Il 25 aprile, il 2 giugno e la costituzione costituiscono la trinità laica fondante della repubblica. In questo settantesimo 25 Aprile abbiamo voluto cambiare il titolo del capitolo del libro la Monarchia e il Fascismo per ricordare che la quasi totalità degli antifascisti repubblicani fu, durante il vituperato ventennio, fascistissima al di là di ogni ragionevole dubbio.
La repubblica antifascista è in realtà la repubblica dei fascisti che cambiarono casacca davanti alla guerra persa scaricando sul Re le colpe della loro ignavia.
La Monarchia e il Fascismo - XI capitolo - V
L'«intellighenzia» italiana:
ieri in orbace ad acclamare il Duce: oggi a chiedere la condanna del Re per
averlo tollerato
Non altrimenti è la condotta
dei neo repubblicani della politica del giornalismo e della letteratura:
qualcuno lo abbiamo visto sfilare pettoruto nei cortei del regime vestito di
orbace o fra le folle oceaniche, molti li rammentiamo fra i precursori nei lontani
anni della vigilia e di altri ci sovvengono gli scritti adulatori del Duce e
dei gerarchi. Per metterli tutti nella giusta luce occorrerebbero dei volumi.
Ci limiteremo ad alcuni di essi, i quali, o per essere stati fra i più
compromessi, o per non aver fatto nulla, pur potendolo, contro l'affermarsi del
regime, hanno inveito sia contro Mussolini che contro la Monarchia:
L'on.
Lussu, tenace assertore sino al 1923 della fusione del Partito
d'Azione Sardo col Partito Fascista: nel numero del 26 gennaio di tale anno
(attenti alle date) del Giornale d’Italia che riporta la cronaca della seduta
del Consiglio provinciale di Cagliari, sotto il titolo a due colonne «La fine
del Partito d'Azione Sardo annunziata dall'on. Lussu» leggiamo riportate queste
sue parole: «Sin d'ora dichiariamo che coloro che entreranno nel Fascismo vi
porteranno tutta la loro passione di combattenti, tutta la loro anima sarda
nutrita di speranza, tutta la loro consapevolezza di sardi cui si può solo
rimproverare la grande passione per la nostra terra. Da questa fusione deve
derivare, come è mio augurio, ogni fortuna dell'isola come noi abbiamo sognato
in guerra».
Mario
Panunzio, già direttore della rivista Oggi, paladino
anti-monarchico in seno alla direzione del Partito Liberale sempre inteso a
protestare contro la «Monarchia fascista».
Luigi
Salvatorelli detto anche mangiamonarchici, lo storico
dell'anti Savoia che collaborò ai più importanti periodici fascisti, da Oggi al
Primato di Bottai e scrisse sul fascismo e su Mussolini parole di sperticato
elogio; scrivendo pagine critiche su Casa Savoia, acido e demolitore, è sempre
del parere che Re e Principi hanno sbagliato, egli solo detiene i segreti del
giusto governo: dovevano fare, secondo lui, il contrario di quello che hanno
fatto. La sua critica storica non ha altro fondamento. Infatti nella valutazione
dell'opera dì Vittorio Emanuele III lo definisce «il Re di Caporetto». E
Vittorio Veneto? E' merito di chi? del Salvatorelli? La nuova teoria crociana uscita
dalla faziosità politica induce anche i discepoli del maestro a rilevare soltanto
i fatti negativi tacendo quelli gloriosi e costruttivi.
Lo stesso atteggiamento
assunto contro Mussolini e specialmente
contro il Re, accusato di aver tollerato il fascismo, anzi di averlo creato.
illumina la poca serietà con la quale questi storici crociani trattano la
storia. Basta dare una rapida scorsa a qualche periodo del suo Corso di Storia
per i licei (Mondadorí, vol. III, pag. 410) libro che è servito alla educazione
della gioventù fascista ed a creare il clima del littorio: «Tutta questa
operosità si accentua nella persona di Benito Mussolini. Non solo per i
meccanismi costituzionali, che a lui fanno capo, ma per l'impulso personale da
lui proveniente, per l'attività sua molteplice e instancabile e per il
prestigio superiore ad ogni altro di cui egli gode. Tenacia di volontà, capacità
straordinaria di lavoro, rapidità di comprensione ed elasticità di intelligenza,
dominio delle masse, queste sono le doti che hanno conferito alla sua figura un
posto singolarmente eminente del inondo internazionale». Tutte le pubblicazioni
del Salvatorelli sono dense di riconoscimenti piaggiatori e di elencazioni delle
«benemerenze» e «provvidenze» del regime
fascista e di Mussolini, nel
quale egli personifica il genio. Nel volume «Ventanni fra due guerre» a pagina
478 dice che «con l'Asse l'Italia fascista aveva realizzato la vera democrazia».
Questo libro giustifica tutta l'opera di Mussolini che è messa in particolare
evidenza. I neo fascisti infatti, che vogliono farsi una cultura di fascismo
ortodosso, hanno adottato questo volume come loro breviario. Sembra di leggervi
le apologie dei gerarchi.
