NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 31 marzo 2015

IL REGNO D’ ITALIA E L’IRREDENTISMO

da https://archivioirredentista.wordpress.com
di Domenico  Giglio 

Quando  il  17  marzo  1861  viene  proclamato  il  Regno  d’ Italia, l’ unità  è  ancora  incompleta  perché  mancano  il  Veneto   ed  il  Lazio, con  Roma, (designata  come  futura  Capitale  fin  da  Cavour),  che  verranno  acquisite  al  Regno  rispettivamente  nel  1866  e  nel  1870. E’  così  del  tutto  completa  l’ Unità  d’ Italia? In  effetti  manca  il  Trentino, perché  Garibaldi  che  vi  era  penetrato  durante  la  terza  guerra   d’indipendenza, ed  aveva  vinto  gli  austriaci  a  Bezzecca, dovette  fermarsi, vedi  il  famoso  telegramma  “ Obbedisco”, per  poi  retrocedere  e  mancava  la  Venezia   Giulia, con  Trieste, il  più  importante  porto  commerciale  dell’ Impero  Austro-Ungarico, e  con  Pola, la  baia  dove  aveva  rifugio  sicuro  e  quasi  impenetrabile  con  i  mezzi  dell’epoca  l’Imperial  Regia  Marina.
Queste  mete  non  raggiunte  nel  1866  erano  un  miraggio  lontano  perché  il  periodo  di  pace  seguito  in  tutta  l’Europa, all’ epoca  signora  del  mondo, alla  guerra  Franco-Prussiana  del  1870, non  lasciava  ipotizzare   alcuna  maniera  per  acquisirle  sia  pacificamente  sia,  tanto  meno,  militarmente.
Il  giovane  Regno  d’ Italia  aveva  davanti  a  sé  colossali  problemi  delle  più  varia  natura, specie  le  infrastrutture  mancanti  in  quasi  tutta  l’Italia  Centrale  e  Meridionale, che  assorbivano  gran  parte  delle  sue  modeste  risorse  economiche. Alle  spese  militari  quindi  non  poteva  essere  dedicata  che  una  parte  modesta  del  bilancio  statale, e  di  queste  molto  era  concesso  al  potenziamento  della  Regia  Marina, per  ovvi  motivi  geopolitici. Inoltre  in  Europa, erano  cambiate  diverse  cose  e  la  Francia, che  con  Napoleone  III, nel  1859  era  stata  nostra  amica  ed  alleata  ed  ancora  tale  si  era  dimostrata   e  comportata  nel  1866, ora  divenuta  repubblica, sembrava  quasi  pentita  di  aver  favorito  l’ Unità  d’Italia, malgrado  il  regalo  di  Nizza  e  della  Savoia, e  l’Austria  non  considerava  definitiva  la  perdita   del  Lombardo-Veneto.
Per  questi  motivi  si  era  quasi  dovuto   procedere, governando  Depretis   e  la  “Sinistra  Storica”, alla  stipula  di  un  trattato, nel  1882, con  gli  Imperi  Germanico  ed  Austro-Ungarico: la  “Triplice  Alleanza”. Questa  ci  metteva  al  riparo  da  rivincite  austriache  o  da  velleità  francesi, essendo  una  alleanza  esclusivamente  difensiva, che  sarebbe  scattata  solo  se  uno  dei  tre  contraenti  fosse  stato  attaccato, da  altre  Potenze, mai  se  avesse  invece  attaccato. Perciò  come  si poteva  onestamente  parlare  di  Trento  e  di  Trieste? Il  problema, che  chiameremo  “irredentismo”  esisteva, era  latente  e  ne  seguiremo  gli  sviluppi, ma  non  poteva  essere  recepito  e  fatto  proprio  dallo  Stato  italiano, retto  dalla  monarchia  dei  Savoia. I  Re  sapevano? Certamente, ma  erano  ormai  monarchi  costituzionali  ed  esisteva  il  Parlamento, con  le  sue  maggioranze. Quanto  a  Casa  Savoia, era  ingeneroso, se  non  peggio, accusarla  di scarsa  passione  nazionale, quando  dando  origine  al  Risorgimento, con  Carlo  Alberto,  si  era  giuocata  per   l’unità   il  tutto  per  tutto. Tipica  la  frase  di  Vittorio  Emanuele  II  che  aveva  detto  che  altrimenti  sarebbe  diventato   “Monsù  Savoia”, e  anni  ed  anni  dopo  Vittorio  Emanuele III, avrebbe  osservato  che  solo  il  nonno   era  morto  nel  suo  letto : Carlo  Alberto  era  morto  solo  in  esilio  ad  Oporto, ed  il  padre  Umberto  I, era  morto  assassinato, e  quando  diceva  questo  non  sapeva  che  anche  Lui  ed  il figlio  Umberto, sarebbero  morti  in  esilio  e  che  in  esilio  sarebbero  state  anche  le  loro  tombe!
