   
Mai una volta, in quasi settant'anni ed anchel'altro ieri sera, che sull'8 settembre sia stato possibile fare una analisi almeno un po' distaccata dalla solita, stucchevole superficialità a senso unico (e, mi lasci dire, anche ignoranza: mi riferisco all'orecchiante "ballerino", ma non solo a lui...).  Gli analisti storici onesti fuori dal coro della “fuga” non sono mancati - dai monarchici Volpe, Artieri, Paratore, al liberale Arangio-Ruiz, al socialista Alfassio Grimaldi, al comunista Ernesto Ragionieri (che, sulla Storia d’Italia edita da Einaudi ha scritto “Quella lunga teoria di berline nere dirette a Pescara portava in salvo la continuità dello Stato”) – ma sono stati  sempre ignorati e “silenziati”. Vengono ignorate perfino le parole pronunciate nel 2000 dal Presidente Ciampi “L’8 settembre per me fu facile scegliere tra Salò e il legittimo Governo; non solo non morì la Patria, quel giorno, ma neppure lo Stato”; cito dal “Corriere della Sera” del 15 novembre 2000: Quando riuscì a raggiungere la Puglia, dove rientrò nei ranghi, Ciampi racconta di come avesse già chiara la legittimità del Governo del Re e di Badoglio, legittimità sostanziata dalla dichiarazione di Guerra alla Germania del 13 ottobre 1943. Nel ringraziare il Presidente Ciampi sento di dover rivolgere un commosso e ammirato pensiero all’87% dei soldati e sottufficiali e al 92% degli ufficiali che, prigionieri nei campi di concentramento nazisti, rifiutarono di aderire alla cosiddetta  repubblica sociale di Mussolini e restarono fedeli al giuramento al Re legittimo Capo dello Stato.
Lei sa quanto la stimava - e seguiva! - il Ministro Falcone Lucifero, con il quale io ho avuto l'onore di collaborare per 40 anni. Le invio il suo libro “Il Re dall’esilio” e un articolo che lei gli dedicò su “Il Tempo” del 21 marzo 1986.
Mi affido alla sua onestà intellettuale, ed esemplare professionalità, affinché i due anni - giugno 1944-giugno 1946 - in cui Re Umberto fu Capo dello Stato (con 4 governi: 2 Bonomi, 1 Parri, 1 De Gasperi) come Luogotenente Generale e come Re, con accanto Lucifero, non siano stravolti dagli ignoranti, in buona e, più spesso, cattiva fede. E sul Referendum - e sul suo epilogo "frettoloso"... - non si ripetano le solite "parole d'ordine", rispettando almeno il voto di quei quasi 11 milioni (secondo i "dati" di Romita sui quali, lo scorso 12 marzo su “Libero”, ha giustamente espresso le sue perplessità l’ex Presidente del Senato Marcello Pera) di italiani che votarono per la Monarchia facendo di Umberto II l'uomo - da solo, senza partiti e candidati al seguito - più votato nella storia d'Italia.
Un uomo che ebbe la stima e il sostegno di tante illustri personalità, da Churchill a Eisenhower, da Croce a Einaudi, da Guareschi a Montanelli, da Barzini a Pampaloni a Pannunzio… e potrei andare avanti a lungo, ma soprattutto ebbe, fino al suo ultimo istante di vita terrena, l’affetto di milioni e milioni di italiane e di italiani.
Infine, invoco rispetto pure per noi romani che al Re demmo una netta maggioranza, come tutto - tutto - il centrosud e le isole, ma anche, al nord, come le Province di Cuneo, di Asti, di Bergamo, di Padova, e molte centinaia di Comuni, senza dimenticare che non poterono votare l’Alto Adige, la Venezia Giulia, centinaia di migliaia di prigionieri di guerra (tra i quali i valorosi che rifiutarono…) non ancora rientrati in Patria.
Voglia scusarmi, caro Direttore, se mi sono permesso di disturbarla.
Grazie per l’attenzione e ogni migliore augurio di bene e di continuo successo per lei e per il suo impegno giornalistico!



                                                   Giovanni Semerano

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