NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 28 novembre 2014

La Regina discreta

di Guido Rocca

Elena di Savoia è morta d'improvviso quindici giorni dopo che i giornali italiani e del mondo avevano pubblicato la notizia di un improvviso peggioramento del suo stato di salute. Allora, dopo il primo allarme, si diffusero voci tranquillizzanti, e le stesse interviste concesse da Umberto ai giornalisti italiani non sembrarono nascondere la preoccupazione per una tragedia prossima. Il medico curante della vecchia regina, da parte mia, pareva abbastanza ottimista sugli sviluppi delle cure che le stava praticando. Poco per volta si stabilì la convinzione che effettivamente la riunione di tutti i pirincipi Savoia intorno alla madre dipendeva da questioni strettamente familiari anzi, economiche - come voleva la prima versione ufficiale dell'avvenimento.

Al rientro dei giornalisti in Italia fece seguito la partenza da Montpellier della principessa Giovanna che ritornava a Madrid, di Maria di Borbone che partì per Cannes con l'Alfa Romeo di Umberto, infine di Umberto stesso. La Regina Elena restò sola, come ormai le accadeva per buona parte, dell'anno insieme a due sorelle, Xenia e la principessa di Battemberg, che però, per mancanza di spazio, alloggiavano all'albergo Metropol giù in città.
Molti erano ormai  propensi a considerare la notizia della scorsa settimana come un falso allarme e immaginavano già la vecchia Regina che se ne ritornava a pescare gli sgombri e i cefali insieme al dottor Lamarque, o a passeggio nel giardino che circonda il Mas du Ruel con la sua dama, di compagnia, la contessa Jaccarino o le sorelle. Invece venerdì scorso, improvvisa, giunse la notizia della sua morte.

Ascoltando il primo laconico annuncio primo radio: «Nella casa vicino a Montpellier dove ormai abitava da tre anni è spirata Elena di Savoia, ex-regina d'Italia» a molti dev'essere tornato in mente il testo dell'unica indiscrezione trapelata più che dal riserbo della vecchia regina dalle indiscrezioni dei suoi familiari: il suo tenace desiderio di ritornare in Egitto, ad Alessandria, per finire i suoi giorni nella casa dove morì Vittorio Emanuele III. La sua paura dell'Europa, la sua sensazione di esservi ormai come un'estranea.

Non ha potuto essere esaudita, ed è morta in una casa d'affitto, fra mobili non suoi, in un paese dove il sole e il bel clima, le partite di pesca, certo non la compensavano del fatto di vivere lontana -soprattutto ora che un oscuro presentimento la tormentava - dai luoghi dov'era il ricordo degli ultimi giorni di suo marito. La residenza cui la obbligava il suo stato di salute, era diventata ormai quasi come un secondo esilio.

Non esiste forse nella storia il caso di una donna che fu regina per cinquant'anni e di cui i suoi stessi sudditi sappiano tanto poco. Nessuna biografia è tanto povera di avvenimenti sensazionali, di fatti pubblici, di aneddoti; e se esiste una segreta vita, interiore, se si intuisce l'esistenza di una personalità certo non trascurabile anche se non clamorosa, chi è in grado di parlarne?

Molti aspetti del carattere di Elena di Savoia sono saltati fuori - si può dire - più attraverso questi anni del suo esilio, che non dal cinquantennio in cui fu Regina d'Italia. Per un'aneddotica su Elena di Savoia è fonte più ricca Montpellier di quanto non lo sia stata l'Italia intera. Gli stessi che oggi sono disposti a commuoversi, nell'ascoltare l'episodio del groom dell'hotel Metropol di Montpellier (un giorno alla vecchia Regina che gli chiedeva l'ora dovette rispondere di non possedere un orologio, e si vide regalare l'indomani un bel cronometro) sono forse gli stessi che molti anni prima erano propensi a rimproverare ad Elena di Savoia la sua vita troppo ritirata, troppo modesta, quasi indegna di una vera regina. Che magari, in segreto condividevano l'ironia della duchessa d'Aosta la quale parlando di Elena aveva l'abitudine di chiamarla «Ma cousine, la bergère».