Irredentismo è  un  termine  che  indica  l’aspirazione  di  un  popolo  a  completare  la  propria  unità  territoriale, acquisendo  terre  soggette  al  dominio  straniero  sulla  base  di  una  identità  etnica, linguistica  e  culturale. Esso  trovava  terreno  più  fertile  nella  opposizione  repubblicana, che  ne  faceva  motivo  di  polemica  politica  antigovernativa   e  non  voleva  comprendere  la  necessità  che  la  politica  estera  del  Regno, non  ponesse  in  risalto  queste  rivendicazioni.  “Terre  irredente”, ed  “irredentismo”, sono  parole pronunciate  per  la  prima  volta  nel  1877, dinanzi  alla  bara  del  padre  Paolo  Emilio, da  Matteo  Renato  Imbriani, divenuto  repubblicano  dopo  il  1866, e  deputato  dal  1889, le  cui  convinzioni  irredentistiche  divennero  la  ragione  stessa  della  sua  vita, finché  non  lo  colse  la  morte  nel  1901. “Pensarci  sempre, non  parlarne  mai“ era  in  realtà  il  pensiero  di  molti  in  Italia, come  lo  era  in  Francia  per  l’ Alsazia  e  Lorena, che  le  erano  state  strappate  dalla  Germania  dopo  la  guerra  del  1870.
Periodicamente  vi  erano  eventi  che  davano  rinnovato  slancio  a  sentimenti  patriottici, come  fu  l’impiccagione  di Oberdan(k)  il  20  dicembre  1882, lo  scoprimento  a  Trento, della  grande  statua  in  bronzo, di  Dante , opera  dello  scultore  italiano  Zocchi,  o  la  partecipazione  di  una  squadra  di  giovani  atleti  trentini, ad  alcune  gare  atletiche, la  sera  del  29  luglio  1900  a  Monza.  Il  Re  Umberto, non  dimentichiamo  che  come  giovane  Principe  aveva  combattuto  a  Custoza, nel  1866  contro  gli  austriaci, resistendo  alle  cariche  degli  ulani  nel  famoso  “quadrato  di  Villafranca, l’aveva  voluto  onorare con  la  sua  presenza   e, prima  di  cadere  sotto  il  piombo  assassino  dell’anarchico  Bresci, aveva   donato  a  questi  giovani  una  statua  della  libertà. Tale  presenza    Giovanni  Pascoli, sottolinea  nell’ ode  “Al  Re Umberto”,: “…Tu, Re  salutavi  l ‘ Italia  del  Liberi  e Forti..”, (nome  della  società  sportiva  trentina), e  prosegue   precisando   che  tra  le  bandiere  presenti   quella  sera  : “…ed  al  vento , tra  gli  altri  cognati  vessilli, batteva  il  vessillo  di  Trento…”. Ed  a  questo  proposito  proprio  la  morte  del  Re  dette  luogo  a  commosse  manifestazioni   di  lutto  nelle  “terre  irredente”, rafforzandone  i  sentimenti  di  italianità.