Eletto presidente
dell'Associazione della Stampa, il Salvatorelli nel convocare il primo convegno
nazionale dei giornalisti emanava una circolare nella quale si escludevano quei
colleghi «che abbiano svolta una notoria opera di apologia del regime fascista
e della sua politica». Eppure quanti giovani fascisti, cresciuti all'educazione
ed all'ammirazione del Duce proprio sui libri di testo del Salvatorelli, sono
stati ignominiosamente epurati per avere scritto qualche articolo o libercolo!
Mentre invece, il suo libro era imposto ai giovani e da questa imposizione egli
ritraeva anche dei lauti diritti d'autore.
Domenico
Bartoli, altro ingeneroso critico della Monarchia, alle volte
anche irriverente, alla quale rimprovera di avere assecondato Mussolini, è
nientemeno che l'autore del volume “Il volontario delle camicie nere” adottato
dalle scuole della Milizia alla quale appartenne in qualità di ufficiale. Il
Bartoli spiega ora una particolare attività a rivelare sull'Europeo il suo
livore contro il fascismo e contro Re Vittorio Emanuele III, contro Re Umberto
e la Regina Maria Josè a base di volgarità da giornale di provincia. Il grande
giornalone milanese anti-monarchico ed anti-fascista è edito da Gianni Mazzocchi e diretto da Arrigo Benedetti, entrambi ex fascisti
militanti e turibolanti del regime. Altra palestra del Bartoli è La Stampa di
Torino, il cui direttore e i redattori furono persone di fiducia di De Vecchi
di Val Cismon durante il ventennio. Lo stesso proprietario senatore Frassati, dopo una energica leale
esemplare opposizione al fascismo durata parecchi anni, finiva per accordarsi
con Mussolini al quale portava sovente i suoi devoti omaggi salvando così la
presidenza dell'Italgas e gli interessi del giornale. Per la campagna del 2
giugno editore, direzione e redazione aderirono alla tesi repubblicana in odio
alla Monarchia che aveva tollerato il nefasto regime, al quale essi hanno
collaborato supinamente, e continuano oggi in atteggiamenti repubblicani sempre
in forza dello stesso principio.
Arrigo
Cajumi, critico letterario della Stampa che in un articolo su
Ponte scende ad insulti volgari contro Re Vittorio Emanuele chiamandolo «vigliacco»,
non è altro che un fascista mancato perché gli fu negata la tessera che pure
aveva chiesto con insistenza; ebbe dal regime incarichi redditizi come quello
di direttore dell'Illustrazione Italiana e della Casa Editrice Garzanti,
incarichi che non era possibile ottenere se non si era ossequienti e acclamanti
al Duce ed ai gerarchi.
J.
C. Jemolo attivista antimonarchico al 2 giugno ed ora filo
comunista, non rammenta di avere giurato, come professore universitario,
fedeltà al regime, di averlo servito e di avere proclamato Mussolini «l'Uomo
sublime, la cui figura poderosa sta sui cieli del mondo».
Sibilla
Aleramo passata improvvisamente al comunismo ed alla propaganda
anti-monarchica, dopo essere stata fra le esaltatrici del Duce nel periodo
della Quartarella quando condannava «gli abbietti nella professione dello
scandalismo, criminali contro la dignità ed il prestigio della Patria ed i suoi
più gelosi interessi». Continuò l'apologia per tutto il ventennio approfittando
di ogni manifestazione, come, quando descrive una sua visita alla bonifica
pontina dove sente spirare «aura di redenzione, aura di fede» e così conclude:
«Se anche questo solo avesse Benito Mussolini compiuto per il proprio e nostro
Paese, resterebbe nella storia quale un taumaturgo gigantesco». La gentile
letterata percepiva un sussidio fisso dal dittatore e non disdegnava neppure di
implorare la generosità affettuosa ed elargitrice della Regina Elena...
Luigi
Meda
che aveva contribuito con scritti e discorsi a tenere unita la parte cattolica
al fascismo o meglio «all'epopea fascista» come usava chiamarla, ed a Mussolini
ch'egli saluta nel 1938 «il nostro Capo il quale a Monaco, quando oramai la
guerra sembrava inevitabile riaffermava la solidità dell'Asse Roma-Berlino», lo
vediamo fra gli esponenti della sinistra democristiana, presidente del C.L.N.
di Milano e repubblicano intransigente in odio alla Monarchia fascista che ha
tollerato l'alleanza coi tedeschi.
Libero
Bigiaretti, «poeta del tempo di Mussolini» come si diceva allora e
durante il quale conquistò il premio di poesia, scrittore di politica filo
tedesca, la sua prosa è piena di questo «fervore per la Germania amica,
esultante nell'aura favolosa ed entusiastica creata dalla presenza di Mussolini
tra il popolo tedesco... » lieto di poter constatare che «i due popoli amici
marciano all'avanguardia della civiltà». Ora, questo suo fervore è tutto per la
Russia e per il piccolo padre Stalin.
