NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 31 ottobre 2012

Il Partito Nazionale Monarchico - VII parte


I fatti contrastarono mai con le parole?

Nel 1947 quando De Gasperi - sul quale pure pesava la vigilia del 2 giugno, cullate ingenue illusioni e preparato l'epilogo amarissimo (alternate equivoche espressioni, consentito il voto per la Monarchia nell'atto di disporre gli eletti repubblicani) - quando De Gasperi - sul quale pure pesava l'11 giugno e il triste e tristo poi – estromise, con qualche nota alla Mossadeq, i socialcomunisti dal Governo, i parlamentari del Partito Nazionale Monarchico non esitarono a concedere al Ministero quella fiducia che persino i socialdemocratici (appena separati dal P.S.I. di Nenni) avevano negato. Fu merito allora anche dei pochi deputati dell'ancor giovanissimo Partito Nazionale Monarchico - che apparivano illusi e sperduti - se venne reso possibile l'allontanamento dell'estrema sinistra dal potere.
Nel 1948 il gruppo parlamentare del Partito Nazionale Monarchico votò gli accordi internazionali che davano vita al Patto Atlantico e ribadì la sua posizione di fedeltà alla comunità occidentale.
Nel giugno 1950 il gruppo parlamentare del Partito Nazionale Monarchico presentava alla Camera una mozione sul problema di Trieste e del Territorio Libero invitando il Governo:
a) ad astenersi da trattative dirette con Belgrado;
b) a fare appello all'O.N.U. affinché, accertate le iniquità jugoslave nella zona B, venisse tolto a Tito il mandato su tale territorio;
c) a chiedere agli Alleati occidentali l'esecuzione della Dichiarazione tripartita del 20 marzo 1948 (che prometteva l'integrale restituzione all'Italia del Territorio Libero) riservandosi, in caso contrario, di denunciare il Trattato di pace. Era una proposta conforme alla ortodossia diplomatica e senza dubbio abile. Lo stesso Ministro degli Esteri Sforza la giudicò interessante. Tuttavia la maggioranza della Ca mera non approvò la mozione.
Nel marzo 1951 il gruppo del Partito Nazionale Monarchico nella Camera dei Deputati fu protagonista di una nuova clamorosa vicenda parlamentare, originata da un ordine del giorno - presentato dai deputati del Partito Nazionale Monarchico - che suonava sfiducia nel Ministro della Difesa on. Pacciardi. Sull'ordine del giorno monarchico si sarebbe potuta determinare, forse, una maggioranza; certo una condizione delicata avrebbe potuto crearsi, e ciò alla vigilia di una difficile missione diplomatica del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Esteri a Londra.
L'on De Gasperi fece presenti le difficoltà internazionali del momento e fece appello al patriottismo dei monarchici. Rispose l'on. Covelli: «La buona fede e il patriottismo dei monarchici non possono essere messi in dubbio e l'on Presidente del Consiglio lo ha or ora riconosciuto. Questo orgoglio non ci è nuovo: non vi è mai stata occasione, nella quale il governo della Repubblica abbia voluto mostrare tra gli Italiani unità di intenti nella difesa della civiltà, dell'integrità nazionale, e nella quale esso non abbia dovuto appellarsi a quelle tradizioni del nostro Paese delle quali noi monarchici siamo partecipi e siamo testimoni responsabili perlomeno quanto lo siete voi ».

L'on. Covelli ritirava l'ordine del giorno tra i vivissimi applausi del Centro e della Destra.
Nel 1953 lineare e coraggiosa fu l'opposizione dei monarchici alla nuova legge elettorale politica maggioritaria: nel Parlamento e nel Paese.
La Democrazia cristiana era stata plebiscitata nel 1948, il 18 aprile. Voler negare quale fosse stato il mandato che il corpo elettorale le aveva conferito non è possibile. La indicazione  chiara, estremamente chiara non era stata raccolta. Che l'on. De Gasperi volendo tener in vita malgrado la sua maggioranza un governo non monocolore, possa essersi urato al proposito di non stravincere - dopo il responso del 18 aprile può darsi e non si vuole negare quello che sarebbe stata una determinazione con la luce ideale del «fuggire la tentazione dello strapotere »; peraltro la verità è questa che, per la decisione dell'on. De Gasperi, la Democrazia Cristiana si sottrasse al compito che le era stato assegnato dalla maggioranza assoluta - in senso e per destinazione anticomunista - del 18 aprile: compito assegnatole dai mezzi della borghesia non sempre illuminata, come insegna recente e recentissima storia.