Certamente non si erano mai fermati a considerare l'ipotesi che la logica semplicità della regina Elena, la sua fedeltà ai principi borghesi - proprio in quanto regina la sua costante convinzione nella serietà dell'esistenza, facessero parte di un'intuizione superiore dell'evoluzione del mondo assomigliasse ai doveri della regalità molto più di una, partecipazione alla vita mondana. Forse ancora oggi non si rendono conto di quanto abbia servito al prestigio della corona inglese l'improvvisa nota di austerità e di semplicità portata a suo tempo dalla regina Elisabetta, e di una rassomiglianza sostanziale che esisteva fra la Regina d'Inghilterra ed Elena di Savoia.
Se la regina Margherita fu personaggio ben più rappresentativo e celebrato, sul metro dei valori umani già oggi ben pochi tra quelli che facevano costantemente il paragone per gettar discredito sulla regina che le successe al trono d'Italia sono disposti a sostenere la dinamica moglie di Umberto I contro la modesta figlia del re pastore di Cettigne.

Primi a vederla fra tutti gli italiani furono i veneziani nella primavera del 1895. Fu in occasione del secondo incontro fra l'allora Principe di Napoli Vittorio Emanuele ed Elena del Montenegro, quintogenita tra sette fratelli e sorelle educata alla corte russa protettrice ed amica del suo piccolo paese.
La prima volta, i due giovani principi si erano incontrati a Mosca, (incontro abilmente preparato da Costantino Nigra ambasciatore italiano a Pietroburgo) durante la festa per l’incoronazione dello Zar Nicola II.
Secondo le descrizioni maligne di Maria di Romania, citate da Domenico Bartoli nel suo Fine di una monarchia Vittorìo Emanuele in quell’occasione dava il braccio a Maria Fiodorovna, moglie di Alessandro III protettrice di Elena. La giovane principessa faceva di tutto per trovarsi sempre con Vittorio Emanuele, come una collegiale innamorata, benché gempre secondo il giudizio della regina  romena - egli fu un cavaliere poco gradevole avesse un leggera tremito alle mascelle e un modo di parlare rotto e piuttosto brusco.

Elena, era molto graziosa, piacente, simpatica, conosceva gli usi della società, le lingue, aveva tutto quanto occorreva ad una regina di cinquant'anni fa. Scriveva anche poesie. (Dopo quella pubblicata sulla rivista russa Nedelia e ispirata a Vittorio Emanuele, non se ne videro però altre: "Egli è venuto dal mare - dal mare egli è venuto - è biondo come sua madre - ha nobile lo sguardo - ha altero lo sguardo).

Era bella, piacente, ma timida, un po' impacciata, quasi nascondesse un segreto tormento. Nel mondo dei principi e delle principesse essa era infatti la ragazza povera, protetta da re grandi e affettuosi, ma non riusciva a dimenticare quanto la sua reggia nel Montenegro fosse quella di un capo di pastori guerrieri e assomigliasse ben poco ad un grande castello. Fu forse la constatazione improvvisa di questo segreto tormento della giovane principessa che con Vittorio Emanuele (il quale aveva già rifiutato anni prima di sposare Elena d'Orléaas proprio per le ragioni opposte) a sgomberare il proprio a animo da tutte le riserve e a lasciarsi andare alla simpatia che gli ispirava la bella principessa  anche se molto più bella e molto più alta di lui.
Sappiamo che Vittorio Emanuele aveva timore delle donne alte e belle. Ossessionava la sua esistenza di giovane principe di statura straordinariamente bassa il pensiero che mai donna lo avrebbe sposato altro che per l'interesse che suscitava la sua qualità di principe reale. Per questo, nelle poche avventure, giovanili di cui si ha notizia - seppure vaga - egli aveva ripiegato sempre su donne piccole e brutte. D'improvviso aveva scoperto in quegli incontri cui lui stesso non credeva - e che sembravano dettati soltanto da esigenze politiche dalla necessità di portare con quel matrimonio un afflusso di sangue nuovo e sano nella vecchia famiglia dei Savoia che Elena di Montenegro soffriva, come lui, seppure per ragioni diverse, di un complesso di inferiorità.

Quel matrimonio che a suo tempo non suscitò alcun entusiasmo e che, alla maggior parte dei nobili italiani parve quasi “mesalliance” e piacque soltanto al popolo (la gente minuta apprezzò il fatto che il principe ereditario fosse andato a scegliersi la moglie fuori della cerchia convenzionale) si rivelò poi l'unico matrimonio veramente felice - nel senso più convenzionale e borghese della parola - nella storia della monarchia italiana.

