NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 3 gennaio 2014

ARISTOCRAZIA DEL PENSIERO E FORMA ISTITUZIONALE

Convegno Unione Monarchica Italiana, Napoli, 16/11/2013  
Giovanni Vittorio Pallottino
Il periodo che stiamo vivendo appare segnato dalla mancanza di prospettive, in breve dal vuoto della speranza, quello che induce tanti nostri giovani qualificati, molte diecine di migliaia ogni anno, a cercare una strada all’estero. Sono impietose al riguardo le recenti analisi di Luca Ricolfi (La Stampa, 14 ottobre 2013), che parla una Italia dove nulla cambia ormai da tempo, e di Ernesto Galli della Loggia (Corsera, 20 ottobre 2013), che spiega come il nostro Paese sia stia perdendo, disfacendosi lentamente. Il quadro complessivo è dunque ben diverso, diciamo anzi opposto, a quello vissuto nei primi decenni del Regno d’Italia, dove le speranze di costruire una nazione trovavano rispondenza nei fatti, con progressi straordinari in tutti i campi come ha magistralmente illustrato Domenico Fisichella nel suo libro Dal Risorgimento al Fascismo (Carocci, 2012).
 Uno dei dati di fatto più preoccupanti è che, mentre la ricerca scientifica continua ad essere sottofinanziata, il nostro sistema industriale perde un pezzo dopo l’altro, procedendo sulla strada della deindustrializzazione, come ha documentato anni fa Luciano Gallino nel saggio La scomparsa dell’Italia industriale (Einaudi, 2003), anche in settori dove l’Italia emergeva. Prima l’informatica, dopo la scomparsa di Adriano Olivetti, poi la chimica, l’acciaio (Terni e ora ILVA), gli elettrodomestici, l’alluminio (Alcoa), Ansaldo, Telecom, Alitalia. E tutto il resto del settore manifatturiero in crisi anche per l’avanzata della globalizzazione e del made in China.
Ma dove stanno, dove erano, le elite culturali che avevano piena nozione della pericolosissima strada seguita dai governi per molti decenni di seguito? Cioè coloro che si rendevano conto dell’improvvisazione alla base di politiche non meditate, oscillanti fra abbandoni di posizioni di preminenza e spreco di risorse per improbabili salvataggi  o costruzione di cattedrali nel deserto. Arrivando, nella sostanza, ad affidare la politica industriale del Paese agli interventi estemporanei dei sindacati, della magistratura o peggio ancora alle sollevazioni popolari alla base del Nimby.
Dove erano dunque queste elite culturali? Sostanzialmente in silenzio forzato, dato che nelle vicende politiche della nostra sfortunata repubblica le esigenze del momento, per motivi elettorali, hanno sempre dominato sugli interessi nazionali a più lungo termine, In buona sostanza perché si considera inutile fare favori alle generazioni future, quelle che oggi non votano.
Del resto le elite culturali della scienza, della tecnologia e dell’impresa non sono rappresentate neppure laddove la costituzione repubblicana, mantenendo, sia pure assai limitatamente, una norma dello Statuto Albertino, prevedeva appunto la presenza di questi personaggi nel senato. E a questo proposito possiamo fare un piccolo esercizio di analisi applicata alla storia politica del nostro Paese.
Ricordiamo allora che il Senato del Regno era vitalizio e di nomina regia, e che in base all’art. 33 dello Statuto, i senatori potevano essere scelti fra gli appartenenti a determinate categorie, una delle quali riguardante i membri dell’Accademia reale delle scienze, poi Accademia dei Lincei, un’altra Coloro che con servizii e meriti eminenti avranno illustrata la Patria.
Scorrendo l’elenco dei membri del Senato del Regno, nel secolo che va dal 1848 alla sua soppressione a seguito del mutamento istituzionale, si rimane impressionati dal numero e dalla qualità dei personaggi. Accanto ai molti esponenti delle lettere e delle arti, da Manzoni a Verdi (che si autoqualificò scherzosamente come “Suonatore del Regno”), e delle scienze umane, da Maffeo Pantaleoni a Benedetto Croce, Giovanni Gentile e Luigi Einaudi, sono particolarmente numerosi i rappresentanti delle scienze matematiche, fisiche e naturali e delle scienze mediche.
Fra i matematici  troviamo Ulisse Dini, Giuseppe Colombo, Vito Volterra, fra gli astronomi Giovanni Schiaparelli. Fra i fisici: Antonio Pacinotti, inventore della dinamo, Carlo Matteucci, Augusto Righi, il geofisico Luigi Palmieri, Pietro Blaserna (predecessore di Corbino nella direzione dell’Istituto di fisica dell’Università di Roma), Orso Mario Corbino e Antonio Garbasso.  Fra i chimici: Stanislao Cannizzaro, e Giacomo Ciamician. Fra i medici: il premio Nobel Camillo Golgi, il tisiologo Eugenio Morelli, l’inventore dello pneumotorace Carlo Forlanini, Antonio Cardarelli, Giuseppe Bastianelli e numerosi altri.