Posizione  difficile  per  il  Governo  quella  di  mantenere  l’alleanza  con  l’Austria  e  non  dimenticare  gli  irredenti, per  cui  l’Italia  aveva  dato  ospitalità  e  riconoscimenti  a  tanti  italiani   provenienti  dalle  “terre  irredente”, ed  a  titolo indicativo, ma  non  esaustivo, ricordiamo  Oreste  Baratieri, nativo  di  Trento, divenuto  generale  del  Regio  Esercito, Salvatore  Barzilai, di  Trieste, eletto  deputato  in  un  Collegio  di  Roma , Vittorio  Italo Zupelli, di  Capodistria, divenuto  addirittura  Ministro  della  Guerra,  e  professori  universitari  come  Graziano  Ascoli, di  Gorizia, docente  di  linguistica  a Milano, e  Giacomo  Venezian, di  Trieste, docente  di  diritto  a  Bologna,che  ultracinquantenne  sarebbe  caduto   combattendo  sul  Carso, il  20 novembre  1915, ed  un  giornalista  e  scrittore  di  Zara, Arturo  Colautti, particolarmente  esperto  di  problemi  navali. Tipico  del  problema   governativo  è  l’atteggiamento  di  un  Francesco  Crispi, che  non  può  essere  accusato  di  scarsa  passione  unitaria, il  quale  ufficialmente  aveva  condannato  l’irredentismo, mentre  poi  finanziava  la  “Dante  Alighieri”, associazione  nata  nel  1889, fra  i cui  fondatori  era  stato  anche  il  Venezian, da  noi  ricordato, con  il  chiaro  scopo  di  rivendicare  la  nostra  cultura, anche  fuori  dei  confini. Ma  i  legami  e  l’attaccamento  all’ Italia  di  trentini, triestini, avevano  radici  profonde, e  se  ne era  avuta  già  manifestazione  al  risvegliarsi  della  passione  e  della  volontà  di  unità  e  di  indipendenza  nazionale  nel  Risorgimento, con  le  vicende  della  difesa  della  libertà  di  Venezia  nel  1848-1849, dove  numerosi  erano  stati  i  combattenti  ed  i  caduti  provenienti   da  queste  terre, e  così  pure  nel  1859, dove  nell’ Esercito  Sardo  militavano  trentini  ed  istriani, e  due  di  essi, gli  ufficiali  Alfredo  Cadolino  e  Leopoldo  Martino, morirono  da valorosi  nella  battaglia  di  San  Martino, e  più  ancora  dal  1860  al  1866, quando  era  stato  un continuo  accorrere  di  irredenti  nelle  file  di  Garibaldi  e  dell’ Esercito  Regio, mentre  nello  stesso  tempo  aumentava  nelle  “terre  irredente”, la  repressione  violenta  e  sanguinosa  della  polizia  austriaca, in  gran  parte  composta  da  croati, con  processi  seguiti  da condanne  a  morte  ed  al  carcere.
Come  poi  non  ricordare  un  Niccolò  Tommaseo, (1802 - 1874) - dalmata  di  Sebenico, cattolico  fervente, uomo  di  vasta  cultura  e  liberalità  di  pensiero, autore  di  opere  letterarie  all’epoca  famose, difensore   di  Venezia  con  Daniele  Manin, dalla  forte  passione nazionale, sia  pure  in  una  visione  federalista, un  Giovanni  Prati, (1814 - 1884) trentino  di  Campomaggiore, poeta  non  dei  minori  del  nostro  “ottocento”, che  coi  suoi  versi  accompagnò  le  speranze  e  le imprese  patriottiche, fedelissimo  alla  causa  Sabauda  ed  infine  un  Antonio  Rosmini, ( 1797- 1855) trentino  di  Rovereto, sacerdote  e  filosofo,fautore  di  un  liberalismo  cattolico  e di  una  soluzione  monarchico  sabauda  al  processo  unitario, che, per  queste  idee  e  sentimenti  favorevoli  all’Italia,  ebbe  persecuzioni  da  parte  del  governo  austriaco. E  tutti  studiarono  o  si  recarono , o vissero  a  Venezia, a  Padova, a  Milano, a  Firenze  ed  a  Torino, ma  mai  ad  Innsbruck  o  Vienna  o  Berlino!
