NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 7 ottobre 2012

Il Partito Nazionale Monarchico - IV parte

IL PROBLEMA ISTITUZIONALE  NEI CONGRESSI

Il Partito Nazionale Monarchico - perché partito che mandò nei due rami del Parlamento i suoi eletti - ha svolto una concreta azione politica non sottraendosi ad alcuno dei suoi compiti legislativi, come ci sarà dato di dimostrare.

Ma proprio perché se il mezzo legislativo impone gli adempimenti legislativi, il fine della battaglia monarchica esige la più larga trattazione, è necessario anzitutto richiamare le valutazioni fondamentali che nei Congressi del Partito ebbero la loro espressione nelle due mozioni presentate nel primo Congresso tenutosi al Teatro Quirino nei giorni 18, 19, 20 dicembre 1949 in Roma, e nel secondo tenutosi a Milano nei giorni 12, 13, 14, 15 dicembre 1954.

La mozione presentata al Congresso di Roma fu strettamente attinente alla questione istituzionale - non venne votata perché altro, come vedremo, fu il testo conclusivo, mentre la mozione presentata al Congresso di Milano ebbe la consacrazione del Congresso.

La mozione presentata al primo Congresso da chi scrive queste pagine così si esprimeva: « Il primo congresso del P.N.M.:
I.                vuole consacrato l'intuito politico, la dignità morale e storica di quanti, in ora grave della Storia d'Italia, rifiutarono di vederne inabissati la gloria, i dolori, gli errori col sacrificio senza rimpianto e senza speranze;
II.           ripete le ragioni della condanna della prova del 2 giugno: intempestiva, inattendibile, aberrante - per le sue stesse premesse - nelle sue stesse conclusioni;
III.      rivendica le ragioni morali, politiche, costituzionali della impostazione monarchica che, osservati lealmente i doveri della legalità, rivendica fieramente i suoi diritti di libertà;
IV.     afferma in cospetto alla realtà della situazione d'Italia nell'immediato dopo guerra che, quali che siano state le patite umiliazioni ed i danni, soltanto dal funzionamento dell'Istituto e dall'intervento del Sovrano scomparso andò dispersa la spaventosa catastrofe che si abbatte invece sul Paese nel quale l'esperimento dittatoriale importò le conseguenze estreme;
V.          denuncia il fallimento delle illusioni e la bancarotta degli inganni onde si era prestata ed ostentata malleveria in conseguenza del mutamento istituzionale;
VI.     afferma che, ad esasperare danni - per una parte inevitabili operò, con l'inutile delirio di colpevolezza ad opera dei governi della confusione repubblicana, la fatale inibizione a richiamare la enorme influenza, per i vantaggi decisivi per le Nazioni Unite, della data del 25 luglio e di quella, per altri riflessi mestissima, dell'8 settembre (date del decisivo intervento della Monarchia e del Re) cosi come contribuì alla sottovalutazione del contributo dell'Italia, ritornata nel solco delle sue tradizioni il tristo silenzio intorno all'azione dell'esercito fedele, risalito per tappe di eroismo e di martirio, e della Marina fedele, fin dal primo appello, al suo Re;
VII.    ricorda che, nell'ora della libertà intesa per la dignità comune, fu largo, eroico, di ideale coerenza il contributo dei fedeli al giuramento nella non dimenticabile lotta partigiana;
VIII.      impegna quanti credono nel fondamento morale delle battaglie ideali - nell'osservanza del diritto in anelito di giustizia, nella sostanza della democrazia - a chiedere il referendum sulla Costituzione, risultato di mercati elettorali e governativi, confusa, equivoca, già oggi disattesa quando non offesa nelle sue « proclamazioni », il referendum essendo la più caratteristica delle innovazioni costituzionali così che proprio da esso dovrebbe trarre la maggiore autorità la Costituzione;