Goffredo
Bellonci, articolista convincente del Giornale d'Italia durante
il regime, si specializzò nella difesa della cultura fascista e nella campagna
contro le manovre del Comintern. Ecco due brani della sua prosa ortodossa: «Scrittori
italiani gelosi della purezza della loro arte hanno anche dato esempio di una
nuova letteratura civile esprimendo i loro sentimenti fascisti da Marcello
Gallian rievocatore dello squadrismo ad Adriano Grande, cantore delle gesta
africane; dal Soffici, poeta delle adunate, ad Ungaretti che ha dedicato odi
alla Rivoluzione ed al suo Capo; da Baldini che ha ritrovato nel fascismo lo spirito
del nostro popolo, al Cecchi che ha in alcune prose esaltato la figura del Duce
e analizzato criticamente il suo stile per mostrare la forza; e non seguito
perché non ho spazio per elencarli tutti: dal Marinetti, il poeta futurista
della vigilia, al Govoni e gli altri». Ed ecco qui un attacco a fondo al
comunismo: «L'insidia è invisibile, ma in ogni luogo; e certi paesi democratici,
che sembrano in pace e in ordine, hanno già sul loro suolo, agguerritissimi,
l'esercito del comunismo. L'Italia Fascista non ha nulla da temere perché i
suoi lavoratori vivono lieti e operosi in un regime che fa del lavoro la
suprema dignità umana e civile; ma, con la Germania, vigila perché il comunismo
non distrugga la civiltà europea e mediterranea: romana». Nel suo salotto si
tiene cattedra domenicale di comunismo e si rimprovera alla Monarchia il suo
atteggiamento filo fascista e filo tedesco e si fanno aperte dichiarazioni
repubblicane. La moglie, Maria Bellonci,
che non disdegnò collaborare a riviste fasciste, è ora membro del Comitato
filo-comunista di cultura e gran paladina della Resistenza...
Alberto
Mondadori già direttore del Tempo rivista di fascismo ortodosso
che tirava allora centinaia di migliaia di copie, è passato all'attività
democristiana di parte repubblicana, in forza ben inteso dei noti demeriti e
delle colpe della Monarchia per la iniqua guerra. Ma noi sappiamo che nel
giugno 1940 egli scriveva: «L'ora attesa, l'ora dell'azione, l'ora della guerra
è scoccata, puntuale e fatale, sul quadrante della storia. L'ha annunciata
Mussolini, la dichiarazione di guerra alle democrazie plutocratiche e
reazionarie, dal balcone di Palazzo Venezia, con voce maschia e perentoria.
Ineluttabile come il destino, precisa» «Guerra dell'Italia proletaria e
fascista per la nascita della nuova Europa, che il capitalismo internazionale
ha sempre ferocemente cercato di soffocare col ricatto e l'oro. Guerra giusta e
santa per la libertà del nostro mare e delle nostre frontiere, per spaziare
nell'oceano, civilizzatori e colonizzatori da secoli. Guerra che farà giustizia
sommaria di mentalità, idee, civiltà superate. Guerra storica che demolirà gli
assurdi storici della Corsica, Nizza, Savoia francesi, di Malta, Gibilterra,
Suez, Cipro inglesi. Guerra necessaria perché il destino dell'Italia è in
Africa e in Asia, là dove gli affamatori e i negrieri posero le mani
sfruttatrici a nostro danno, contro la storia, contro il popolo nostro.
L'ordine si è ripercosso in ogni cuore, in ogni petto, in ogni anima, confuso
con la più grande certezza: Vinceremo, vinceremo perché la nostra guerra si
inserisce nella storia. Vinceremo perché abbiamo ragione. Vinceremo perché la
nostra idea è giovane, rivoluzionaria, giusta». Abbiamo riportato questo brano
per la caratteristica del contenuto e dello stile, che erano quelli dei
giornalisti e degli scrittori del regime fascista passati per la massima parte
al comunismo, al socialismo, alla democrazia cristiana ed al liberalismo
repubblicano con il compito specifico di accusatori della Monarchia. La rivista
Tempo fu la pubblicazione che ebbe maggior diffusione ed effetto nella
propaganda fascista non solo perché edita dal Mondadori padre che era l'editore
di Mussolini, ma anche per la tenace insistenza di Massimo Bontempelli nel
catechizzare la gioventù sulla necessità della guerra e per la notorietà dei
collaboratori: Arturo Tofanelli, Lamberto Sorrentino, Irene Brin, Alfonso
Gatto, Alba De Cespedes, Cesare, Zavattini, tutti quanti apologeti del Duce,
del fascismo e della guerra, passati ora a sinistra a protestare contro la
tolleranza monarchica verso il fascismo.
