NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 1 marzo 2014

Il Regno d'Italia da Brindisi a Salerno: 8 Settembre 1943 - 4 Giugno 1944

Prima parte della conferenza tenuta dall'Ingegnere Domenico Giglio per il circolo REX il 23 Febbraio 2014


L ‘arrivo  a  Brindisi - 10  settembre  1943

La  corvetta  “Baionetta”, della  Regia  Marina, scortata  dall’ incrociatore  “Scipione  Africano”, gettando  l’ancora  alle  15  del  10  settembre  1943, nel  porto  di  Brindisi, portava  con  il  Re  Vittorio  Emanuele  III  ed  il  Capo  del  Governo, Maresciallo   d’ Italia  Pietro  Badoglio, la  legittimità  dello  Stato  Italiano, assicurandone  la  continuità e  l’Ammiraglio  Rubartelli, comandante  della  Piazza, che  sul  molo  attendeva  sugli  attenti  e  salutava  militarmente  il  Re, rappresentava  a  sua  volta  la  fedeltà  al  giuramento  per  il  “bene  inseparabile  del  Re  e   della  Patria“, che  la  Regia  Marina, sulle  cui  navi  non  fu  mai  ammainata  la  bandiera  tricolore  con  scudo  sabaudo  e  corona   reale, aveva  osservato  dimostrando   che  lo  Stato  esisteva  e  resisteva,  e  pagando  per  questo  un  prezzo  altissimo  con  l’affondamento da  parte  di  un  bombardiere  tedesco, della  nave  ammiraglia  della  “Flotta  da  Battaglia”, la  corazzata  “ Roma “, con  tutto  lo  Stato  Maggiore, il  suo  Comandante  Del  Cima  ed  il  Comandante  in  Capo  della  Flotta, ammiraglio  Carlo  Bergamini.
Iniziava  così  quello  che  impropriamente  è  stato  chiamato  “Regno  del  Sud”, dal  titolo  dell’ omonimo  libro, uscito  a  Roma , alla  vigilia  del  Referendum, nel  1946, editore  Migliaresi,   con  prefazione  di  Manlio  Lupinacci, liberale  e  monarchico, autore  Agostino  degli  Espinosa, testimone  oculare  degli  avvenimenti  narrati, libro  ancor  oggi  fondamentale  per  chi  voglia  conoscere  gli  eventi  di  quei  mesi, fino  al  4  giugno  1944, data  della  Liberazione  di  Roma, ricco  di  documenti  volutamente  ignorati  da  quasi  tutte  le  pubblicazioni  successive, perché,  come  ha  giustamente  osservato  Fabio  Andriola, giornalista  e  storico, in  un  articolo nel  settantesimo  anniversario  di  questi  eventi, mentre  sempre  più  numerose  sono  le  pubblicazioni  sul  movimento  partigiano  e  sulla  repubblica  sociale , vi  è  “..una  striminzita  pattuglia  di  volumi, alcuni  dei  quali  nemmeno  molto  recenti, su  quello  che  è  stato  il  Regno  del  Sud …”, che  in  realtà  era  sempre  il  Regno  d’Italia, sia  pure  ridotto  inizialmente  a  quattro  provincie  pugliesi, auspicando  che  “…sarebbe  tempo  che  anche  chi  militò  al  Sud  possa  ritrovare  chi  gli  restituisca  voce  e  dignità.”
Ebbene  grazie  ad  Espinosa  ed  a  pochi  altri  testi  noi  possiamo  seguire  quasi  giornalmente  il  lavoro  lento, ma  costante  svolto  in  mezzo  ad  ostacoli  nazionali  ed  internazionali, politici  e  militari, interni  ed  esterni, del  governo  installatosi  a  Brindisi   “con  un lapis  ed  un pezzo  di carta”, e della  presenza  operosa  del  Re, che  già  all’indomani, 11  settembre, dalla  Stazione  Radio  di  Bari, purtroppo   poco potente  e  soprattutto  poco  conosciuta  nel  resto  dell‘Italia, poteva  precisare  in  un  Suo  breve  messaggio  agli  italiani  i  motivi  del  suo  trasferimento, e  non  fuga, in  una  zona  libera  del  territorio  nazionale, “…per  la  salvezza  della  Capitale  e  per  potere  pienamente  assolvere  i  miei  doveri  di  Re” terminando …”che  Dio  assista  l‘Italia in  questa  ora  grave  della  sua  storia!“.
