NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 28 gennaio 2015

E perché no un Re?

Articolo del 1962, tratto da "Critica Monarchica". Lo scenario internazionale è cambiato. Sconfitto dalla storia il comunismo adesso spaventano altri modi di pensare, altri stati o organizzazioni sedicenti tali, guarda caso sviluppatisi in nazioni che hanno perso il loro punto di riferimento naturale, il Re, che hanno riportato indietro le loro lancette della storia tornando ad un assurdo medioevo.
Ma a queste continue, penose, trattative di partiti che cercano il "loro" presidente continuiamo ad opporre l'idea, attualissima, di un arbitro che nulla debba ai partiti, ma solo alla Nazione.

«E perché no un Re?». Questa la scritta che apparve lungo le strade di Francia quando nel 1958 questa nazione credette poter risolvere la sua crisi politica e costituzionale, nonché il problema dell'Algeria, facendo appello ad un uomo - De Gaulle - con il duplice risultato, ormai quasi acquisito di perdere insieme Algeria e libertà. Ebbene questa frase, che con l'efficacia di uno slogan racchiude in sé tutto un profondo ragionamento politico, ci è venuta spontanea alla mente nel mentre seguivamo le contrastate fasi dell'elezione del Presidente della Repubblica, e ci siamo chiesti quanti altri italiani avrebbero tratto insegnamento dalle vicende cui assistevano in quei giorni per riproporre alla loro coscienza il problema dell'assetto istituzionale dello Stato. Non è infatti facile sciogliere il torpore nel quale si sono adagiati gli italiani per tutto quanto riguarda questi fondamentali problemi e portarli a discutere in termini politici e giuridici, in termine di «istituzione» dei vantaggi dell'una e l'altra forma istituzionale, invece che nei soliti termini di sentimento e di  risentimento o di simpatia ed antipatia verso determinate persone, termini questi che sono alla base di tante inutili e marginali discussioni. E' chiaro che una volta incanalata la discussione nei termini sopra detti, forti dell'esperienza di sedici anni, non dovrebbe essere difficile vincere l'incomprensione che il problema istituzionale e la scelta monarchica incontrano in una società ed in un elettorato così diverso e lontano da quello che sul medesimo problema si pronunciò il 2 giugno 1946.

Questa incomprensione per l'istituto e per coloro che politicamente ad esso si rifanno pur tra errori e manchevolezze ben note, si rileva negli scritti che numerosi commentatori politici hanno recentemente pubblicato, nei quali al sostanziale riconoscimento, che apprezziamo, dell'azione positiva svolta in passato dalla Monarchia non segue, e nemmeno viene esaminata e dibattuta, la necessità di essa nel presente, ma segue invece il concetto apodittico dell'inutilità e sterilità di qualsiasi riferimento ad essa. Dire che ciò ci addolora non è esatto, in quanto quella che viene offesa da questi categorici e deflinitivi giudizi, è la nostra intelligenza, non il nostro cuore, in quanto sappiamo bene come la Monarchia in numerosi paesi (i più progrediti, ripetiamolo magari fino alla noia) ancor oggi assolva in modo efficace alla Sua funzione, e come invece, dove è caduta, le siano succeduti regimi tirannici ed assolutisti, per lo più infeudati al comunismo internazionale o che cercano, a prezzo della libertà e del benessere dei cittadini, «vie nazionali per il socialismo», tra clamori retorici e nazionalisti sempre buoni a coprire gli insuccessi economici e la voracità delle nuove caste dirigenti. «Nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma» è un concetto valido non solo nel campo della materia, ma anche in quello della vita dei popoli e pertanto è assurdo e ridicolo proclamare la definitiva «inattualità» di una qualsiasi istituzione, perché la storia è sempre pronta a smentire questi affrettati giudizi, dimostrando come, mutato aspetto esteriore e caratteri marginali, fedelmente si ripetano istituzioni, fenomeni economici e forme sociali. Perciò potranno essere inattuali ed inadatte al ventesimo secolo alcune forme assunte dall'Istituto Monarchico nei secoli scorsi (monarchia assoluta, monarchia teocratica, monarchia militare), sebbene esse si siano rivelate sempre migliori delle loro equivalenti repubblicane, ma non la Monarchia in sé e per sé. Di questo è necessario che si sia veramente convinti noi monarchici per dare a tutta la nostra azione quel tono di concretezza, di attualità, di indifferibilità dell'instaurazione di una rinnovata Monarchia che impedisca agli italiani di riaddormentarsi per altri sette anni, con il rischio di svegliarsi veramente troppo tardi per salvare lo Stato democratico e la stessa repubblica dal comunismo, che già oggi ne è padrone in compartecipazione con la Democrazia Cristiana, tramite il bifrontismo del Partito Socialista Italiano.

E la «rinnovata Monarchia» che può, che deve interessare gli Italiani, è la Monarchia tratteggiata in tutti i messaggi dell'attuale Sovrano, cioè la Monarchia Democratica.

Domenico Giglio

Nessun commento:

Posta un commento