NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 2 luglio 2011

Dov’è finito l’archivio Savoia?


di Nicola Tranfaglia

"Il Fatto Quotidiano", 29 giu. 2011




C’è un giallo aperto sull’archivio dei Savoia, arrivato nel 1993 all’Archivio di Stato di Torino, che accoglie i fondi plurisecolari della dinastia sabauda. Lo aveva denunciato Giorgio Calcagno, un giornalista del quotidiano torinese La Stampa, che il 21 febbraio di quell’anno scriveva: “Il 60 per cento del materiale che Umberto II voleva trasmettere allo Stato italiano non c’è. Molte altre carte non si erano trovate neppure a Villa Italia, a Cascais, dove l’ultimo re d’Italia le custodiva. E uno storico dell’Italia liberale, che insegna nell’Università di Bologna, Fulvio Cammarano, intervistando la direttrice dell’Archivio torinese, Isabella Massabò Ricci, aveva cercato, in quell’occasione, di approfondire il problema. Ma questo resta ancora, dopo 18 anni, del tutto insoluto: nel verbale di consegna da parte degli eredi di Umberto si afferma che sono stati collocati in archivio 217 dossier, ma ne mancano ancora 129 tra quelli che la commissione italiana mista, composta da Emilia Morelli, Vincenzo Gallinari e dagli esponenti di famiglie nobiliari vicini alla dinastia (il marchese di Suni, il dr Luigi Sella, il conte Niccolò Pisolini dell’Onda e Aimone di Seysell), aveva selezionato nella residenza reale in esilio. Ora è vero – e se ne parlò già allora tra gli appassionati – malgrado l’attenzione con cui la commissione italiana aveva condotto la ricerca a Cascais in quattro giorni di intenso lavoro nelle carte reali, non trascurando neppure la scrivania di Umberto II nel suo studio privato (ancora munita di sigillo) nelle carte depositate all’Archivio di Stato di Torino non c’è quasi nulla sul Novecento , sul fascismo, sulla luogotenenza di Umberto, sui rapporti tra Vittorio Emanuele III e Mussolini che sarebbero stati di grande interesse per gli storici italiani e stranieri dell’età contemporanea. La direttrice dell’Archivio torinese non ebbe dubbi, come non li ha mai avuti chi scrive: “Sono nelle mani degli eredi Savoia – ha dichiarato la Massabò Ricci – cioè in Svizzera”. E da lì – aggiungo io – non sono mai partiti né lo Stato italiano ha mai condotto in questi anni le azioni necessarie per costringere gli ultimi eredi a consegnare quelle carte preziose. Il nostro, lo diciamo da tempo, è un paese senza memoria ma, per quanto riguarda l’ultimo secolo, è molto difficile coltivarla, visto che gli archivi della monarchia per il Novecento non esistono e quelli della Chiesa, per quanto riguarda quel secolo, restano in buona parte chiusi come peraltro anche quelli statali, vista l’applicazione rigorosa del segreto di Stato che né i governi di centrosinistra, né tanto meno quelli di centrodestra hanno mai deciso di limitare, in maniera adeguata (come invece hanno fatto, dagli inizi del Ventunesimo secolo, gli inglesi e gli americani). Qualcuno dirà a questo punto: ma a noi che cosa importa degli archivi dei Savoia? Il fatto è che, sul piano della storia, mancano ancora molti tasselli per ricostruire la storia della dinastia nel nostro Paese. Questo è vero, tanto più che l’unico libro uscito sull’argomento è stato nel 2007 il volume I Savoia pubblicato dall’editore Einaudi (divisione da alcuni anni della casa Mondadori e proprietà dell’attuale presidente del Consiglio. Ci sono peraltro, altri editori come Laterza che dicono più volte no, in maniera pregiudiziale, ad autori scomodi per gli attuali equilibri politici, come ho potuto già verificare in maniera diretta e personale). Il libro einaudiano è stato curato da uno storico di vaglia come Walter Barberis che insegna nell’Ateneo torinese e ha curato, con Giovanni De Luna, le grandi mostre storiche per i cento-cinquant’anni dell’Unità d’Italia. Mi sarei aspettato, quindi, un libro esauriente sulla dinastia sabauda di cui continuiamo a sapere non molto soprattutto per la parte più vicina, se si esclude l’ottimo volume, sul piano della storia istituzionale, su La monarchia fascista di Paolo Colombo edito da Il Mulino. Ma questo purtroppo non è stato, giacché il volume a cura di Barberis contiene un saggio storico sintetico di una trentina di pagine del curatore (senza nessun cenno al problema archivistico scottante), un saggio di 40 pagine di Christopher Storr sugli equilibri internazionali nel Sei-Settecento, un saggio di 30 pagine di Geoffrey Symcox, un altro di Andrea Morlotti di 20 pagine sulla dinastia nei secoli dell’età moderna e sugli ordini cavallereschi , un altro di Paola Bianchi sulla Corte sabauda e una serie di brevi interventi di vari autori sui problemi di scienza, tecnologia e politica legati all’esperienza dinastica dei Savoia. Leggendo le 240 pagine che compongono il volume della Biblioteca Storica Einaudi, curato da Barberis, mi è venuto in mente un episodio che vissi quasi 30 anni fa in Giappone quando, in occasione di un seminario di alcuni giorni nel-l’Università pubblica di Tokyo, un collega di quel paese mi spiegò che fino a quel momento non esisteva una bibliografia storica attendibile e documentata su Hiro Hito, che era stato negli anni Trenta e Quaranta l’imperatore giapponese legato al regime militarista che aveva condotto il paese all’alleanza con la Germania e con l’Italia e alla catastrofe della Seconda guerra mondiale. Là c’era ancora un problema di veto reale, di maestà che non poteva essere lesa. E in Italia oggi ? 



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