Arnoldo
Mondadori, padre di Alberto e che della rivista Tempo era editore,
scriveva: «La guerra dell'Asse è una guerra costruttiva, e all’opera delle armi
segue immediatamente quella dell'organizzazione civile e quella dello spirito
che illumina, conforta e insegna. Perciò in questa guerra anche una casa
editrice è un esercito di spiriti, un esercito i cui soldati e armi sono libri
e le idee». Il Mondadori ebbe dal Governo fascista tutte le concessioni, tutti
i favori, tutti i privilegi possibili e immaginabili come la pubblicazione
dell'opera dannunziana, del Libro Unico della Scuola e di tante altre edizioni
statali e in questo modo la sua Casa Editrice diventò di fama mondiale ed. egli
si consolidò e si arricchì. Il 25 luglio passò fulmineamente all'antifascismo e
dopo la liberazione tutte le sue pubblicazioni assunsero l'aspetto di quel
repubblicanesimo filo comunista quale era derivato dai Comitati di Liberazione.
I così detti intellettuali,
editori, giornalisti e scrittori, un vero esercito di spiriti combattenti,
improvvisamente voltarono casacca e designarono nella Monarchia il capro
espiatorio, non senza proclamarsi vittime innocenti e perseguitate del nefasto
regime. Non si trovò più un giornalista, uno scrittore, un uomo politico, tutti
tesserati, tutti in orbace, che non fosse vittima di Mussolini. E per vendetta
danno addosso alla Monarchia. Quei giornalisti dei grandi quotidiani che
scrivono ora «il nefasto regime», «il bieco tiranno », «il re fuggiasco che ha
tradito lo Statuto», ecc. sono gli stessi che durante il ventennio scrivevano «Mussolini
ha sempre ragione» e lo definivano «superatore di Cesare e di Napoleone». Sì
può dire che noi antifascisti di allora siamo oggi più misurati e più sereni
nella critica: perché non abbiamo nulla da farei perdonare.
Vitaliano
Brancati, il fortunato autore del film antifascista Anni
difficili che nel Corriere della Sera dei fratelli Crespi - i quali, sempre
dimentichi del loro passato politico si affrettano ad accogliere ogni attacco
al regime ed alla Monarchia - faceva conoscere ai lettori i soprusi ricevuti
negli anni del deprecato ventennio durante il quale, egli affermava, «non
riuscì a pubblicare nulla», fu un apologeta di Mussolini nei giornali fascisti di
avanguardia come Il Tevere (del quale era redattore), Critica fascista e corrispondente
del Popolo d'Italia ed infine «comandato» come professore di belle lettere a
Roma dal ministro Bottai.
Nel 1928 faceva
rappresentare un suo lavoro, Everest, nel quale il fascismo è definito «un'accolta
di uomini puri, vigorosi, dignitosi, intorno a uno che, nell'attirarli e
sollevarli verso l'alto, mentre lascia libera la loro personalità, si serve
d'una misteriosa ed invisibile forza che trascende lui e gli altri». Anche il
Brancati condanna la Monarchia per l'appoggio dato al fascismo.
Di Curzio Malaparte la cui fama è stata ipotecata dal comunismo, si
rammentano i suoi scritti fra i più violenti esaltanti il fascismo, Mussolini e
lo squadrismo. La sua Cantata dell'Arci Mussolini è troppo nota per riprodurla.
Vale però la pena riferirne i passi più significativi:
«O italiani ammazza vivi - il
bel tempo torna già - tutti i giorni son
festivi - se vendetta si farà.
O bastardi guardateci in
faccia - non è più l'ora degli inchini - siamo pronti a dare la caccia - ai
traditori di Mussolini».
«Spunta il sole e canta il
gallo - o Mussolini monta a cavallo - o Mussolini facciadura - quando ti metti
a far buriana? - Combatteremo alla vecchia maniera - guai a voi se prendiamo
l'aire - vi bucheremo la panciera - a lama fredda vogliamo ferire».
Ebbe dal partito posti redditizi
e di primo piano. Dopo il 25 luglio subì una forte crisi di coscienza: diventò
comunista e si prodigò nella propaganda antimonarchica a fianco di Togliatti
che al processo di epurazione depose in suo favore. Nelle polemiche sulla
Monarchia non lascia occasione per insinuare fatti fantastici che possano
indebolire il prestigio di Umberto Il ed offuscare la memoria di Vittorio
Emanuele III. Si proclama eroe dell'esercito italiano di liberazione.
Liberazione dal fascismo, di cui fu fra gli estremisti più accesi e
intolleranti.
Il professore Piero Calamandrei, Rettore Magnifico
dell'Università di Firenze, primeggia fra gli esponenti del Partito
Repubblicano e si proclama vittima del fascismo che definisce «obbrobriosa schiavitù»
della quale chiama responsabile la Monarchia. La sua personalità crediamo
trovarla scolpita alla perfezione in una lettera che un gruppo di studenti
dell'Università di Firenze - dove il Calamandrei il giorno 21 novembre 1946
aveva tenuto la sua prolusione ed era stato da essi fischiato - inviarono ad un
quotidiano di Roma e nella quale era detto fra l'altro: «I fischi e le beccate
che molti di noi hanno dedicato al pro fessor
Calamandrei volevano soltanto confermare la disistima per l'uomo. Noi
pretendiamo che i nostri Maestri siano, prima di tutto, uomini di carattere.
