NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 20 giugno 2013

"I monarchici e la politica estera italiana nel secondo dopoguerra" di Luciano Monzali, Andrea Ungari


La politica estera della “Repubblica dei partiti”, come lo storico Pietro Scoppola definì l’Italia in un libro del 1991, non può essere studiata prescindendo dalle decisioni e dalle preferenze dei movimenti politici organizzati. Soprattutto in un regime consociativo, infatti, dove “politics” e “policy” si stringono vicendevolmente senza lasciarsi un secondo, pesano i partiti di governo e anche quelli di opposizione, quelli grandi e quelli piccoli. Questo saggio, dunque, ha il merito di fare luce su un’area politica, quella monarchica, che ebbe un suo peso sulla scena italiana del Dopoguerra e che finora pareva trascurata dagli storici delle relazioni internazionali. Non che i legittimisti, negli anni in cui pure furono elettoralmente presenti (il risultato più significativo fu il 6,9 per cento dei consensi nel 1953), siano stati mai decisivi per le scelte del paese. Ma influenti e rappresentativi di un certo sentire dell’opinione pubblica e della diplomazia, questo sì. 
Andrea Ungari in particolare si concentra su tre fronti fondamentali di politica estera – il trattato di pace, la Guerra fredda e l’integrazione europea – studiando materiale archivistico vario e gli organi di partito come il quotidiano Corriere della Nazione e il settimanale Italia Monarchica, più il periodico d’area Governo. Sul trattato di pace, il Partito nazionale monarchico non smise mai di agire come pungolo del governo Dc, alternando critiche nette e non sempre consapevoli dei nuovi equilibri globali (vedi la totale contrarietà alla cessione delle colonie africane) a dosi di realismo e moderazione (quando ogni passo in più nel processo di integrazione atlantico ed europeo veniva visto come l’occasione per rinegoziare i confini dell’Italia con la Yugoslavia o rivedere i limiti imposti alla possibilità di armarsi).

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