Questo  dopo  che  la  mattina  dello  stesso  giorno  il  Re  si  era  recato  a  visitare  le  fortificazioni  della  città, accolto  con  affetto  da  soldati  ed  operai  e  dalla  popolazione  che  aveva  appreso  del  Suo  arrivo. E  queste  visite  ed  incontri  su  alcuni  dei  quali  ritorneremo  successivamente  furono  una  attività  costante  del  Sovrano   e  delle  quali  esiste  pure  una  modesta  documentazione  fotografica, particolarmente  significativa  perché  oltre  ai  militari, si  vedono  finestre  delle  abitazioni  imbandierate, come  a  Trani, il  7  ottobre, ed  insieme  con  il  Re, anche  le  autorità  religiose. Ed  il  fatto  che  la  stessa  documentazione  fosse   scarsa  e  poco  conosciuta  è  la  prova  della  parzialità  di  tante  ricostruzioni  storiche, tese  a  denigrare  la  figura  del  Sovrano  ed  a  sminuire  l’ azione  per  costituire  nuove  unità  regolari  del  Regio  Esercito  che  partecipassero  alla  liberazione  del  territorio  nazionale   dalle  truppe  germaniche. E  proprio  quella  stessa  mattina  dell’ 11,  il  Comando  Supremo  dell’Esercito  dava  l’ ordine  a  tutti  i  comandi  di  respingere  con  le  armi  i  tedeschi  e  “…a  Brindisi, nella  pineta  del  Collegio  Navale, venne  celebrata  una  Messa  al  campo, per  gli  allievi  dell’ Accademia  Navale, giunti  il  giorno  prima   (10  settembre ) …da  Venezia   sul  piroscafo   “Saturnia “… ed   al  termine  della  funzione  gli  allievi…. intonarono  l’ Inno  Sardo , che  implorava  da  Dio  la  salvezza  del  Re…”    
Così  Radio  Bari  diventava  l’ unico  mezzo  per  raggiungere  il  resto  dell’ Italia  per  cui  era  Badoglio, che  a  sua  volta  aveva  ricevuto  un  caloroso   messaggio  del  Primo  Ministro  inglese  Churchill  e  del  presidente  degli  Stati  Uniti  Roosevelt, incitante  gli  italiani  a  “dare  il  loro  aiuto  in  questa  ondata  di  liberazione”  ad   avere  “fede  nell’ avvenire”  ed  a  marciare “a  fianco  dei  vostri  amici  americani  ed  inglesi  nel  movimento  mondiale  verso  la  libertà.” , a  rivolgersi  il  successivo  13  settembre  agli  italiani    per  una  prima  spiegazione  delle  vicende  che  avevano  portato  all’ armistizio, temi  che  Badoglio  stesso  avrebbe  illustrato  più  dettagliatamente  nel  successivo  messaggio  trasmesso  il  15  settembre  e  pubblicato  il  giorno  successivo  sulla  “Gazzetta  del  mezzogiorno”, di  Bari, unico  giornale  esistente, dalla  necessità  dell’ armistizio, alle  responsabilità  germaniche, riaffermando  la  legittimità  del  nostro  atteggiamento  e  del  Governo, che  proprio  in  quei  giorni  riceveva  le  dichiarazioni  di  fedeltà, di  tutte  le  rappresentanze  diplomatiche  italiane  all’ estero, escluso  logicamente  quella  di Berlino, prova  anche  questa  della  vitalità  dello  Stato, della  legittimità  del  Governo  del  Re, il  cui  riconoscimento  internazionale veniva  confermato  dai  pochi  paesi  rimasti  neutrali, quali  l’ Argentina, il  Portogallo, la  Spagna, la  Svezia, la  Svizzera  e  la  Turchia, dato  che  erano  state  interrotte  precedentemente  al  25  luglio  le  relazioni  diplomatiche  od  eravamo  in  stato  di  guerra  con  ben  44  paesi.