Neghiamo al professor
Calamandrei questa dote essenziale. Il suo passato è a noi troppo noto. Il
professore Calamandrei che nel ventennio «di obbrobriosa schiavitù - come lui
stesso ama definirlo - ha avuto tutto: onori, insegnamento, pubblicazioni,
professione, e che ha collaborato alla preparazione e alla realizzazione dei
Codici Fascisti, non può insegnare a noi. Lui stesso ha contribuito
sensibilmente ad «avvelenare», tanto per usare un altro termine oggi molto in
uso, la nostra generazione. Donde può trarre dunque quella forza morale per
educare, per indicarci le giuste strade da seguire? Queste sono cose che
possono fare soltanto gli uomini integri, gli uomini di carattere. L’idea
politica dei nostri insegnanti a noi non
interessa».
Franco
Calamandrei, suo figlio, fascista regolarmente iscritto
al G.U.F. di Firenze - col consenso, anzi col plauso paterno s'intende - più
volte premiato ai concorsi littoriali, entusiasta ed intransigente, di quelli
che usavano più divise che abiti borghesi, il 25 luglio si risvegliò
improvvisamente, come il padre, perseguitato del fascismo e della Monarchia e
quindi fervente repubblicano. Egli è autore, con Rosario Bentivegna,
dell'attentato di Via Rasella a Roma in seguito al quale i tedeschi trucidarono
per rappresaglia 336 cittadini alle Fosse Ardeatine. Il Calamandrei sapeva
benissimo, come lo sapeva il Bentivegna, che se gli autori dell'attentato si
fossero presentati alle autorità tedesche, avrebbero salvato la vita a tante
vittime innocenti (1).
Paolo
Emilio Taviani già segretario generale della Democrazia
Cristiana aderente alla frazione repubblicana e fra i più intransigenti, fa
carico alla Monarchia di aver tollerato Mussolini, il dittatore megalomane e
avventuriero per la conquista africana e per la dichiarazione di guerra agli
Alleati. Ecco come parlava quando amoreggiava col fascismo:
«Addis Abeba è italiana! La
pace è ristabilita! Vittorio Emanuele III Imperatore d'Etiopia!
«Il popolo italiano è ancora
nell'entusiasmo di queste notizie. Riecheggia ancora il grido commosso del
Duce: Viva l'Italia! A questa Italia dalla volontà possente il mondo guarda
attonito, perplesso, ammirato.
«All'esercito vittorioso, alla
Maestà Imperiale del Re, al suo Duce, al Maresciallo Badoglio, il popolo
italiano ha elevato l'espressione della riconoscenza ... ».
«Anche il nuovo impero
dell'Italia in Africa ha da avere un significato spirituale. Fondato sotto i
segni del Littorio esso è l'erede di Roma imperiale: ha dietro a sé la più
fulgida tradizione della storia, quella in cui s'è innestato il tralcio
rinnovatore di Gesù Cristo... ».
«L'Italia ha oggi in Africa
Orientale non le sue floride colonie, ma il suo impero, perché attua anche
laggiù i principii mussoliniani del «vivere pericolosamente», del «credere,
obbedire, combattere»; perché pone sull'Acrocoro, cuore dell'Africa, un
segnacolo di quella civiltà che è, nella sua essenza positiva, la civiltà
cristiana » (2).
Vinse a suo tempo il 13°
posto in qualità di «littore» della cultura fascista, gara nella quale la Commissione
giudicatrice era presieduta dall'on. Amintore
Fanfani, altro uomo di carattere esponente della D.C. ora antifascista e
repubblicano di marca schietta. Il
Taviani fu anche libero docente di economia corporativa fascista presso
l'Università Cattolica di Milano, ma improvvisamente l'8 settembre 1943
ebbe una crisi di coscienza e fondò il C.L.N. della Liguria: il fascismo venne
sgominato e la Monarchia messa al bando, gloriandosi così di aver raggiunto gli
ideali per cui aveva combattuto negli anni antecedenti: l'antifascismo e
l'instaurazione della repubblica. Attualmente, dopo essere stato segretario
della D.C., si gode i titoli accademici ottenuti durante la collaborazione al
regime monarchico fascista.
Pietro
Ingrao, direttore della comunista Unità di Roma fu ufficiale
della Milizia ed aderente alla Repubblica Sociale del Nord e durante il
ventennio concorse ripetutamente ai littoriali conquistando il premio «Poeti
del tempo di Mussolini» istituito dal conte Ciano per gli autori della migliore
poesia apologetica del fascismo. E' anche deputato.