IX.     avverte il dovere di collocarsi sul terreno politico immediato pur perseguendo il finale obiettivo della Restaurazione e a questo fine proclama che il P.N.M. non proponendosi critica sterile e negativa, non solo non si sottrarrà mai ai doveri sicuramente nazionali che la Patria richiedesse a tutti i suoi figli ma contribuirà alla soluzione dei problemi attuali e contingenti con la espressione della sua critica costruttìva;
X.          pertanto, pur non immemore del passato e delle responsabilità che vi si connettono, come ha ripudiato e ripudia legislazioni eccezionali e persecutrici, ripudierà ogni tentativo di escludere dalla collaborazione nazionale, e anche da intese politiche, quanti abbiano perseguito non comuni ed anche antitetici obiettivi e quanti non convengano in valutazioni di storia anche recente; parallelamente deciso a difendere - nell'ordine - la libertà degli opposti, rifiuterà qualsiasi tentativo che neghi diritti di libertà anche a propagande considerate nefaste, certo come è che in libertà si guariscono i mali stessi che ne possono derivare. - In relazione al programma.
XI.     afferma che, partitocrazia essendo negazione di democrazia, la partitocrazia soltanto potrà essere contenuta e corretta con riforma del metodo elettorale, cosi che se anche non riuscisse possibile ritornare al metodo uninominale per entrambi o per l'uno dei rami del Parlamento, dovrebbe quantomeno riformarsi la rappresentanza proporzionale, come attualmente congegnata, con provvidenze da stabilirsi introducendosi, fra l'altro, il voto aggiunto moralizzatore contro la fazione esclusivista e propiziatore dei riconoscimenti dei valori morali e ideali al di là del chiuso dei partiti;
XII.Sul terreno parlamentare denuncia l'equivoco di un'apparente coalizione che vive, per i tollerati che vi partecipano, in grama vita, mentre ripete che il 18 aprile rappresentò il concretarsi di reciproci inganni nella falsa allegazione dì un pericolo impossibile a verificarsi a meno di riconoscere la carenza del Capo dello Stato; il che avrebbe dovuto importare la confessione dell'errore della ingannevole impostazione repubblicana;
XIII.      Sul terreno politico richiama la formulazione del programma che in politica estera si ispira al proposito di rivendicare i diritti dell'Italia nel culto del sentimento nazionale che non è risentimento nazionalista ma fierezza, dignità e speranza, consentite anche ad un popolo uscito da una durissima prova e da cocenti sventure;
XIV.      Sul terreno sociale non teme la impostazione di riforme coraggiose attuate nelle ore migliori della Monarchia che coincisero con le ore più fortunate della proprietà - morale e moralizzatrice e delle classi popolari anche se sia illusorio, quando non ingannevole, premettere promesse assurde a ricostruita finanza, dove la ricostruzione esige proporzionali sacrifici, non folli depredazioni: umiliazione di realtà, verità, necessità discendenti dalla rivendicazione dei beni tradizionali;
XV.           Attende dalla restaurazione le garanzie del potere mediatore, moderatore, unitario ».

Come sopra ho ricordato detta mozione non venne approvata perché non venne sottoposta a votazione. Altra mozione conclusiva venne acclamata, ma ho creduto di doverla riprodurre onde, poi, nel corso della ulteriore esposizione, stabilire come il Partito Nazionale Monarchico non si discostò dalle linee indicate dalla mozione riprodotta, nutrendo di idee e di voti il suo atteggiamento in sede politica e parlamentare.

