NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 30 novembre 2012

Il Partito Nazionale Monarchico - X parte bis


NON MERA INOSSERVANZA DI ORARIO...

Non è che il ritardo nella formulazione della Costituzione sia stata una mera inosservanza di orario, non sanzionata di decadenza nell'affermazione, interessante ma tanto discutibile, che essendo venuto a mancare l'altro alto Contraente la Costituente diveniva sovrana per il suo sopravvivere; il ritardo è stato il risultato di tutti gli equivoci, di tutti i reciproci inganni (dei quali taluno abbiamo identificato in qualche pagina precedente) che si sono collocati alla base del capovolgimento istituzionale. I precedenti diversi (oh, quanto diversi!) nella formazione dell'unità d'Italia; i precedenti diversi (oh, quanto diversi!) anche nei confronti dello stesso Fascismo, i precedenti diversi (oh, quanto diversi!) nei confronti dello stesso modus procedendi lungo la Liberazione; le stesse perplessità contrapposte al «o repubblica o caos» che durarono prima della determinazione politica repubblicana nell'ora estrema per la Democrazia Cristiana; la stessa contraddizione dei voti, nell'ora del referendum, nel chiuso della cabina (onde si vide, contro lo schieramento dei Partiti, la Monarchia dei Savoia voluta ancora dai confessati circa undici milioni di voti): il tutto di premesse peggio che equivoche contraddittorie, peggio che contraddittorie equivoche - sgomente talune adesioni alla Repubblica, le altre spavalde - non poteva che paralizzare prima il corso dell'Assemblea Costituente e rendere contraddittorio ed equivoco poi il dettato stesso della Costituzione. Attraverso il ritardo necessitato si arrivo al necessitato compromesso. All'inflazione delle parole corrispose l'occhiuta parsimonia delle precisazioni. L'ostentazione programmatica ebbe in corrispettivo la sgomenta prudenza e la timidità precettiva sia pure pomposamente paludata nel generico.

E il necessitato compromesso è oggi la crisi costituzionale in atto. E’ crisi di poteri.

Ma prima ancora è crisi di testi.
Persino qualche amico nostro si dispiace, quando si assume, tra gli altri da me, che l'attuale è veramente carenza costituzionale. Lo era prima che si determinassero avvenimenti recenti; lo è, in equivalente di confessione (che si definiva una volta regina delle prove: la variazione della definizione è oggi, pur essa, malagevole nella situazione istituzionale) per le risultanti ammissioni indirette, di uomini politici, non sospettabili di rimpianti monarchici come Luigi Sturzo. Che vuol dire la polemica - alla quale, poi, partecipano altri uomini politici come l'on. Malagodi, evidentemente nostalgico, non del Re e, quindi, della Monarchia, ma di un altro Presidente della Repubblica che, evidentemente la rafforzerebbe attraverso i suoi meriti personali e le sue cautele? Quando si assume che l'attuale esperimento indubbia la natura della Repubblica parlamentare, quando si adombra un tentativo di Repubblica presidenziale, o ci si rivolge ad un chiaro dettato della Costituzione ed allora si colloca la premessa nientemeno che ad una ipotesi dell'art. 90 o, se non si intende arrivare a tanto, si denuncia una equivocità nella Costituzione nientemeno che su di un punto fondamentale nella interpretazione dei poteri, del potere al vertice dello Stato! Ma a denunciare la carenza costituzionale basterebbe riferirsi - e denunciare - la mancata disciplina di istituti fondamentali, il cui modo di disciplina è la loro sostanza, la cui non disciplina significa peggio che inadempimento voragine, peggio che lacuna!


SE FOSSI REPUBBLICANO

lo vado dicendo che, se fossi repubblicano, direi (o perlomeno penserei) le stesse cose (perché si tratta veramente di res) che scrivo essendo monarchico. Diverso indubbiamente lo stato d'animo, forse l'accento, ma la sostanza dei rilievi sarebbe identica. Repubblicano mi dorrei per quanto si è determinato alla culla della Repubblica, impaziente di vederla crescere, desolato di vederla crescere quantomeno diversa da ogni tradizione repubblicana nella Roma papale. Monarchico e cattolico mi vien fatto di pensare senza necrofilia - ad una certezza di fede: stipendium peccati mors.

A dimostrare il fondamento dei rilievi - alcuni dei quali precedono, altri seguiranno - basterebbe, sotto il profilo dialettico, la constatazione delle accuse che i coautori della Costituzione si lanciano e rilanciano. Quando accade di leggere sui giornali di partiti sicuramente repubblicani (non della Repubblica politica ma dell'altra, quella socialista e comunista) che la Costituzione è offesa, non si può non rimanere quantomeno perplessi. Quale la interpretazione autentica? Quella degli otto milioni che sempre si sono contati non per la Repubblica di Mazzini, o quella dei « non milioni » che si decisero per la Repubblica nel Congresso di Roma della Democrazia Cristiana nella notte dal 26 al 27 aprile 1946? Sta, comunque, di fatto che i coautori estremisti accusano formalmente inosservata la Costituzione e rilevano ogni giorno la contraddizione fondamentale tra questa e le mantenute leggi del Ventennio.

Ma al di là del contrasto polemico nella interpretazione della Costituzione stanno i fatti delle mancate determinazioni costituzionali ancor più che dei violati termini per le attuazioni costituzionali. Anche là dove si è provveduto, si è provveduto con un ritardo che ha sapore beffardo nei confronti dell'altra accusa mossa al Sovrano per la sopraggiunta, dopo molti lustri, inosservanza dello Statuto che era del Sovrano anche se alla sua osservanza Egli si era impegnato col suo popolo.