Davide
Lajolo (Ulisse) direttore dell'Unità di Milano, ex Federale di
Ancona, direttore di giornali fascisti, gran littore, volontario nella guerra
di Spagna, camicia nera nelle brigate della Repubblica del Nord! Ecco un saggio
della sua prosa nel 1940: «Tu non sai che cosa è il Duce per noi. Ci ha fatti
Lui, nello spirito e nella carne, ci ha ridato la Patria e noi siamo pronti a
dargli la vita... ». E sentiva l'entusiasmo quando a Napoli era passato in
rivista dal Re Imperatore, ed in un suo libro, Bocche di donne e di fucili,
chiama i legionari di Mussolini «i mistici cavalieri dell'ardimento». La sua
letteratura è tutta una esaltazione del Duce Principe di giovinezza e della
guerra «voluta dal popolo italiano»: «Siamo la generazione dei cannoni,
dell'acciaio, delle guerre» ed assicura che «in Italia si è ricorso persino
alle raccomandazioni per andare a fare la guerra». E poi ancora: «Il fascismo
ha fatto veramente un popolo di soldati. Si vede qui se il popolo è militare,
se il popolo risponde. Con questi soldati vinceremo la guerra ad ogni costo,
qualunque sia la potenza del nemico».
Fidia
Gambetti, redattore capo dell'Unità di Milano, che si riprometteva
di «bastonare, a sangue coloro che si ostinavano a dare del lei», fu collaboratore
di giornali fascisti di punta come L'Assalto e Santa Milizia, autore di
Cronache del tempo fascista, dove scriveva: «Ecco, noi, davanti a Mussolini,
siamo come davanti al Signore...». In un volume di propaganda, Controveleno,
pubblicato nel 1942, troviamo questo gioiello: «La nostra fede in Mussolini
riflette la fede antica e nuova in noi stessi, nella superiore bellezza e
nobiltà della ritrovata missione civile universale, alla quale ancora una volta
il destino ci chiama. E' la volontà di servirlo con le opere e col sangue, il
timore sempre vivo di essere indegni di Lui... ». « Finché c’è Mussolini è
l'ora d'Italia. La fede in Mussolini è la seconda natura degli italiani.
Fascisti si nasce non si diventa».
E l'on. Leonilde Jotti, anima gemella di Togliatti e deputata al parlamento
per il Partito Comunista, proveniente dalle Figlie di Maria dove portava il giglio
bianco come torcia di purità, non fu forse regolarmente iscritta al Guf? Così
l'on. Laconi e molti altri
dell'estrema comunista e socialista.
Gaetano
Salvemini, lo storico anti fascista e repubblicano accanito che ha
ripudiato la nazionalità italiana per assumere quella americana, interpellato nel
1923 dai repubblicani storici rispondeva: «E’ desiderabile che il regime
fascista continui, bene o male, e magari più bene che male, a tenersi su. Perché
tra Mussolini e tutti i suoi possibili successori attuali, non c'è da esitare:
è preferibile il primo». E fra i successori il Salvemini faceva i nomi di
Orlando, Bonomi, Gasparotto ed altri, tutti solidali poi con lui il 2 giugno
nella lotta contro la Monarchia.
Bruno
Barilli, noto critico musicale e compositore egli stesso, ha
aderito entusiasticamente al Partito Comunista ed alla propaganda repubblicana
dimenticando di essere stato un attivo fascista collaborando non solo a
giornali ad atteggiamento moderato, ma peráno a quei fogli dell'estremismo che
nel regime rappresentavano l'intransigenza, detta anche «fascismo integrale»,
dall'Assalto di Bologna al Tevere di Roma. Un comunicato Stefani del 21 aprile
1926 diceva: «In occasione del XXI aprile il segretario federale dell'Urbe avv.
Italo Foschi, ha concesso la tessera d'ufficio del P.N.F. ai giornalisti Bruno
Barilli e Vincenzo Cardarelli per i loro sentimenti di alto patriottismo e per
l'opera continua di propaganda da essi svolta in favore del Governo fascista».
Sono senatori per la città
di Roma i miei amici professori Alberto Canaletti Gaudenti e Quinto Tosatti che
assieme alla onorevole Maria Guidi Cingolani (fiduciaria fascista al Ministero
delle Corporazioni con stipendio ed incarichi speciali anche allo estero) hanno
formato l'ariete per l'abbattimento della Monarchia. Essi rappresentano la
corrente repubblicana democristiana più avanzata ed intransigente della
Capitale, in quanto che negano persino ogni influenza di Casa Savoia nel
travaglio del Risorgimento e dell'Unità nazionale. Concordi pure
nell'addebitare alla Monarchia le responsabilità del regime. Il Canaletti, in
i-in volume “Elementi di economia generale e corporativa” pubblicato nel 1942
espone ed illustra i principii, gli statuti, le finalità del corporativismo
fascista, cioè quanto dire l'essenza stessa del fascismo: «Il fascismo, diceva
Mussolini, o è corporativo o non è». Ed il Canaletti scrive che questo ordinamento
costituisce «un sistema politico-economico, sintesi di superamento ad un tempo
del liberalismo e del socialismo». Indi prosegue: «La Carta del Lavoro
costituisce uno dei documenti fondamentali del Regime Fascista, l'enunciazione
dottrinaria dell'etica sociale del Corporativismo italiano». L'autore si duole
presso i suoi allievi che sia rallentato e disperso il senso dell'autorità
civile e sminuito il prestigio della società nazionale» e non vede altro
rimedio che «una ricostruzione anche giuridica sentita da tutti e da tutte le
categorie ad un cenno di comando, autoritario partente dal sommo dell'autorità
statale», cioè da Mussolini. E poi ancora: «Talune grandi realizzazioni sociali
dell'epoca contemporanea, come in Italia l'ordinamento corporativo e in Russia
il regime sovietico confermano la decadenza attuale della politica economica
liberale».