Invece, nel Congresso di Milano - all'inaugurazione del quale presenziò il Sindaco socialdemocratico di Milano prof. Ferrari che pronunciò nobili espressioni prima che pronunciasse un suo grande discorso il Segretario Generale on. Covelli (cosi come i1 Congresso di Roma era intervenuto l'allora Vice Presidente della Camera, il liberale on. Martino salutato al suo ingresso da chi scrive, come espressione del Parlamento « palladio di libertà »), venne votata la seguente mozione sul problema costituzionale: « Il secondo Congresso Nazionale del Partito Nazionale Monarchico, non oblioso delle premesse storiche, politiche, militari che hanno imposto al Paese il referendum istituzionale - consapevole delle condizioni nelle quali esso si è svolto il 2 giugno 1946 su parte del territorio nazionale, in parte ancora occupato anche militarmente da Potenze che avevano imposto le loro condizioni di soggezione, pregiudizievoli alla sovranità dello Stato italiano; considerato che il territorio sul quale il referendum ha avuto luogo nemmeno rappresentava il tutto del territorio nazionale (art. 1 del Decreto Luogotenenziale 25 giugno 1944 n. 151) quale è stato determinato per successive determinazioni pur imposte dal trattato di pace e da successive convenzioni che non significano rinuncia dell'Italia ai suoi giusti naturali confini e ai legittimi interessi consacrati dal lungo sacrificio, considerato che nemmeno si è concretata la osservanza del diritto alla espressione della volontà popolare per la Venezia Giulia e per la provincia di Bolzano (articolo 1 primo e secondo capoverso del Decreto Luogotenenziale 16 marzo 1946 n. 99); richiamata la violazione dell'universalità del suffragio del corpo elettorale, non identificato in allora nemmeno nella parte del territorio chiamato al voto il 2 giugno 1946 - e ciò in conseguenza del disordine anagrafico e per la certezza della lontananza di tanti italiani non restituiti alla Patria dai campi di concentramento dello straniero e dalle colonie e per la operata epurazione delle liste elettorali - per il che è mancato il « suffragio universale diretto » di cui all'art. 1 del D. Lgt. 25 giugno 1944 n. 151; richiamate tutte le violazioni inerenti ai limiti temporali che erano stati fissati ai poteri della Costituente che avrebbedovuto ritenersi « sciolta di diritto » al di là del termine massimo di un anno, secondo la norma dell'art. 4 del Decreto Legislativo Luogotenenziale 16 marzo 1946 n. 98; richiamata la formulazione delle norme per la più parte programmatiche della Costituzione ad elisione ed elusione del dovere fondamentale per una Costituzione repubblicana in punto rigidità delle norme soprattutto degli Istituti costituzionali; constatato che anche posteriormente alla promulgazione della Costituzione - e alla data del 27 dicembre 1947 - a distanza di otto anni dal 2 giugno 1946, non si è ancora provveduto a regolare istituti fondamentali e ciò in conseguenza di evidenti dissensi immediatamente e successivamente sopravvenuti ed aggravatisi tra quelli stessi che avevano dato luogo al fatto istituzionale e costituzionale; poiché cospicua parte dei coautori di detto fatto conclama inosservanza di norme costituzionali nel loro spirito informatore sino ad affermarlo capovolto, richiamando una legislazione - ad esempio di Pubblica Sicurezza e penale - contraddittoria ai principii costituzionali ambiziosamente anche se genericamente proclamati; poiché è universalmente riconosciuta la mancata disciplina ed attuazione di istituti fondamentali quali
il Consiglio Superiore della Magistratura, la Corte
Costituzionale, le Regioni (art. 104, 105, 106, 107, 108, 114 e seguenti; 131, 134 e seguenti), poiché l'art. 138 della Costituzione prevede la revisione della Costituzione e delle altre leggi costituzionali - non prodotto di Costituente ma di Parlamento – attraverso l'istituto pur esso non disciplinato del referendum;
nell'atto di non rinunciare ad ulteriori rilievi che si
richiamano al modo e al calcolo dei risultati stessi
del referendum del 2 giugno 1946 e alla denuncia
di norme transitorie in flagrante contraddizione con solenni enunciazioni programmatiche non consentita la interpretazione di revisione che si assume disposta nell'art. 139 della Costituzione (1) - riaffermata la propria fede nella libertà e nella lealtà del metodo democratico onde la sincerità della osservanza delle leggi - che qui si riafferma e alla quale il Partito si impegna - accompagna la speranza, il proposito, l'opera per il miglioramento delle leggi; proclama la esigenza storica, giuridica, politica che la Costituzione tutta venga sottoposta al referendum popolare a suffragio universale diretto di tutti i cittadini italiani ».