CONTRO DE GASPERI
Sta di fatto che, insorto il suffragio universale nel Paese, contro la legge maggioritaria negatrice di proporzionale, il Partito Nazionale Monarchico che aveva decisivamente contribuito a che non scattasse la trappola della legge che i suoi parlamentari avevano combattuto nel Parlamento, non poteva rinnegare la investitura ricevuta dagli elettori anche quando avesse potuto dimenticare l'asprezza della lotta fatta dalla D.C. dell'on. De Gasperi durante la campagna elettorale, con singolare predilezione, contro il P.N.M. La politica ha una sua onesta elasticità, ma non poteva consentirsi l'adesione immediata ad un esperimento quale quello che l'on. De Gasperi col suo ottavo ministero confusamente annunciava, dove l'espressione più cortese nei confronti del gruppo monarchico fu quello che egli «non lo conosceva »!


Un deputato monarchico, chi scrive, nell'annunziare il voto contrario del gruppo ebbe allora ad esprimersi così:
« Il 7 giugno ha rappresentato una data fondamentale per il costume civile e sia consentito a questa parte della Camera di rivendicare, nei confronti della parte opposta, questa benemerenza della quale dovrebbero esserci grati - nel profondo - coloro che siedono sui banchi della maggioranza, perché per merito nostro l'estrema sinistra non ha avuto la "esclusiva" di una giusta battaglia di legittimità ». Ed aggiungeva: « Occorre passare oltre il fatto elettorale per dire della interpretazione che ha dato luogo all'investitura dell'on. De Gasperi. Io ricordo le giornate tempestose che prepararono un grande evento. Fu allora che 300 deputati della Camera Italiana ebbero ad esprimere la loro solidarietà con un grande statista, che si va dicendo si sia rinnovato qua dentro; il che non credo e non se ne offenda alcuno. Giovanni Giolitti, dicevo, ebbe a ricevere allora da parlamentari italiani 300 biglietti da visita mentre il popolo gridava, nelle piazze, la guerra. Fu allora criticato il Sovrano (bestemmiato e pianto) perché aveva conferito l'investitura ad Antonio Salandra! Il 7 giugno non vi furono biglietti da visita di parlamentari, ma milioni di cittadini sono insorti contro chi aveva voluto ad ogni costo una legge ingiusta e dannosa a quelli stessi che se ne volevano servire! Se questo è avvenuto e se questo è certo, ella, onorevole De Gasperi (del quale ricordo nei miei confronti un atto incancellabile, in quanto fu l'unico a mostrar comprensione nelle giornate che videro il mio esodo dalla Democrazia cristiana), come non ha avvertito che non poteva essere lei l'indicato dall'esito elettorale a ricevere per il primo l'investitura? lo assumo non che non si potesse ritornare a lei ma che l'investitura non potesse esserle data immediatamente perché il 7 giugno non poteva essere interpretato cosi come è stato interpretato. Le interpretazioni che si potevano dare all'esito del 7 giugno erano due: sinistra o destra. Che significhino esattamente sinistra e destra non è dato, in verità, di stabilire. Passi ancora per la sinistra: lo si intuisce guardando i banchi che ci stanno di fronte. Ma quanto alla destra - magari estrema - non se ne dolga l'onorevole De Marsanich se dirò che non v'è una stretta parentela tra lui e il Conte Solaro della Margherita. Come non vi è molta parentela tra me, i miei colleghi e il Conte Camillo Benso di Cavour, ministro del Re. Come non vi è neppure parentela fra lui e l'onorevole Villabruna tanto è vero che questi ha lasciato i banchi della destra per lanciarsi su quelli del centro (naturalmente sinistro) perché il centro è posizione per più facili spostamenti».

Doveva, quindi, anche per una evidente ragione di carattere costituzionale rifiutarsi la fiducia alla investitura dell'on. De Gasperi. Né questo rifiuto determinino in fatto alcun danno (checché abbiano affermato poi, col consueto ritardo i tentati frantumatori 11 Partito Nazionale Monarchico) se, negata la fiducia a De Gasperi, la successione fu all'on. Pella, il quale, personalmente, non gravavano né le antiche responsabilità istituzionali né le recenti costituzionali che gravavano sull'on. De Gasperi!