Quinto
Tosatti, suo collega in Senato, proviene dal socialismo
estremista: fu, negli anni dolorosi dal 1919 in poi, corrispondente da Roma
dello slavofilo Lavoratore di Trieste, e nel 1921 confermava con mia lettera a
Vernocchi il perché aveva aderito alla frazione massimalista: «Tu conosci il
mio pensiero sempre e integralmente socialista, contrario a collaborazioni e
compromessi di qualsiasi specie». Verso il 1930 ha una prima crisi di coscienza
e si iscrive al fascismo facendo il suo primo compromesso; nel 1943 caduto il
regime subisce una seconda crisi, siamo al secondo compromesso con la D.C. dove
si installa fra i repubblicani di sinistra che chiedono conto al Re del suo...
compromesso col Regime, e non disdegna sfilare nelle processioni con torcia e
saio francescano.
Il
generale Azzi del quale sono note le adulazioni per
Mussolini passò repentinamente al repubblicanesimo tenendo nei comizi un
linguaggio scurrile nei confronti di Umberto. Egli assunse questo improvviso atteggiamento
perché a guerra finita non furono soddisfatte alcune sue aspirazioni che egli,
attraverso il ministro della guerra Casati, aveva fatto conoscere al
Luogotenente: Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri o Comandante
Generale della Regia Guardia di Finanza, oppure Primo Aiutante di Campo
Generale di Umberto. Deluso nelle suo ambizioni, si vendicava passando al
turpiloquio.
L'ammiraglio
Maugeri nel giustificare il suo passaggio alla fede repubblicana
afferma di aver persino rifiutato la carica di Aiutante, di Campo Generale del
Luogotenente. E' vero invece il contrario: il Maugeri si era proposto per
questa carica ma non poté essere assunto. Di qui la piccola vendetta col
passaggio alla Repubblica e con la pubblicazione di quel non mai abbastanza
biasimato volume Dalle ceneri della disfatta disonore della editoria americana.
Lo stesso De Gasperi del quale abbiamo ampiamente
esaminate le compromissioni col fascismo, parlando alla Camera ed in pubblici
comizi è solito protestarsi vittima, perseguitato e condannato per motivi
politici a 4 anni di carcere ch’egli lasciava credere di avere scontato. Resa
pubblica lo scorso anno la sentenza, apparve dal dispositivo di questa come il
De Gasperi sia stato bensì condannato dal tribunale a 4 anni di reclusione, ma
è anche vero che vennero ridotti in appello a 2 anni e 6 mesi di detenzione. In
quanto al motivo della condanna - ch'egli definiva iniqua - non fu affatto di
indole politica ma bensì per tentato espatrio clandestino, reato comune
contemplato dal Codice Penale attualmente ancora in vigore. Il De Gasperi non
scontò nemmeno i due anni e 6 mesi poiché venne liberato quasi subito,
beneficiando di una clemenza che comunemente si accorda soltanto ai condannati
politici. Egli amava lasciar credere di essere stato liberato in forza di certe
disposizioni del Concordato, ma la verità è un'altra. Il De Gasperi, per mezzo
di padre Tommassetti e di Edvige Mussolini faceva pervenire una «supplica» al
Duce che immediatamente lo faceva scarcerare. «Del resto - scrive la sorella di
Mussolini - non soltanto l'on. De Gasperi ma molti altri esponenti
dell'antifascismo oggi alla Camera e al Senato, si sono rivolti a me per simili
favori ed io mi sono sempre interessata per tutti, come ritengo avrebbe fatto
al mio posto qualunque donna cristiana. Quanto al sentimento della gratitudine
e al modo di esprimersi, ognuno si regola secondo la propria coscienza e il proprio
carattere».