Nel  frattempo  arrivavano  a  Brindisi, i  componenti  della  Missione  Militare  angloamericana, fra  cui  era  già  Stone, che  poi  ne  divenne  capo  all’epoca  del  referendum, con  i  politici  Murphy, americano, e  Mac  Millan, britannico, futuro  Primo  Ministro  conservatore, con  i  loro  primi  incontri  con  il  Re  e  Badoglio, la  loro  iniziale  arroganza  che  nel  tempo  sarebbe  andata  modificandosi  in  rispetto, per  cui  il  Mac  Millan poteva  dichiarare, un  anno  e  mezzo  dopo, alla stampa  italiana, il  25  febbraio  1945, quasi  a  consuntivo: “…anche  in  quei  primi  giorni ( settembre  1943 ) , il  concetto  di  un  governo  italiano  indipendente  fu  tenuto  in essere  e  da  quel  momento  tutti  i  nostri  pensieri  furono  diretti  a  ricostruire  per  mezzo  di  quel  governo, l’Italia  come  una  nazione  democratica. “   
Purtroppo,  le  accuse  violente  di  “tradimento” della  Corona, lanciate  il  18  settembre  da  Monaco   di  Baviera, richiedevano  una  immediata  articolata  risposta  del  Maresciallo  Badoglio che, da  Radio  Bari, il  successivo  19  settembre  effettuava  una  sintesi  storica  di  tutti  gli  eventi  della  guerra  dal  10  giugno  1940  al  25  luglio   1943, riaffermando  la  necessità  dell’ armistizio, di  cui, in  fondo, era  convinto  lo  stesso  Mussolini, dopo  il  Convegno  con  Hitler  a  Feltre, del  18  luglio 1943, e  ricordando  la  lettera  rispettosa  che  lo  stesso  gli  aveva  indirizzato  nella  notte  tra  il  25  ed  il  26  luglio, Badoglio  dovette  anche  tenere  un  discorso  esplicativo  sugli  avvenimenti  del  25  luglio, agli  ufficiali  del  Regio  Esercito, a  San  Pietro  Vernotico  ed  il  Re  volle  indirizzare  il  25  settembre  un  proclama  ai  “Marinai  d’ Italia“  dove  dava  atto  agli  stessi  di  aver  eseguito  “…in  perfetta  disciplina , alle  condizioni  dell’armistizio, chiesto  ed  accettato  per  il  supremo  interesse  del  paese..”  ed  aggiungeva  “..Ho  condiviso  tutta  la  profonda  amarezza  della  vostra  partenza  ed  ho  offerto   con   voi  alla  Patria  questa  nuova  dura  prova  di  dedizione  e  sacrificio..”  terminando:  “Marinai  d’ Italia, dimostrate  a  tutti, quanto  ogni  italiano  può e  sa  dare  per  la  libertà  e  la  salvezza   della  Patria. “Il  Re   avrebbe  poi, l’ 11 ottobre, a  Taranto, passato  in  rivista  la  flotta  ivi  presente.