Questo vicende dell’irredentismo, sommariamente  descritte,  corrispondono  alla  prima  fase  risorgimentale  e  postrisorgimentale  che  si  chiude  con  la  triste  vicenda  di  Oberdan  ed  alla  seconda  fase  legalitaria  con  il  programma  minimo    difensivo  del  patrimonio  storico  e  culturale  di  queste  terre, con  Società  come  quella  Dalmata  di  Storia  Patria,  e  come  quella  degli  Alpinisti  Tridentini, nonché   con  associazioni  operanti  sia  nel  Regno  che  nei  territori  soggetti  all’Austria, con  relativi  giornali, per  impedire  che  il  problema  finisse  nel  dimenticatoio. Prima  di  passare  alla  terza  fase  che  logicamente  termina  con  l’entrata  in  guerra  dell’Italia, soffermiamoci  su  due  figure  che  emergono  nell’irredentismo  trentino   ed  altoatesino  per  la  loro  personalità. Il  primo  come  data  di  nascita, Ettore  Tolomei, nato  a  Rovereto  nel  1865, che  da  geografo  si  dedicò  particolarmente  ai  problemi  dell’Alto  Adige, raccogliendo  testimonianze  storiche  e  linguistiche  in  un  fondamentale  “Archivio  dell’Alto  Adige”, relativamente  alla  presenza  italiana,  preparando  il  rinnovamento  della  toponomastica, con  la  versione  italiana  dei  nomi  delle  località  e  combattendo  il  pangermanesimo  che  si  era  sviluppato  nell’ Ottocento  in  concomitanza  e  contrapposizione  al  nostro  Risorgimento, ed  infine  “volontario  di  guerra”  a  50  anni   e  per  i  suoi  meriti  nominato  dal  Re, nel  1923,  Senatore  del  Regno.
L’ altro, più  famoso  per  la  sua  tragica  e  pur  gloriosa  fine  che  ne  fece  il  Martire  degli  Irredenti, senza  con  questo  dimenticare  Fabio  Filzi, Damiano  Chiesa, Nazario  Sauro, è  Cesare  Battisti, nato  a  Trento  nel  1875, da  una  agiata  famiglia di  commercianti, studente  a   Firenze   e  poi  anche  lui  geografo  di  valore, studioso  appassionato  del   suo  Trentino, ma  anche  uomo  politico, socialista, deputato  nel  1911 nella  Dieta  dell’ Impero  Austro- Ungarico, la  cui  importanza  è  fondamentale  per  la  causa  degli  interventisti, avendo  tenuto  decine  di  discorsi  in  Italia, per  spiegare  le  ragioni  che  ci  dovevano  portare  alla  guerra. Guerra  alla  quale  partecipò  fin  dall’inizio negli  alpini  data  la  sua  competenza  e  conoscenza  delle  montagne  trentine,  e  dove, durante  un’azione  sul  Monte  Corno, il  10  luglio  1916, viene  preso  prigioniero  dagli  austriaci, portato  a  Trento, processato  ed  impiccato  nel  cortile  del  Castello  del  Buon  Consiglio. Le  sue  ultime  parole  furono: ”Viva  Trento  Italiana, Viva  l’Italia”.
