NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 17 marzo 2013

Hautecombe

Ricordo personale di un nostro caro amico


Hautecombe. Dopo ventun anni


Webzine: Come ventun anni fa il tempo è grigio, ma fortunatamente molto più clemente. La strada per raggiungere la Reale Abbazia non è piena di pullman. Anzi. E' vuota. Sistemare la macchina nel piccolo parcheggio non è un problema. Un cortese gendarme avvicinatosi alla macchina fa capire a gesti dove e come parcheggiare. Posto per 10 autobus, forse per venti macchine.

Scendo. Mi volto indietro a ripercorrere con la memoria un giorno di 21 anni prima. Quando non avevo un soldo in tasca ma lo stesso avevo voluto partecipare, indebitandomi moralmente con i miei, all'ultimo saluto a Re Umberto.

Allora c'era molta più gente: ragazzi, ragazze, anziani. Gente distinta e gente umile, di quelli venuti dalla campagna con il vestito buono, della domenica. Molti di questi portavano al bavero della giacca spilline multicolori. Solo dopo tanto tempo avrei capito che erano decorazioni al valore e che ogni colore diverso rappresentava una "campagna" diversa.

In tutti sommessamente il dolore dignitosissimo di aver perso qualcuno. Questo "qualcuno" era un uomo cui  la ventura, la sorte, la malasorte,  la storia avevano affidato il compito di raccogliere per un breve periodo l'eredità di una guerra persa e di pagarne senza alcuna responsabilità  ottima parte delle colpe.

Un uomo che era stato Re per soli 34 giorni. E che aveva scontato questa colpa per tutta la restante parte della sua vita. Andato in esilio a quarantadue anni non ne era più tornato. La repubblica, cui il Suo sacrificio aveva consentito di nascere senza ulteriori fardelli di sangue, ne negava praticamente l'esistenza. Lo privava della cittadinanza, lo privava dei suoi beni presenti nel territorio nazionale, lo privava dei suoi diritti di italiano. Lo privava dei suoi diritti di uomo. Alla faccia di tutte le convenzioni internazionali, delle carte di Helsinky sui diritti umani et cetera ceteraque. Il Re, tirannico personaggio, aveva dato agli italiani modo di scegliere. La repubblica si proclamava eterna. La repubblica sanciva l'irreversibilità della scelta fatta in un momento di grave  turbamento.

Il Re sceglieva l'esilio per amore. La repubblica glielo imponeva per odio. Pochi mesi più tardi dalla sua partenza, allorché  Vittorio Emanuele III stava per morire, la repubblica negò ad Umberto di sorvolare l'Italia per giungere in tempo a vederlo vivo. E non lo vide. Ma mai si lamentò di questo. "Ero preparato a questo".  Disse che faceva parte del suo mestiere di Re. Se ad altri era toccato in sorte di essere sovrani in momenti felici a lui era toccato in sorte di testimoniare la propria regalità in momenti tristi. E mai aveva abdicato al suo stato di Re. Re esiliato, solo, ma proprio per questo più grande che mai, nonostante le avverse fortune. A questo grande uomo, che la storietta della repubblica frettolosamente bolla come il Re di maggio, non fu concesso nessuno sconto. Nella parte finale della sua lunga malattia moltissimi si pronunciarono se fosse o meno giusto farlo rientrare. Lui che non aveva mai chiesto niente ma solo dato. Li ricordo quei tristi figuri che sentenziavano di repubblica nata dalla resistenza, di offesa alla costituzione, di assurde condizioni di abiura per consentire il ritorno. Sciacalli.
Ricordo un articolo di Umberto Eco su "La repubblica". Sosteneva  che a suo giudizio tra Umberto e le Brigate Rosse non vi era differenza, in quanto nessuno dei due riconosceva lo stato. Ne ho conservato il ritaglio. Chissà se ha mai fatto ammenda per tale enorme stupidaggine.

[...]


Nessun commento:

Posta un commento