Ma vanno ricordati anche i senatori prescelti fra i personaggi operanti nell’ambito delle scienze applicate e delle tecnologie, come Guglielmo Marconi, l’elettrotecnico Galileo Ferraris, padre del moderno motore elettrico, l’agronomo genetista Nazzareno Strampelli, il fisico Guglielmo Mengarini che realizzò la prima trasmissione a distanza dell’elettricità in corrente alternata, e l’ingegnere Piero Puricelli a cui si deve la concezione delle moderne autostrade e la loro prima realizzazione in Italia.
Tutto ciò significa che la camera alta del Regno poteva  avvalersi della presenza e del consiglio di personalità dotate di altissima qualificazione nelle più diverse discipline scientifiche e tecnologiche. E  il punto veramente essenziale è che queste personalità erano pienamente libere di operare secondo i loro intendimenti, non essendo legate a mandati elettorali.
La carica di senatore non era certamente un titolo di facciata, puramente onorifico.  Gran parte di questi personaggi svolsero infatti ruoli attivi, assumendo incarichi importanti, anche a livello di governo, esercitando potere decisionale soprattutto nei settori dell’istruzione pubblica, della medicina e in generale della scienza; determinando le direzioni di sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica e creando nuove istituzioni. A tal proposito, va ricordato il grande matematico e fisico Vito Volterra, padre della moderna ecologia matematica. Perché ebbe un ruolo  essenziale nella costituzione nel 1923 del Consiglio Nazionale delle Ricerche, del quale fu il primo presidente. E anche l’opera dell’agronomo Nazzareno Strampelli per la creazione dell’Istituto Nazionale di Genetica per la Cerealicoltura, che portò a migliorare grandemente la resa delle coltivazioni del grano.
Più nota, anche grazie agli sceneggiati trasmessi in Tv negli anni scorsi, è la vicenda del direttore dell’Istituto di Fisica dell’università di Roma Orso Mario Corbino (1876-1937). Senatore del Regno nel 1920, ministro della Pubblica Istruzione e poi dell’Economia Nazionale nei primi anni Venti, Corbino ha il grande merito di aver chiamato Enrico Fermi all’università di Roma, istituendo per lui la prima cattedra di Fisica teorica in Italia, e di aver contribuito in modo decisivo alla creazione della “scuola di via Panisperna”. Le scoperte di questo gruppo di giovanissimi aprirono la porta a sviluppi determinanti della fisica nucleare e condussero successivamente, per opera di Fermi, alla prima dimostrazione dello sfruttamento pratico dell’energia nucleare, attuata a Chicago nel dicembre 1942. Ma qui è opportuno ricordare come Corbino, egli stesso fisico di indubbio valore, non disdegnasse, come del resto vari altri studiosi del tempo, di occuparsi di questioni applicative, fra le quali rammentiamo l’impegno per favorire lo sviluppo della produzione idroelettrica: quel “carbone bianco” che per decenni, come già ricordato, avrebbe garantito all’Italia piena autonomia nell’approvvigionamento dell’energia elettrica. Tuttavia il ricordo dei meriti di Corbino non evitò, nei primi anni ’80, che la nostra proposta di intitolargli un liceo scientifico, l’attuale liceo Talete di Roma, venisse respinta dagli insegnanti, evidentemente influenzati dallo spirito del “sessantotto”.
La creazione di una scuola scientifica di grande rilievo come quella dei fisici di Roma, grazie al ruolo istituzionale del promotore, non fu certamente una eccezione. La vicenda del fisico Antonio Garbasso (1871-1933), per esempio, è per molti versi parallela a quella di Corbino. Sindaco di Firenze e anch’egli senatore, negli stessi anni ‘20 del secolo scorso Garbasso chiamò Enrico Persico a insegnare fisica teorica a Firenze e creò la meno conosciuta, ma assai importante, “scuola fiorentina di fisica” con personaggi quali Bruno Rossi e Giuseppe “Beppo” Occhialini.  Studiosi che diedero contributi essenziali agli studi sui raggi cosmici, nel settore di ricerca che va oggi sotto il nome di “astroparticelle”, sfiorando entrambi il Nobel, che avrebbero pienamente meritato.
