NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 9 settembre 2012

La Monarchia Sabauda ed i problemi sociali XI parte


XI - LA REPUBBLICA DEL 1946

Il 25 luglio 1943, nell'intento di salvare la Patria dalla rovina suprema, Vittorio Emanuele III, prendendo spunto da un voto del Gran Consiglio del fascismo, revocò Mussolini e lo fece arrestare: il governo Badoglio, nominato dal Re, si assunse il compito di abrogare, con decreti legge, l'organizzazione costituzionale fascista.

L'8 settembre 1943, mentre I'Italia legittima firmava l'inevitabile armistizio con gli alleati, i tedeschi si accingevano a completare l'occupazione militare di gran parte della penisola, operazione iniziata in modo subdolo da tempo; al governo legittimo del Re si contrappose presto, nel centro e nel nord, quello della repubblica sociale italiana alleata e succube del nazismo.

Con R. D. n. 140 del 5 giugno, 1944, Vittorio Emanuele III, avversato dalla maggioranza dei partiti antifascisti, nominò Luogotenente generale del  Regno il Principe ereditario Umberto.

Nell'aprile 194i5, gli alleati, con la collaborazione del Corpo italiano di liberazione, e dei partigiani, molti dei quali fedeli al giuramento al Re e alla Patria e quindi più propriamente definiti:  «patrioti », completarono la liberazione d'Italia, scacciandovi ì tedeschi e facendo in breve crollare la repubblica sociale italiana.

Il 9 maggio 1946, Vittorio Emanuele III abdicò a favore del Principe Umberto, che salì al trono, con il nome di Umberto Il.

Il 2 giugno 1946 si :svolse un referendum istituzionale i cui risultati « ufficiali » provocarono la partenza del Re, preoccupato di evitare la guerra civile, e l'avvento della repubblica.

Questi i fatti fondamentali del processo storico per cui, dopo la caduta del fascismo, evento che tante speranze destò in un ritorno all'Italia monarchica e democratica nata dal Risorgimento, si giunse alla repubblica tuttora vigente. La repubblica del '46 non sorse sotto il segno del conformismo e dell'indifferenza di fronte alle questioni sociali; anzi, essa sembrò voler proseguire la gloriosa tradizione sociale della Monarchia sabauda. Lo dimostra la sua Costituzione, entrata in vigore il l° gennaio 1948, che proclama, all'art. 1, essere il « lavoro » il fondamento della « Repubblica democratica ». E l'art. 3: « . . . E' compito della Repubblica, rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese ». L'art. 4 dichiara che « La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto . . . ». Il Titolo 11: « Rapporti etico-sociali », contiene principi altamente sociali a favore della famiglia, della scuola e dei meno fortunati. Il Titolo III: « Rapporti economici », proclama la tutela del lavoro (art. 35) ; riconosce ai lavoratori il diritto ad una retribrizione adeguata al lavoro e alla dignità della esistenza umana, al riposo settimanale e alle ferie (art. 36); garantisce parità di retribuzione, a parità di lavoro, alle donne e ai minori (art. 37): riconosce il diritto al mantenimento e all'assistenza nel caso di eventi che limitino o annullino la possibilità di lavorare (art. 38); proclama il principio della libertà sindacale, della personalità giuridica per i sindacati registrati e della partecipazione di questi, in proporzione dei propri iscritti, alla stipulazione di contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce (art. 39); vincola la libera economia privata e quella pubblica a fini sociali (art. 41); -sostiene il principio dell'espropriazione di date imprese « a fini di utilità generale » (art. 43); autorizza l'imposizione di vincoli e obblighi della proprietà terriera (art. 44); riconosce la funzione sociale della cooperazione (art. 45); proclama che « la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende » (art. 46).

Questo, in sintesi, il grosso delle disposizioni a carattere sociale della Costituzione repubblicana: disposizioni però, è bene precisarlo a scanso di equivoci, a carattere programmatico e quindi praticamente inefficaci, se non sviluppate dalla legislazione ordinaria. E questa ben poco ha costruito di nuovo, perché scarsi sono stati i progressi nel campo delle assicurazioni sociali, non è stata ancora emanata la legge sindacale, né è stato regolato il diritto di sciopero. La stessa riforma agraria non ha affatto risolto il problema del pauperismo rurale, mentre si sa che gli enti di riforma hanno ingoiato molti miliardi per le loro esigenze di funzionamento.

La realtà sociale ed economica italiana ha avuto sostanziali miglioramenti, grazie soprattutto all'iniziativa e all'opera dei produttori e dei lavoratori, ma non è favola affermare che più accentuato s'è fatto il dislivello tra zona e zona, regione e regione, grossi e piccoli redditi.

Non mi dilungherò a descrivere la nostra situazione attuale; mi limito ad affermare che, se notevoli progressi economici ci sono stati, grazie al lavoro e alla disponibilità di beni strumentali più redditizi, il paternalismo, l'ingiustizia, la disonestà, la separazione sociale, la mortificazione dell'intelligenza e della buona volontà, la sete del facile guadagno, senza fatica, l'indifferenza verso i problemi della comunità e dell'individuo, etc., dominano oggi la realtà sociale italiana: essa è molto diversa da come prospetticamente la si immaginava, dopo la caduta del fascismo, dopo la fine della guerra, quando la grande maggioranza del popolo italiano respirava con gioia quell'atmosfera di libertà, sia pure ancora eccitata e polemica, che era mancata per troppi anni.

Ci, tornano alla mente le parole pronunciate dal senatore Merzagora, in una seduta che rimarrà a lungo, famosa nella storia del Parlamento italiano: « Onorevoli colleghi, così non si può andare avanti e, se il mondo politico italiano non ritrova rapidamente il piacere dell'onestà, tristi prospettive si aprono per il nostro avvenire »: parole che furono accolte, con le altre dette in tale circostanza, da alcuni malevolmente, ma dai più con entusiasmo presto spento nell'atmosfera dominante di conformismo e di rassegnazione.

In sintesi, la repubblica ha ormai dimostrato chiara incapacità a mantenere le promesse miracolistiche con le quali si era presentata al popolo, ingannandolo. Essa sta creando, tra se e l'Italia prefascista, monarchica e democratica, un solco che il ventennio dittatoriale non può da solo giustificare: il monito proveniente dalla vicina repubblica francese, degenerata dalle forme parlamentari, comuni a tanti 'Stati monarchici, ad un autoritarismo a questi estraneo, dovrebbe indurre ogni libero italiano a meditare, senza nulla concedere alla cecità delle passioni politiche.

(37) EMILIO FALDELLA: « Revisione di giudizi - L'Italia e la seconda guerra mondiale », Cappelli, 1960.

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