A FAVORE DI PELLA
E sembra incredibile ma vero per gli obliosi (che peraltro non obliano affatto ma si fingono smemorati credendo che tutti, proprio tutti gli altri lo siano; il che è calcolo tra il torbido e l'ingenuo) sembra incredibile che si ignori, dai critici del voto contrario al Ministero dell'on. De Gasperi, che da tale voto contrario sorse il Governo dell'on. Pella, al quale il Partito Nazionale Monarchico diede il suo pieno appoggio: disinteressato e determinante. Il che prova che non spirito fazioso di opposizione preconcetta anche nei confronti della Democrazia cristiana, ma valutazioni concrete nazionalmente ispirate (l'acme della crisi per Trieste si determinò durante il Governo Pella) determinarono la condotta dei parlamentari dei Partito Nazionale Monarchico.
Che se il Governo Pella - che aveva suscitato nel Paese la più viva simpatia (proprio anche nelle larghe schiere di quella Democrazia cristiana che aveva attratto a sé i voti dei borghesi d'Italia il 18 aprile 1948) - non durò, anche per la eccessiva preoccupazione dell'on. Pella di definire transitorio il suo governo (una specie di Ministero balneare), ciò fu dovuto al siluro lanciatogli da Novara dall'on. Scelba e, forse, alla scarsa esperienza del Presidente del Consiglio, il quale evidentemente ignorava che il modo migliore per evitare crisi di governo è quello di non volersene andare! Verissimo è che successivamente alla crisi Pella il Partito Nazionale Monarchico non consentì ad altro esperimento monocolore, quello dell'on. Fanfani, ma a taluni autori e complici della sottrazione all'unità politica parlamentare monarchica che era in atto ritardatari della critica al «secondo autobus perduto», dimentichi, per finta malattia della memoria, che sull'autobus Pella i monarchici erano saliti senza compiti servili ma come graditi passeggeri sarà giusto ricordare che essi, i ritardatari patiti del Ministero Fanfani non assunsero affatto l'atteggiamento a favore del monocolore dell'attuale Segretario della Democrazia Cristiana, essendo, se mai, identificati - fuori di loro coloro che non opposero sdegnosi accenti al tentativo, che peraltro coincise con la estromissione dal Senato del Sindaco di Napoli!

Né storia antica e recente dell'unità democratica cristiana, dalle correnti che la fanno assomigliare ad un tripartito (se non tenesse pi' che il tessuto connettivo cattolico la protezione altissima che la ritiene, o la lascia ritenere, con tutti i pericoli inerenti, il Partito dei cattolici italiani) autorizzava, in quel momento, a definire che il monocolore di Fanfani si sarebbe, sostanzialmente, determinato in direzione diversa da quella che, per i cosiddetti orientamenti della socialità, fu la direzione del quadri o tripartito che sorresse gli esperimenti Scelba e Segni.

CONTRO SCELBA E SEGNI
Di necessaria evidenza la opposizione al Ministero Scelba sorto in funzione anti-Pella, epperò chiaramente polemico contro la Destra: che significava comunque il ritorno al quadripartito ed al suo spirito. Il Ministero Segni - senza i repubblicani, con i liberali e, va da sé, coi socialdemocratici - non poteva avere l'appoggio del Partito Nazionale Monarchico: e le battaglie che il gruppo del Partito Nazionale Monarchico combatte (basterebbe richiamarsi alla tenace opposizione alla legge di perequazione tributaria e, particolarmente, al famigerato articolo 17, sul quale provocò l'appello nominale) furono aperte, leali, coraggiose. Se, nei confronti del Governo presieduto dall'on. Segni - che decise lo sganciamento dell'I.R.I. dalla Confindustria così come la "irizzazione" dei telefoni, che i liberali avallarono, per tacere di altri provvedimenti legislativi - l'opposizione del Partito Nazionale Monarchico fu costante là dove erano in gioco provvedimenti legislativi di ispirazione illiberale, dannosi alla economia dello Stato proprio per la voluta soggezione allo stato della libera iniziativa, anche nei confronti del Gabinetto dell'on. Segni, l'opposizione non fu preconcetta ed irosa, ispirata al « tanto peggio tanto meglio » o obliosa del fronte unico nazionale nelle questioni di natura internazionale. Non mancò il voto favorevole del Partito Nazionale Monarchico agli accordi di Parigi, istitutivi dell'Unione Europea Occidentale, come poi al Trattato per il Mercato Comune anche se sempre, per la voce particolarmente dell'on. Cantalupo, vennero precisate le necessarie riserve e vennero coraggiosamente riaffermati i principi di una politica estera ferma e avveduta, che mai ha dimenticato la visione nazionale della Patria tradizionale inserita nel divenire del problema europeo e nella realtà della difesa dei regimi liberi, della civiltà occidentale.

Ma per i riflessi politici del Governo tripartito dove gli addendi del meno peggio, nella politica interna ed economica, concludevano sistematicamente al peggio appena si profilò, nella umiliante gara dei mercanteggiamenti, la possibilità di sottrarre il Paese al palleggiamento delle responsabilità tra i sodali del Governo che realizzando la politica del' mercato delle vacche concludeva alle vacche magre, senza nemmeno la possibilità di una chiara individuazione di responsabilità, il Partito Nazionale Monarchico si schierò per un Governo monocolore. E fu chiara - per la chiarissima dichiarazione dell'on. Covelli - la presa di posizione del Partito Nazionale Monarchico.

