NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 24 novembre 2015

Vittorio Emanuele III, Re e soldato - prima parte


Il Re e Diaz
La  storia  millenaria   di  Casa  Savoia  è  ricca  di  Sovrani  guerrieri, dagli  Amedei  VI  e  VII, il conte  Verde  ed  il  Conte  Rosso, ai  quali  la  regina  Maria Josè, dall’esilio, dedicò  uno  studio  approfondito, pubblicato  con  la  prefazione  di  Benedetto  Croce ( vedi  bibliografia  n.  1), per  arrivare  ad  Emanuele  Filiberto, detto  il  secondo  fondatore  di  Casa  Savoia, il  quale  dopo  la  vittoria  ottenuta  con  l’esercito  imperiale, a  San  Quintino, nel  1557, amato  e  stimato  come  un  figlio  da  Carlo  V, e  da  Filippo  II, come  un  fratello, preferì  tornare  nel  suo  Ducato, per  ricostruirlo  e  dargli,  con  il  trasferimento  della  capitale  da  Chambery  a Torino, quel  carattere  italiano, che  fece  di  Casa  Savoia, fin da allora, vedi  anche  la  figura  e  l’opera  del  figlio, Carlo  Emanuele I, un  punto  di  riferimento  per  chi  sognava  un’Italia  libera dagli  stranieri. E  Maria  Josè, con  una  passione  di  cui  Le  dobbiamo  essere  grati, dedicò  anche  ad  Emanuele  Filiberto  uno  studio (vedi  bibliografia n.  2) di  alto  valore  storico, e  dopo  di  Lui  come  non  ricordare  Vittorio  Amedeo  II, che  con  il  fondamentale  aiuto  del  cugino, il  principe  Eugenio  di  Savoia, tra  i  più  grandi  condottieri  e strateghi  della  storia  militare, libera, nel  1706 ,  Torino  dall’assedio  francese, erige  riconoscente  la  splendida  basilica  di  Superga,  opera  di   Filippo  Juvara, come  la  palazzina  di  caccia  di  Stupinigi, insuperabile  modello  della  grande  architettura  barocca, e  fa  dell’esercito  sabaudo  uno  strumento  prezioso  per  la  difesa  dei  confini, con  un  carattere  non  solo  dinastico, ma  patriottico  e  popolare, sì  che  si  annoverano  diverse  battaglie  che  lo  videro  vincitore, come la  battaglia  dell’Assietta, contro  i  francesi  nel  1747, ma  anche  quando  fu  sconfitto  dimostrò  il  suo  valore  e  salvò  sempre  il  suo  onore. 
Il  carattere  militare  della  Dinastia  non  mutò  con  l’ascesa  al  trono  dei  Carignano, e  le  circostanze  storiche, con  il  Risorgimento  e  le  guerre  d’indipendenza  fecero  sì  che  Sovrani  e  Principi  fossero  in  prima  linea  nelle  vicende  belliche, cominciando  da  Carlo  Alberto, che, ancora  principe, si  batté  valorosamente  al  Trocadero, e  poi  nel  1848  guidò  l’esercito  sardo  contro  gli  austriaci, avendo  al  suo  fianco  i  figli  Vittorio  Emanuele, Duca  di  Savoia, e  Ferdinando, Duca  di  Genova. Alla  ripresa  delle  ostilità, nel  1849, pur  avendo  affidato  il  comando  al  generale  polacco  Chrzanowski, Carlo  Alberto  partecipò  alla  infausta  battaglia  di  Novara, pare  cercando  addirittura  la  morte  in  combattimento. Nel  1859, Vittorio  Emanuele, divenuto  Re,  guidò  personalmente  l’esercito  sardo  ed  a  San  Martino  fu  determinante  per  la  vittoria, guerra  che  non  vide  la  partecipazione  del  fratello  Ferdinando, morto  prematuramente  nel 1855. Nel  1866  è  ancora  Vittorio  Emanuele  II  al  comando  nominale, tenuto  effettivamente, in  maniera  non  felice, dal  Lamarmora, ed  i  due  figli, Umberto, principe  di  Piemonte  ed  Amedeo, Duca  d’Aosta, partecipano  alle  operazioni  belliche  ed  Umberto  respinge  le  cariche  degli  ulani  nel  famoso  quadrato  di  Villafranca, durante  la  battaglia  di  Custoza , confermando  il  legame  indiscusso  tra  Esercito   e  Casa  Savoia.
E  Vittorio  Emanuele  III? Nasce  l’11  novembre  1869  a  Napoli, dove  risiedeva  il  padre, il  principe  ereditario  Umberto, con  la  Consorte  Margherita,  a  testimonianza  del  rispetto  che  per  l’antica  capitale  delle  Due  Sicilie, avevano  il  giovane  Regno  d’Italia  e  Casa  Savoia. Acquisita  Roma  Capitale, dopo  meno  di  un  anno, il  20  settembre  1870, si  apriva  per  l’Italia  unita  un  lungo  periodo  di  pace, per  cui  il  giovane  principe, venne  sì  instradato, come  tradizione, alla  carriera  delle  armi, cominciando  con  l’Accademia  Militare  della  Nunziatella, a  Napoli, istituzione risalente  al  Regno  delle  Due  Sicilie, e  giustamente conservata  dal  nuovo  Stato  per  la  sue  benemerenze, ma  non  ebbe  eventi  bellici  che  lo  vedessero  presente, essendo  rimasto  in  pace, il  Regno  d’Italia, in  Europa, dal  1870  al  1915 , non  considerando  le  campagne  coloniali, in  Etiopia e  la  guerra  di  Libia .