Si  avvicinava  intanto  la  data, il  29  settembre,  di  un  incontro  molto  importante, per  la  sottoscrizione  del “Lungo  armistizio“. Infatti  a  Cassibile, il  3  settembre, era  stato  firmato, dal  generale  Castellano,  in  nome  del  Governo  il  “corto”  armistizio  contenente  le clausole  militari, per  cui  incombeva  come  una  “spada  di  Damocle“ la  firma  di  questo  secondo  documento  con  una  serie  di  articoli  impositivi. In  questo  periodo  il  Re  aveva  nuovamente  parlato  agli  italiani  da  Radio  Bari, il  24  settembre, questa  volta  molto  più  a  lungo, ricordando  nuovamente  i  motivi  del  trasferimento  per  “…evitare  più  gravi  offese  a  Roma, città  eterna, centro  e culla  della cristianità  ed  intangibile  capitale  della  Patria”, esaltando  l’ azione  e  la fedeltà  delle  Forze  Armate, aprendo  il  Governo  alle  forze  politiche  ricostituitesi, rivendicando  i  valori  del  Risorgimento   con  queste  frasi: ”…facciamo  che  la  Patria  viva  e  risorga… seguitemi, il  vostro  Re  è  oggi, come  ieri, come  sempre  con  voi, indissolubilmente  legato  al  destino  della  nostra  Patria  immortale.“
Così  il  28  settembre  il   Maresciallo  Badoglio, insieme  con  il  ministro  della  Marina, ammiraglio  De Courten, entrambi  in  uniforme, si  imbarcavano  sull’ incrociatore   “Scipione  Africano”, con  la  nostra  bandiera  al  vento, con  meta  Malta, dove  erano  attesi  dai  generali   Eisenhover  ed Alexander  e  dall’ammiraglio Cunningham, che  il  precedente  23  settembre, a Taranto  aveva   già  concluso  con  De  Courten,  il  “gentlemen’s   agreement”, sull’ impiego  della  flotta  italiana, che  permetteva  alla  stessa  di  riprendere  il  mare  con  la  fierezza  di  un  tempo. A  questo  incontro  parteciparono  anche  il  Ministro  dell’Aeronautica, gen. Sandalli  ed  altri  nostri  capi  militari  giunti  invece  con  un  “S.79”.
Lasciamo   il  racconto  dell’ incontro   ad  Espinosa  : “…Verso  le  dieci  (del  mattino)  tutti  insieme  (Badoglio  e  gli  altri  capi  militari) si  imbarcarono  su  di  un  motoscafo” che  li  portò  sotto  il  bordo  della  corazzata  inglese  “Nelson”. “ Il  maresciallo (Badoglio) così, mise  piede  sulla  nave (per  primo), mentre  i  compagni  cominciavano  a  salire  ( la  scaletta ). Una compagnia  di  “marines”  rese  gli  onori e  i capi  militari  inglesi  ed  americani  gli  vennero incontro  solennemente … al  centro  stava  il  generale  Eisenhover…. Il  maresciallo  Badoglio  si  rivolse  dignitosamente  ai  vincitori… e  tutti  si incamminarono  verso  il  quadrato  della  grande  nave, il  maresciallo  Badoglio  alla  destra  di  Eisenhover, gli  altri  distribuiti  secondo  le  norme  dell’etichetta, ma  la  perfetta  cortesia  non  diminuiva  l’apprensione  degli  italiani”, che  ne  avevano  buoni  e  giustificati  motivi. Gli  articoli  del  “lungo  armistizio”, sottoposti  per  la firma  a  Badoglio, erano  numerosi  e  pesanti, più  di  quanto  potesse  essere  preventivato, ma  alla  fine, dato  che  alcuni  articoli  in  quei  venti  giorni  erano  già  da  considerarsi  superati, ed  altri articoli  erano  ineseguibili, l’armistizio  lungo  fu  firmato, accompagnato  però  da  una  impegnativa  lettera  di  Eisenhover  nella  quale  veniva  precisato  che  tutti  gli  articoli  potevano  essere  modificati  con l’intensificarsi  della  collaborazione  e  cooperazione  italiana   alla  guerra  di  liberazione, come  meglio  precisato  e  definito  nel  successivo  incontro  delle  due  delegazioni  al completo. Al  termine  dell’incontro  Eisenhover  richiese  che  per  meglio  definire  la  nostra  collaborazione  l’Italia  dichiarasse  guerra  alla  Germania  al  che  Badoglio  rispose  correttamente  essere  la  dichiarazione  prerogativa  esclusiva  del  Re,  al  quale  Egli  avrebbe  riferito  al  ritorno  a Brindisi, che  avvenne, sempre  con  lo  “Scipione”  la  mattina  del  30, dopo  che, nel  pomeriggio  del  29, Badoglio  aveva  passato  in  rivista  la  Flotta  Italiana  all’ ormeggio  fuori  di  Marsa  Scirocco, il  che  è  particolarmente  significativo  come  lo  fu  il  comunicato  ufficiale  del  Quartier  Generale  Alleato  che, dopo  aver  elencato  i  nomi  dei  partecipanti  all’ incontro, concludeva: “…il  principale  argomento  di  discussione  è  stato  il  metodo  per  rendere  più  efficienti  gli  sforzi  militari  italiani  contro  il  comune  nemico  tedesco. Alcune  unità  delle  forze   militari  italiane  di terra, di mare  e dell’aria  sono  già  impegnate  attivamente  contro  il  comune  nemico“.