IN RITARDO DI DIECI ANNI

Ci riferiamo alla Corte Costituzionale regolata dall'art. 134. Essa, Istituto fondamentale della Costituzione, è stata costituita col ritardo di dieci anni dall'entrata in vigore della Costituzione, mentre ne avrebbe dovuto essere coeva proprio per i compiti fondamentali che le sono stati assegnati, uno dei quali (quello di giudicare « sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica ed i ministri a norma della Costituzione ») mai avrebbe potuto durante dieci anni considerarsi possibile con riferimento alla VII norma transitoria che disponeva: « Fino a quando non entri in funzione la decisione delle controversie indicate nell'art. 134 ha luogo nelle forme e nei limiti delle norme preesistenti all'entrata in vigore della Costituzione »: tra le quali norme non era certamente quella di giudicare il... Presidente della Repubblica!

E’ vero che presentemente la Corte Costituzionale è costituita, ma le ragioni al ritardo alla sua costituzione possono essere ancora oggi considerate e, sotto il profilo della Costituzione rigida e dell'accusa mossa al non osservato - dopo decenni - Statuto, può essere perlomeno osservato che la ritardata inosservanza dello Statuto ha vista la immediata inosservanza della Costituzione, evidentemente squisitamente elastica!

Né mancò qualche onorevole trepidazione quando si trattò di applicare l'art. 83 della Costituzione per la nomina dei Presidenti della Repubblica e particolarmente dell'ultimo.

Dispone, infatti, l'art. 83 primo capoverso della Costituzione che alla elezione del Presidente della Repubblica partecipino « tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo delegato ».


CI SONO E NON CI SONO...

Ma come potevano partecipare tali delegati per ogni regione, le Regioni essendo ad un tempo costituite e non costituite? La partecipazione dei delegati per le Regioni che, per intenderci, chiameremo in atto (che non osiamo definire costituite perché ciò significherebbe affermare non costituite le altre che invece dovrebbero ritenersi costituite a sensi dell'art. 31 della Costituzione) ha alterato la consistenza del corpo elettorale? Certo la non partecipazione avrebbe creato una condizione abnorme, non rispettosa dell'art. 134! Il quale articolo 134 dice: « Sono costituite le seguenti regioni: Piemonte - Valle d'Aosta - Lombardia - Trentino Alto Adige - Veneto - Friuli Venezia Giulia - Liguria - Emilia Romagna - Toscana Umbria - Marche - Lazio - Abruzzi Molise - Campania Puglia - Basilicata - Calabria - Sicilia - Sardegna ». Quindi la Costituzione non si è proposta di costituire ben diciannove Regioni ma le ha costituite. Sennonché costituite non sono, salvo quattro: il che aggrava, non riduce la paurosa voragine costituzionale. Ad esasperare, inoltre, tanto assurdo dell'essere e non essere occhieggia pur essa beffardamente la undicesima norma transitoria, sempre della Costituzione, la quale dispone alla data naturalmente del 27 dicembre 1947: « Fino a cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione si possono, con leggi costituzionali, formare altre Regioni  a modificazione dell'elenco di cui all'art. 131 anche senza il concorso delle condizioni richieste dal primo comma dell'art. 132, fermo rimanendo tuttavia l'obbligo di sentire le popolazioni interessate ». Dal che si evince che tanto sono costituite le diciannove Regioni, che non sono costituite (il puzzle non è nostro!) e che sino al 1952 se ne sarebbero potute costituire delle altre! Così che, oggi, i trepidanti, i decisi contro l'esperimento, contro la  realtà regionalista si trovano in una drammatica situazione di diritto costituzionale anche in cospetto alla possibilità di una legge costituzionale che dovrebbe abolire ciò che non c'è ma... che c'è!

Come non bastasse, nella Costituzione è previsto - istituto fondamentale pur esso della ostentazione repubblicana democratica - il referendum; ma ecco che proprio in un suo recente articolo il più acuto - ed arguto - dei parlamentari democratici cristiani - l'on. Andreotti - ha dovuto riconoscere, a proposito della « controriforma del Senato » (questo doppione con provvidenze ortopediche per non farlo considerare doppione; oh infinita nostalgia del Senato del Regno!): « Piú rimarchevole è la disputa sulla assoggettabilità a referendum popolare delle modifiche approvate qualora nella seconda lettura in ambo le Camere non abbiano riportato il favore dei due terzi. Non esistendo la legge per le "modalità di attuazione" del referendum richiesta dall'art. 75 della Costituzione, può pensarsi che manchi la possibilità di ricorrere a questo strumento di democrazia diretta » (vedi giornale « Italia » 31 dicembre 1957).

A questo punto appare sinanco... ingeneroso rilevare, in aggiunta, che l'art. 104 dà per esistente «il Consiglio Superiore della Magistratura » che... non esiste! (1)

Se la economia della pubblicazione lo consentisse non solo i rilievi di che sopra offrirebbero miniera di considerazioni amare o gioiose, comunque di portata gravissima, ma si estenderebbero anche alla scarsa materia sicuramente regolata, quale, ad esempio, l'art. 7 che vide nella votazione alla Costituente il più strano degli accordi, nei quali forse venne rappresentato - per una parte di quelli che lo votarono - lo spirito del Cardinale Gasparri, in nessuno lo spirito di Benito Mussolini... Ironia e malinconia della Storia. (Né certamente la Costituzione della Repubblica ha potuto disporsi - come il Trattato e il Concordato tra la Santa Sede e l'Italia - « in nome della Santissima Trinità! »).

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