ZOLI
I monarchici in Parlamento perspicuamente motivarono il loro voto favorevole al Governo Zoli con le seguenti fondamentali ragioni:
I.                   Il monocolore di Zoli significava la fine dell'equivoco tripartitico e se anche non furono gradite talune affermazioni, peraltro non riferite particolarmente ai Monarchici - nel settore toponomasticamente di destra - ben più sostanzialmente gravi furono le affermazioni in certo senso vere e proprie denunce precisate nei confronti degli ex sodali degli esperimenti tri-partitici dalle quali scattarono le furenti reazioni vuoi (lei social-democratici vuoi dei liberali.
II.                 Col monocolore di Zoli avviandosi la legislatura alla sua fine - era opportuno, oltre che doveroso che la Democrazia Cristiana assumesse - partito di maggioranza relativa - la sua precisa responsabilità ad evitare che, nella imminenza della lotta elettorale, le fosse possibile ancora destreggiarsi da sinistra a destra, prendendo pretesto dalla commistione governativa per rendere impossibile la individuazione delle precise responsabilità di ciascuno e, quindi, soprattutto del partito di maggioranza relativa.

La fine della legislatura non ne è manifestamente l'inizio. L'ora della convocazione dei comizi è molto più impegnativa che non quella dalla quale si può, lungo cinque anni, evadere. E anche sotto il profilo della logica più stretta e della più stretta coerenza, non varrebbe stabilire paralleli tra situazioni diverse per pretendere di raffigurare anche crepuscolari incoerenze.
Un fatto è certo: oggi il governo Zoli opera a seguito di una investitura parlamentare, nella quale operò decisivamente il Partito Nazionale Monarchico.

Ma questo - ad onore, più che per la tranquillità del Partito Nazionale Monarchico - è altrettanto certo: il Partito Nazionale Monarchico non avendo assunta alcuna responsabilità di governo né avendo assunto impegno a sostenerlo (avendo, anzi, rivendicata la sua libertà nei confronti delle singole determinazioni legislative del Governo) ha determinato una chiarificazione almeno in partenza continuando a camminare per le tappe della sua costante chiarezza. Non voti sottobanco: voti-bandiera!

Dirà qualcuno, ha detto qualcuno che, con riferimento alla legge in corso di discussione sui patti agrari. un peggioramento si sarebbe verificato nei testi; ed è vero che, nel buio delle urne a scrutinio segreto, si sono determinate contro il parere del Governo delle variazioni peggiorative. Ma è anche vero che qualche emendamento recentemente votato era già stato annunciato dal cosiddetti sindacalisti della Democrazia Cristiana prima dell'avvento del Ministero Zoli, a bandiere spiegate; il che preannunciava quello che oggi si è determinato. Né si dica che, se si fosse verificato allora, tra gli auguri del tripartito, quello che oggi si è verificato, avrebbe funzionato la solidarietà ministeriale. Che cosa avrebbe questo significato? La crisi? Ogni dubbio è., su questo punto, autorizzato alla luce delle abdicazioni successive e progressive dei liberali al governò. Ma se anche questo fosse avvenuto, o sarebbe stata la crisi (quindi il nulla di fatto), o sarebbe stata la soggezione. Questa sarebbe stata anticipata sull'orologio (di qui la legge peggiorata). Se fosse stata la crisi forse che il tempo guadagnato contro l'approvazione della legge sarebbe stato determinante nei giorni? Perché, ancora, proprio in relazione al calendario sembra estremamente improbabile, proprio in conseguenza degli introdotti emendamenti contro il parere del governo, soprattutto per la natura e la portata dell'emendamento Miceli, che la legge sui patti agrari sia pure a tappe forzate possa giungere, dal Senato, di ritorno alla Camera prima della fine della legislatura. Che se anche la legge sui patti agrari (date per ammesse le inammissibili ipotesi di interessata e meschina formulazione liberale) dovesse passare con qualche peggioramento, è chiaro che si verificherebbe precisamente la condizione risolutiva dell'equivoco democristiano nell'ora delle decisioni elettorali (1).

La verità è questa: che almeno sino a questo momento non risponde ad esattezza che il governo Zoli sia stato più nocivo alle impostazioni liberali - e del Partito Nazionale Monarchico - di quello che certamente è stata la successione dei governi quadri e tripartiti: di derivazione ed osservanza ciellenista. Chi vivrà vedrà. E voterà. Nel frattempo la battaglia in corso intorno alla legge sul patti agrari vede le scrupolo attento, la critica vigile particolarmente di un deputato di nostra parte: l'on. Daniele.

(1) Alla data della pubblicazione del presente opuscolo  non è piú campo alle ipotesi: il fatto sta a smentire la  polemica «liberale»: la legge sui patti agrari non è passata nemmeno nella tollerante edizione « liberale »!

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