Del  resto  Eisenhover  aveva  personalmente, già  in  precedenza, contestato  le  condizioni  punitive del  “lungo  armistizio”, definendole  “accordo  disonesto”, come  scrive  Mac  Millan  nelle  sue  memorie, ma  le  stesse  gli  furono  praticamente  imposte  da  quel  “Gabinetto  di  Guerra”, inglese, che  era  sì  presieduto  da  Churchill, ma  che  aveva  come  vice  il  leader  laburista  Attlee , che  sarebbe  diventato  “premier” nel  1945, e  come  Ministro  degli  Esteri, il  conservatore  Eden, la  cui  acredine  verso  l’ Italia  era  nota. Questa  presenza  laburista  al  governo  e  gli  interventi  alla  Camera  dei  Comuni   di  numerosi  deputati  laburisti, sia  contro  Badoglio  ed  i  suoi  collaboratori, ritenuti  non  sufficientemente  antifascisti, sia  a  favore  di  Sforza, rientrato  dall’ USA, costringevano   Churchill  ad  intervenire  per  riconfermare  la  fiducia  nel  Re  e  nel  governo  Badoglio  e ad   esprimere  invece  la  propria  sfiducia  nello  Sforza, che  vantava  i  suoi  anni  di  esilio  dorato  prima  in  Francia   e  poi  negli  Stati  Uniti. Significativo  a  tale  proposito, anche  perché  tipico  di  quel  sottile  umorismo  inglese  è  questo  scambio  di  battute  tra  il  deputato  laburista  Thomas, uno  dei  più  accaniti  avversari  del  Governo  di  Brindisi, che  lodava  la  lotta  del  conte  Sforza  contro  il  fascismo, al  quale  Eden  risponde: ”Il  conte  Sforza   durante  tutto  quel  periodo  si  trovava  negli  Stati  Uniti. Deve  aver  trovato  molto  dura  la  battaglia  contro  Mussolini.”  Ed  alla  replica  del  Thomas  che  lo  Sforza  era stato  anche  in   Francia, Eden  replicava: ”La  battaglia  contro  Mussolini  deve  essere  stata  altrettanto  dura da  lì”.
Pure  altalenanti  erano  gli  articoli   ed  i  commenti  della  stampa  angloamericana  sulle  vicende  italiane, anche  se  il  “The  Times”, all’epoca  il  più  prestigioso  giornale  inglese, dava  atto  al  Re  ed  a Badoglio  della  loro  azione  ed  il  9  ottobre  scriveva: “Il  Re  suscita  un  grande  lealismo  verso  la  sua  persona  dalle  truppe  e  dalla  popolazione  contadina (sic). Egli  ha  ricevuto  manifestazioni  d’affetto  nelle  città  e  nei  villaggi (sic)  dell’ Italia  Meridionale  e  dalle  truppe  presso  la  zona  di  combattimento  dove  si  è  mostrato  di  sua  iniziativa.”