Elena di Montenegro riuscì, come le sue sorelle maggiori, a sposare un principe reale; aveva potuto evadere dalla festosa e superba - per quanto ospitale - reggia della Santa Russia, ma quando ebbe coscienza delle difficoltà di cui sarebbe stata cosparsa la sua carriera di principessa e poi di Regina nella sua nuova patria - in un'Italia che attraversava un tragico momento storico e politico, con un opinione pubblica che non mostrava simpatie per il giovane principe suo marito - non trovò più la felicità che aveva conosciuto per la prima volta e in maniera così completa durante il periodo del fidanzamento. Era l'epoca in cui Vittorio Emanuele veniva a trovarla a Cettigne e trascorrevano le giornate nei boschi e nei prati a caccia di cervi e di lupi. Forse fu questo il periodo più felice, - il solo - anche nell'esistenza di Vittorio Emanuele. Alcuni documenti dell'epoca ci raccontano del principe di Napoli, loquace con gli occhi lustri per la gioia, che mangiava la selvaggina uccisa, nelle piazze dei villaggi montenegrini, insieme ai futuri cognati, al vecchio suocero e alla fidanzata, mentre i contadini cantavano le antiche ballate davanti al fuoco acceso. In quello stesso periodo, in Italia Scarfoglio scriveva un articolo «La bella Elena» nel quale titolo e sostanza volevano essere una aperta allusione all'operetta di Offenbach. Lo stesso Scarfoglio aveva scritto ben di peggio sul Mattino del 27 novembre 1896, un mese esatto, cioè, prima delle nozze. Un articolo di fondo intitolato “Le nozze coi fichi secchi” un documento ormai rarissimo citato da Alberto Consiglio nella sua Vita di Vittorio Emanuele III.

Vale la pena di ricordarne alcuni passi:
«Da due mesi non si sente predicare se non questo tema: - Badate, chi si sposa è Vittorio Emanuele di Savoia, non il futuro Re d'Italia. 

Così incominciava l'articolo. «Ora questo principe non aveva proprio bisogno d'un matrimonio celebrato a questo modo e in circostanze simili. A differenza di Umberto e di Amedeo, i quali erano già rispettati e adorati dal popolo, però che s'erano identificati con la patria sul campo di Custoza, egli è rimasto estraneo alla vita italiana come quei principi etiopici che sino ad un secolo fa erano educati sulla cima di un'amba solitaria. Di forme e di statura già poco conformi all'ideale fisico che il popolo ha dei re, le poche volte che è apparso in pubblico non ha conquistato certo l'immaginazione degli spettatori. Lo ricordo ai funerali dell'imperatore Guglielmo a Berlino nascosto nella sua mantellina di tenente di fanteria, tra un corpo di principi coloniali coperti d'oro e dalle lunghe barbe lohengriniane: chi avrebbe detto che quel tenentino, con quel pentolino in capo, rappresentava trentadue milioni di sudditi e ventitré secoli di storia? L'ho rivisto un mese fa a Cettigne, nel pieno esercizio delle sue funzioni di fidanzato ufficiale col suo piccolo paletot mastic, con un cappello a cencio sul capo, e pareva un collegiale in vacanza in mezzo a un popolo vestito del suo pittoresco costume e armato fino ai denti».

E più avanti: «Posizione non cattiva, badiamo; ma incerta, piena di dubbi e di oscurità, che rendono perplessi quanti credono inseparabili la fortuna della Monarchia e l'unità della Patria. Ora questo matrimonio celebrato a questo modo e in questo momento, non è fatto per migliorarla; e la freddezza con la quale n'è stato accolto l'annunzio aumenterà quando gli italiani vedranno la loro futura regina e con      stateranno co' loro occhi che essa non è né la gigantessa rigeneratrice di un sangue illanguidito, né la beltà fulminatrice, che s'è detto.
Graziosa, gentile,   dolce creatura; ma non certo un'Elena greca infiammatrice di cuorì per modo che ai feriti da lei sia impossibile aspettare il ritorno dei generale Valles, per evitare questi tristi e male auspicati sponsali».
Questo servirà, meglio di ogni altra cosa, per descrivere il clima nel quale Elena di Montenegro si preparava a diventare la moglie del Principe Ereditario al trono d'Italia.
E c'era Margherita.

continua


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