La lista potrebbe continuare
con le relative documentazioni, tali da
coinvolgere giornalisti e politicanti passati improvvisamente dalla tensione esaltatrice
a quella denigratoria: l'on. Bellavista,
dirigente del GUF di Palermo ed ora repubblicano liberale. Pella,
assessore fascista al comune di Biella repubblichino iscritto al fascio di
Orzinuovi (Brescia) monarchico a Biella e repubblicano a Roma, dove lo troviamo
succube della severità implacabile del Cavaliere di Gran Croce e Gran Cordone
dei Santi Maurizio e Lazzaro dottor Crudele, capo del demanio, ispiratori
entrambi degli atteggiamenti poco cristiani di persecuzione contro i membri
della Famiglia Reale nel sequestro dei beni privati; il gerarca on. Togni, consigliere
della Corporazione, del marmo, arricchitosi sotto il fascismo, ed ora ministro
della D.C. di fede naturalmente antifascista e repubblicana; l'on. Domenico La
Russa, sindaco di Catanzaro e poi podestà, consigliere di Corporazioni, ora
deputato d.c. di fede repubblicana; Giulio Einaudi, editore della fascista
Politica Economica (trasformazione della vecchia Riforma Sociale del padre
Luigi Einaudi), oggi editore di Politecnico e di libri cominformisti; Arrigo
Jacchia, redattore per il ventennio del fascistissimo Messaggero di Roma nel
quale si distinse nella campagna contro i suoi correligionari ebrei, poi direttore
della comunista Repubblica di dove investe gli editori del vecchio foglio
romano che per vent'anni lo hanno protetto e stipendiato. E poi ancora quella interminabile
schiera di antifascisti che non disdegnano di assumere le difese di gerarchi e
di imprenditori fascisti davanti alla Commissione dei sopraprofitti di regime:
l'avv. prof. Vittorio Angeloni, repubblicano ultra storico ha sostenuto gli
interessi di Ulisse Igliori e della consociata Federici Agliori; Umberto Tupini,
che aveva votato la fiducia e i pieni poteri a Mussolini, guardasigilli in quel
ministero Bonomi che emise le leggi eccezionali, gerarchissimo della D.C., è
intervenuto in difesa della impresa Salvatore Scalera che fu una ditta
segnalata come fra le più favorite durante il ventennio. Si fanno si, le leggi,
per creare delle vittime, ma poi ci si affretta a partecipare alla loro
difesa...
E che dire degli artisti? Da
Ottone Rosai, sempre sul candelliere degli altari fascisti, a Guttuso, littore per la pittura e capo
del Guf di Roma, legionario in Spagna, il quale gode persino la fiducia di
Stalin, dopo aver goduta quella di Mussolini; da Trombadori a Elio Vittorini,
fascista in Garofano rosso, poi direttore di riviste comuniste, a tutti gli
altri cortigiani passati improvvisamente dalle sfere influenti del Minculpop
all'attivismo artistico del repubblicanesimo comunista.
L'80% dei deputati e
senatori della D.C., specie i più accaniti denigratori del passato regime e
della Monarchia, furono iscritti al fascio e non meno della metà era decorata
di onorificenze regie - cavalieri, commendatori, grandi ufficiali - da loro
sollecitate prima o durante il ventennio.
A Venezia al Congresso della
Cultura e della Resistenza a tinta schiettamente comunista e repubblicana, dove
vennero esclusi i monarchici per mancanza di titoli resistenziali ed accusati
di collaborazionismo col fascismo, troviamo fra gli intervenuti vecchie
conoscenze viste sfilare in orbace nei cortei od a concionare nelle adunate
domenicali: ricordiamo alcuni redattori entusiasti e lautamente retribuiti dei
più intransigenti fogli fascisti, da Gerarchia a Civiltà fascista, altri
vanitosi per l'ambita losanga carminia di «squadristi» all'occhiello. Ha
presieduto Diego VaIeri, repubblicano di punta, già redattore di Cabala diretta
da Nino d'Aroma (1932) di Cinema diretto da Vittorio Mussolini (1936) di
Meridiano di Roma diretto da Cornelio Di Marzio e poi ancora di Tempo, tutto
quello che vi è stato di più ortodosso durante il ventennio, ora collaboratore
del repubblicano e antifascista Mondo.
Ma cosa credono tutti questi
smemorati del politicantismo, dell'arte, della cultura, del giornalismo, che
hanno inneggiato al fascismo a Mussolini ed al Sovrano, ed oggi rinnegano la
loro condotta passata e insultano e accusano soltanto perché le cose sono
andate male; cosa credono che la storia di ieri sia storia antidiluviana?
(1) Dedichiamo ai
repubblicani Calamandrei Piero, al figlio Franco ed al Bentivegna, l'epigrafe
scolpita sul monumento al vice brigadiere dei carabinieri D'Acquisto Salvo la
cui fede monarchica e cristiana lo portava in un frangente come quello di via
Rasella, lui innocente, al più sublime dei sacrifici:
«Esempio luminoso di
altruismo - spinto fino alla suprema rinunzia della vita - sul luogo stesso del
supplizio dove per barbara rappresaglia - era stato condotto, dalle orde
naziste - insieme con ventidue ostaggi civili - del territorio della sua
stazione - pur essi innocenti - non esitava a dichiararsi unico responsabile -
d'un presunto attentato contro le forze armate tedesche.
«Affrontava così da solo,
impavido la morte - imponendosi al rispetto dei suoi carnefici - e scrivendo
una pagina indelebile di purissimo eroismo - nella storia gloriosa dell'Arma.
Torre di Palidoro (Roma), 23
settembre 1943»
(2) P. E. TAVIANI: La nuova
pace e il nuovo Impero, in « Vita e Pensiero », fase. 6-6-1936, pp. 246-250.