Si    giungeva  così  finalmente, il  13  ottobre, alla  dichiarazione  di  guerra  alla  Germania, consegnata  rocambolescamente  a  Madrid  dalla  nostra  Ambasciata  alla  Ambasciata  Tedesca  e  si  entrava  così  ufficialmente  nella  “cobelligeranza“  con  gli  angloamericani, cobelligeranza  che si  cercò  più  volte, senza  riuscirvi, di  trasformare  in  una  vera  ed  anche  formale  “alleanza”, anche  perché  contro  l’ Italia, si  erano  cominciati  a  muovere  francesi  de gaullisti, jugoslavi  e  greci, che  non  erano  stati  tenuti  informati  dagli  angloamericani  su  tutte  le nostre  vicende, come  pure, fino  a  quel  momento  l’ Unione  Sovietica  era  stata  semplice  spettatrice.
In  precedenza, e  precisamente  il  21  settembre, si  era  mosso  personalmente  il  Re, quel  Re  che secondo  i  politicanti  antifascisti  pensava  solo  ai  suoi  interessi  ed  a  quelli  della  Monarchia, con  una  lunga  lettera  personale  al  Re  d’Inghilterra  ed  al  Presidente  degli  Stati  Uniti, per  chiedere  un  miglioramento  nel  “cambio”  della  moneta, a  favore  delle  condizioni  di vita  della  nostra  popolazione  ed  il ritorno  del  potere  civile  del  governo, oltre  alle  provincie  pugliesi  e sarde, alle  altre  provincie  meridionali  già  liberate, lettera  nella  quale  riaffermava  la  volontà  Sua e  del  Governo  di  ritornare  al  regime  parlamentare,  non  appena  ciò  fosse  stato  possibile  e  di  intensificare  il  nostro  impegno  militare  per  “raggiungere  al più  presto  Roma“  e  spingersi  anche  con  le  nostre  truppe  verso  l’ Italia  settentrionale. Le  lettere  ricevettero  risposte  entrambe  cortesi, forse  di  più  quella  di  Roosevelt, ma  in  parte  elusive, e negativa, sul  fatto  di  una  possibile  alleanza, quella  di  Giorgio  VI. In  ogni  caso  è significativo  il tono  rispettoso  nei  confronti  del  Capo  di  uno  Stato, purtroppo  vinto.
 Torniamo  al  13  ottobre : l’annuncio  ufficiale  della  dichiarazione  di  guerra  alla  Germania  veniva  dato  con  un  discorso  di  Badoglio  ed  il  successivo  18, il  Re, a  sua  volta  dirigeva  un  proclama  ai  soldati, ed  intensificava  le  sue  visite  nei  centri  della  Puglia, da  Trani   a  Foggia, a  Manduria  ed  a  Lecce, mentre  il  principe  Umberto  si  recava  il  19  a  Napoli, accolto  con  entusiasmo  dalla  popolazione  ed  il  successivo  20  ottobre  in  Sardegna. A  sua  volta  il  Ministro  della  Marina, De  Courten, riteneva  opportuno  riunire  tutti  gli  ufficiali  della  Regia  Marina, rivolgendo  agli  stessi  un  discorso  molto  ampio  ed  articolato  che  toccava  tutti  i  punti  sui  quali  potevano  essere  sorti  dei  dubbi, dalla  assoluta  necessità   “… di  deporre  le  armi  quando  tutte  le  possibilità  di  difendersi  siano  esaurite  ed  il  paese  minaccia  di  precipitare  in  una  irreparabile  rovina..”, per  cui  “…la  richiesta  e  la  conclusione  dell’armistizio  da  parte  dell’Italia  sono  quindi   pienamente  giustificati, e  rispondono  alla  più  esigente  morale  e  non  possono  essere  contestati  da  nessuno, anche  se  è stato  alleato” . Aggiungeva  la  sua  sorpresa  per  la  comunicazione  dell’ 8  settembre, per  cui  si  prospettavano  la  soluzione  di  attenersi  lealmente  alle  clausole  dell’ armistizio  che  prevedevano  il  trasferimento  della  flotta o  la  soluzione  dell’ autoaffondamento. De  Courten  precisava  che  nella  scelta  di  eseguire  le  clausole  armistiziali, perché  l’autoaffondamento  non  avrebbe  fatto  altro  che  peggiorare  la  sorte  futura  dell’ Italia, gli  era  stato  di  conforto  il  colloquio  nelle  prime  ore  della  notte  del  9  settembre  con  il  Grande  Ammiraglio  Thaon  di  Revel, che  gli  aveva  confermato  che  “ questa ( dell’ accettazione ) è  la  via  da  seguire“, e  così  pure  si  era  pronunciato  in  un  colloquio  telefonico  l’ammiraglio  Bergamini , che, dice  sempre  De  Courten  “stimavo  altamente  per  il  suo  senso  di  abnegazione  e  per  la  sua  capacità  di  assumere  ogni  più  alta  responsabilità”. All’ ammiraglio  si  deve  infatti  un  messaggio  alla flotta  prima  della  partenza   da  La  Spezia  di  una  elevatezza  morale  e  di  un   valore  storico  assoluto ,  forse  ineguagliato: “…questa  via  noi  dobbiamo  prendere  ora  senza  esitare, perché  ciò  che  conta  nella  storia  dei  popoli  non  sono  i  sogni  e  le  speranze  e  le  negazioni  della realtà, ma  la  coscienza  del  dovere  compiuto  fino  in  fondo , costi  quello  che  costi..”  ed  a  Lui  costò  la  vita! Da  queste  parole  potete  valutare  l’ abisso  che  separa  l’ onore  militare  da  quello  di  certi  politici  nello  stesso  periodo storico! De  Courten, che, come  già  detto,  aveva  raggiunto  un  accordo  di  collaborazione  con  l’ ammiraglio  Cunningham, riportava  agli  ufficiali l’apprezzamento  che  lo  stesso  ammiraglio  aveva  avuto  nei  confronti  della  Regia  Marina, concludendo  il  suo  discorso  con  la  necessità  della  recente  dichiarazione  di  guerra e  con  un  appello  agli  ufficiali  “..che  pensino  solamente  all’ adempimento  del  proprio  dovere”  e  “ ..stiano  a  fianco  dei  propri  equipaggi“  che  hanno bisogno  di  sentirli  vicini “ e  che questo  doveva  essere  il  loro  “più  alto  dovere “.
Accenti  invece  più  politici  aveva   avuto  Badoglio  parlando  agli  ufficiali  del  Regio  Esercito, il  15  ottobre  in  agro  di  San  Giorgio  Jonico , anche  per  controbattere  le  accuse  che  pervenivano  dal  Nord, e  per  preparare  le  basi  per  la  partecipazione  di  un  primo  nucleo  dell’ esercito   alla  battaglia  d’Italia  a  fianco  delle  armate  angloamericane.

Nel  frattempo  si  risvegliava  anche  la  vita  politica, con  la libertà  di  stampa  decretata  il  30  ottobre, e  si  aprivano  le  cataratte  delle  polemiche  nei  confronti  del  Re, “complice  del  fascismo” ( dimenticando  il  25  luglio), di  cui  si richiedeva  l’ immediata  abdicazione , insieme  con  la  rinuncia  alla  successione  del  Principe  Umberto, ed  addirittura  il  passaggio  della  corona  al  Principe  di  Napoli, di  sei  anni, con  una  reggenza. Polemiche  che  avrebbero  toccato  il  loro  culmine  nel  Congresso  di  Bari ,del  gennaio  1944, e di  cui  tratteremo  più  avanti, e  su  queste  posizioni  abdicatarie  troveremo  purtroppo  anche  Benedetto  Croce , forse  dimentico  del  voto  di  fiducia  dato  al  Senato , al  governo  Mussolini ,dopo il  delitto  Matteotti  ed  il  discorso  del  3  gennaio  1925.

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