Osserviamo ora che tutto ciò avveniva in epoca assai lontana, fra un secolo e mezzo e un secolo addietro, quando l’importanza della scienza e della tecnologia nella società era incomparabilmente inferiore a quella di oggi. Pensiamo soltanto ai problemi dell’energia, dell’ambiente e del clima, all’innovazione tecnologica per lo sviluppo del sistema industriale e alle delicate questioni sollevate dai progressi delle scienze biologiche e mediche, che si pongono attualmente e a cui è arduo trovare soluzioni efficaci. Eppure a quel tempo, come abbiamo appena visto, il ruolo degli uomini di cultura, e in particolare degli scienziati, era, anche a livello istituzionale, decisamente assai più rilevante dell’attuale. Con ricadute preziose per l’Italia.
E oggi? Sappiamo che il senato repubblicano è sostanzialmente elettivo e che fra i senatori eletti annovera, e ha annoverato, valenti studiosi, sebbene estremamente pochi.  Nella costituzione del 1947 resta tuttavia una traccia delle norme del precedente Statuto Albertino, rappresentata nell’art. 59, che recita: Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. E che pone dunque un limite, peraltro variamente interpretato negli anni, al numero dei senatori a vita che possono essere nominati per meriti speciali.
Esaminando le informazioni raccolte sul sito del Senato troviamo che dal 1948 al 2012, a fronte di 31 nomine, vi è stato spazio soltanto per due scienziati - il matematico Guido Castelnuovo nel 1949 e, ben 52 anni dopo, il premio Nobel Rita Levi Montalcini nel 2001, che ha visto riconosciuti i suoi meriti solo alla veneranda età di  82 anni – e per un tecnologo, Sergio Pininfarina nel 2005. Qualche maggiore considerazione si riscontra per gli esponenti delle scienze umane, delle lettere, delle arti e dell’industria. Ma lo spazio maggiore è stato trovato per la categoria dei politici, che sono ben 16 sul totale di 36, a cui vanno aggiunte le 10 nomine di diritto riguardanti gli ex presidenti della repubblica, che rientrano in una diversa norma costituzionale.
E’ molto significativo osservare però che, nei decenni dell’epoca repubblicana, le scelte presidenziali hanno subito una evidente deriva, in quanto via via sempre più orientate a vantaggio dei politici rispetto agli esponenti della cultura e in generale della società civile. Fra i primi a ricevere la nomina a senatore, nel periodo1949-1950, troviamo infatti il già ricordato matematico Castelnuovo, il musicista Toscanini, lo scultore Canonica, lo storico Gaetano De Sanctis, l’economista Jannaccone e il poeta Salustri (Trilussa), cioè nessun politico. Nel 1991, invece, vennero nominati quattro politici (Spadolini, Andreotti, De Martino e Taviani) e un esponente dell’industria (Gianni Agnelli). In realtà una inversione di tendenza si registra con le recentissime nomine (2013) da parte del presidente Napolitano di due scienziati, il fisico Carlo Rubbia e la neurobiologa Elena Cattaneo, e dell’architetto Renzo Piano. 
Merita comunque ricordare una esperienza che risale all’epoca della presidenza Cossiga (non ancora “picconatore”). Quando incontrò un muro di gomma e si risolse in nulla il nostro suggerimento al segretario generale del Quirinale Sergio Berlinguer di proporre al Presidente la nomina a senatore del fisico Edoardo Amaldi, scienziato di primissimo ordine e persona di straordinario e disinteressato impegno civile oltre che di grande umanità e saggezza.
La perdita di status della scienza a livello istituzionale si riflette inevitabilmente nella società. E i risultati li ritroviamo nella deriva antiscientifica in atto ormai da tempo, quella che ci allontana sempre più dal mondo moderno. Che impedisce di fare ricerca sugli OGM, castrando il sistema agroalimentare, che si oppone al nucleare rinunciando ad affidarci all’industria nazionale per ricorrere invece all’industria straniera per il fotovoltaico e l’eolico, provocando tra l’altro costi abnormi per le forniture di elettricità, che si oppone alla TAV pur proclamando di lottare contro il trasporto su gomma, che combatte la ricerca medica su pretesti animalisti arrivando alla violenza nei confronti degli studiosi come nel caso Garattini, che impedisce la valorizzazione dei rifiuti urbani imponendone l’invio all’estero con una perdita valutata in 4 miliardi l’anno.

E voglio ricordare, per concludere, altri due elementi che segnano la crisi di prospettive che si accompagna alla perdita del senso dello stato e alla decostruzione della Nazione. Da un lato il crollo demografico, per cui siamo incamminati sulla strada dell’estinzione, e dall’altro la continua crescita, negli anni, della parte di territorio nazionale controllato effettivamente dalla malavita organizzata- Che è resa palese, per fare un esempio recentissimo, dall’episodio riguardante la partita di calcio Nocerina-Salernitana. 

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