Nella economia di questo lavoro ho creduto di particolarmente sottolineare la impostazione della battaglia istituzionale sulla base della lealtà legalitaria e democratica, nella esaltazione sinanco del suffragio universale evocato a decidere, nell'ora che verrà, del problema prima costituzionale e poi istituzionale, secondo la volontà che sarà per manifestare a suffragio universale diretto tutto il popolo italiano nel suo territorio libero (proprio nel contrapposto alla umiliazione che al popolo italiano venne imposta dal tolle tolle del 2 giugno, dominato dal ricattatorio: o la Repubblica o il caos, o nell'edizione minore: o la Costituente o il caos). Ho creduto di ciò fare essendo che il Partito Monarchico non poteva ignorare la ragione prima della sua individualità partitica, il resto - nell'attesa dei verdetti della Storia e del popolo avendo importanza indubbia ma non costituendo la ragione sine qua non del suo costituirsi.

I documenti che sopra abbiamo riprodotto - il primo che non ha avuto il suffragio del Congresso, su di esso il Congresso non essendo stato chiamato a votare; l'altro avendo avuto il crisma del voto unanime - sono stati riprodotti proprio per la chiarezza di una impostazione di fine nella precisazione del mezzo - la via - per raggiungerlo. Col che il Partito Nazionale Monarchico è uscito dal generico di una semplicistica impostazione, quale quella romanticamente prospettata di un referendum, avulso dal tutto costituzionale comunque tracciato nella Costituzione - sull'art. 139; una specie di esame di riparazione della Monarchia a un non identificato « ottobre » dall'identificata sessione di giugno, colla sostituzione della Commissione di esame! (Nel giugno detta Commissione era stata presieduta da Giuseppe Romita, nel momento nel quale si fingevano affinità... repubblicane tra i collaterali di Pio IX, i discendenti di Garibaldi, gli assertori di Giuseppe Mazzini che, Poeta repubblicano cantava aggirantesi, l'alta fronte, il volto pensoso, « in giardini troppo ricchi di mirto » e gli impetuosi assertori che allora erano di Stalin: il complesso, cioè, di quanti votarono « repubblica » senza sapere quale repubblica volessero, a differenza dei monarchici - 10.719.284 - che votando Monarchia votarono sicuramente e solo Savoia).

Né mai il Partito Nazionale Monarchico consentirà con coloro i quali - tra gli altri slogans, sicuramente comodi nell'immediato - hanno coniato anche questo: « Alla Monarchia occorre pensare sempre, della Monarchia occorre non parlare mai », salvo per i riferimenti sentimentali, come se il problema, dalla soluzione non immediata, non fosse sempre presente soprattutto mentre dura e si aggrava, con la carenza, la crisi costituzionale.

Mai il Partito Nazionale Monarchico potrà consentire a formulare voti di nazionali sciagure, dalle quali potrebbe verificarsi il risorgere del Regno; proprio perché i regimi, come le istituzioni che nascono dalla disfatta, nascono male e rischiano di vivere peggio, il Sovrano che ha lasciato la Patria e il Trono per evitare spargimento di sangue, mai potrebbe pensare di ritornare - come altri ritornarono - sotto le bandiere dello straniero o nell'ora di sciagure che soltanto speranza di libertà e di migliore costume civile poterono consolare.

La impostazione costituzionale della battaglia fondamentale del Partito Nazionale Monarchico tornerà ad essere oggetto di esame e di precisazioni alla fine di questa trattazione proprio con riferimento alla situazione attuale e avvenire, ma sono già nella storia e nella cronaca - della vita politica italiana i segni impressi dalla attività del Partito Nazionale Monarchico dal suo sorgere ad oggi.

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