L‘irredentismo  entrava  così  nel  secolo  XX, dovendo  combattere  contro  l’invadenza  tedesca  nel  Trentino-Alto  Adige, che  costrinse  addirittura  nel  1912, il  Vescovo  di  Trento, monsignore  Endrici, a  prendere  una  dura  posizione  contraria, e  contro  quella  slava  nell’ Istria, entrambe  favorite  dal  governo, e  che  rispondeva  ad  un  preciso  programma  di  conquista,  neppure  nascosta, basti  pensare  che  in un  giornale  sloveno, un  articolo, ripreso  e riportato  dal  nostro  grande  giornalista  Luigi  Barzini, sul  “Corriere  della  sera”, il  21  settembre  1913, era  scritto:”…non  desisteremo  fino  a  che  non  avremo  ridotto  in  polvere  l’ italianità  di  Trieste  e  fino  a  che  a  Trieste  non  comanderemo  noi  slavi…”, e  sempre  a  Trieste, il  Governatore, Principe  di  Hohenloe, nel  1913, aveva  pubblicato  un’ordinanza  che  vietava  a  cittadini  italiani  di  ricoprire  posti  di  lavoro.
Perciò  ad  esempio  il  problema  di  una  Università  per  gli  studenti  di  lingua  italiana  acquistava  una  straordinaria  importanza , anche  perché  nel  1903  vi  erano  stati  scontri  sanguinosi  ad  Innsbruck  contro   gli  studenti  italiani, ed  il  problema  di  una  maggiore  autonomia  amministrativa  del  Trentino  divenivano  i  punti  fondamentali  delle  richieste  degli  irredenti, che  avevano  capito, perdurando  la  Triplice, essere  esclusa  ogni  altra  soluzione. Nondimeno  non  perdevano  occasione  di  farsi  riconoscere, e  notare  come quando  Vittorio  Emanuele  III, si  recò  in  visita  ad  Udine  nel  1903, dando  vita  ad  ardenti  manifestazioni  irredentistiche, che  non  potevano  sfuggire  all’attenzione  del  Sovrano, né  lasciarlo  indifferente. Anche  l’inaugurazione  di  un  monumento  a  Verdi  a  Trieste  costituiva  momento  di italianità  e  così  pure  il  dono  nel  1907  di  una  lampada  votiva  alla  tomba di Dante  a  Ravenna, e  poi  le  celebrazioni  nel  1911  del  cinquantenario  del  Regno  d’Italia  facevano  rivivere  le  passioni  del  Risorgimento, ed  ad  esempio  in  quello  stesso  anno, il  primo  ottobre, si  teneva   a  Capodistria  il  congresso  di  tutte  le  organizzazioni  giovanili  per  stabilire  una  linea  d’azione  unitaria.
Giungiamo  così  al  luglio  1914: l’Austria  dichiara  guerra  alla  Serbia, ritenendola  mandante  dell’assassinio  dell’ Arciduca  Francesco  Ferdinando, violando  il  trattato  non  consultando  l’Italia. L’Italia  che  giustamente  si  proclama  neutrale, tenta  inizialmente  la  strada  per  arrivare  ad  un  accordo  pacifico  per  il  riconoscimento  dei  propri  diritti  storici, ma le  risposte  negative  e  tardive, spingono  gli  irredentisti, che  capiscono  essere  questa  l’occasione  da  quasi  cinquant’anni   auspicata,  ad  intervenire  nel  contrasto  tra  interventisti  e  neutralisti  a  favore  dell’intervento,  e  così  quelle  due  parallele, irredentismo  e  politica  governativa  che  sembravano  non  potersi  incontrare, se  non  all’infinito, con  la  decisione   del  Re  si  incontrano  ed  il  24  maggio  1915, ha  inizio  la  Quarta  Guerra  d’Indipendenza, che  portò   al  completamento  dell’ Unità  per  anni  vagheggiata. Il  prezzo  pagato  in  termini  di  vite  umane, tra  le  quali  molti  irredenti  che  avevano  varcato  il  confine  per  combattere  nelle file  del  Regio  Esercito  e  della  Regia  Marina , fu  molto  più  elevato  di  quanto  immaginato, ma  l’Italia  e  gli  Italiani  avevano  mostrato  al  Mondo  che  erano  una  vera  Nazione, e  non   una  espressione  geografica,   ed  un  Popolo, fiero  di  sé  e  del  suo  passato,composto  non  più  di  “macaroni”  e  servi  di  altrui  governi. Gli  irredenti  avevano  trovato  finalmente  la  Patria .


   

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