Sempre  per  la  sua  educazione, non  solo  militare, fu  affidato, nel  1981,  ad  un  brillante  ufficiale, di  elevata  cultura  e  di  indiscusse  qualità  di  carattere, il  Tenente  Colonnello  Egidio  Osio, di  quarantuno  anni  e  di  famiglia  lombarda, che  veniva  da  importanti esperienze  in  Germania, dove  dal  1878, era  stato  Addetto  Militare, presso  la  nostra  Ambasciata  a  Berlino, e  che  lo  accompagnò  nella  crescita  culturale  per  ben  8  anni, fino  all’ 11  novembre  1889. Ebbene  di  questa  vicinanza  e  del  rapporto instauratosi  tra  principe  ed  educatore, vi  è  una  eccezionale  testimonianza  nel  volume (vedi  bibliografia n. 3 ), pubblicato  dal  nipote  di  Osio, perché  illustra  questi  rapporti, anche dopo  cessato  l’incarico, con  le  lettere  inviate  da  Vittorio  Emanuele  al  vecchio  precettore,  lettere  che  servono  ad  inquadrare  l’attività  del  principe  nei  suoi  ruoli  militari. Questo  perché  Vittorio Emanuele   fece  il  suo  tirocinio  in  maniera  effettiva  e  non  formale, dimostrando  una  capacità  di  comando  ed  un  acuto  spirito  di  osservazione  della  vita  militare, di  cui  è  appunto  testimonianza  la  corrispondenza  inviata  all’Osio, che  divenuto  maggior   generale  , forse, se  non  fosse  prematuramente  scomparso  nel  1902, avrebbe  potuto  raggiungere  posti  di  maggiore  responsabilità, perché  Vittorio  Emanuele, divenuto  Re  costituzionale  e  rispettoso  del  Parlamento, si  era  però  riservato  un  campo  di  azione  nelle  vicende  militari  e  nelle  nomine  dei  Ministri  della  Guerra, dove, ad  esempio, nel  1902,  fu  nominato, a  dimostrazione  della  parità  raggiunta  in  ogni  campo  dagli  israeliti,  il  generale  Ottolenghi, che  a  Napoli  negli  anni  ’90  era  stato  comandante  del  Corpo  d’Armata  e  quindi  superiore  diretto  del  giovane  Principe. Vittorio  Emanuele  sapeva  bene  che  la  parte  del bilancio  dello  stato, dedicato  alle  spese  militare, era  insufficiente, perché  vi  erano  tante  altre  esigenze  di  carattere  economico  e  sociale, il  famoso  decennio  giolittiano,che  più  giustamente  dovrebbe  definirsi  vittorioemanuelino-giolittiano, ma  rispettava  le  decisioni  del  parlamento  che  non  era  molto  tenero  nei  confronti  delle  esigenze  dell’esercito. (vedo  bibliografia  n. 4)
Vittorio  Emanuele , iniziò  la  sua  carriera  militare  alla  fine  del  1889, come  tenente  colonnello  a Roma, nella  fanteria, dimostrando subito  le  doti  sopra  ricordate, ed  ancor  di  più  l’anno  successivo, quale  colonnello, comandante  il  “primo”   reggimento  di  fanteria  a  Napoli, che  così  vedeva  nuovamente  un  Principe  Ereditario  della  nuova  Dinastia  Sabauda, risiedere  nella  capitale  del  Mezzogiorno  d’Italia. E  da  colonnello  a  generale  operò  sempre  a  Napoli, dando  prova  delle  sue  capacità  di  comando  e  di  rispetto  delle  superiori  gerarchie  militari, che , a  loro  volta, lo  consideravano  per  il  suo  grado, ma  non  come  Principe, prova  questa  della  serietà  dello  spirito  gerarchico, non  certo  “cortigiano”, ed  appunto  le  lettere  scambiate  con l’ Osio, sono  di  tutto  questo  eloquente  dimostrazione, come  pure  lo  sono  per  attestare  la  giusta  severità  di  Vittorio  Emanuele, nei  confronti  di  ufficiali  resesi  colpevoli  di  mancanze, non  solo  di  servizio. (vedi  bibliografia  n. 5). Questo  tirocinio  durato  circa  un  decennio, di  cui  altra  parte  vissuta a  Firenze, che  era  stata ,  sia  pure  per  pochi  anni  Capitale  del  Regno  d’Italia,   consentì  anche  al  futuro  Re, di  conoscere  il  materiale  umano  di  cui  disponeva  l’esercito, con  diversi   militari  di  leva  aventi  già  una  fedina  penale  non  trascurabile, nonché  in  buona  parte  analfabeti, condizioni  che, nel, quindicennio  successivo  si  sarebbero  modificate  in  senso  positivo  per  cui  il  soldato  del  1915  si  sarebbe  rivelato  ben  diverso  da  quello  degli  anni  ’90  del  1800, anche  se, come  valore  personale , e  lo  provarono  le  sfortunate  vicende  delle  campagne  in  Africa  Orientale, da  Dogali, a Makallè, all’ Amba  Alagi  e  ad  Adua, ricordiamo  i  De  Cristoforis  con  i  suoi  cinquecento  soldati, i  Galliano ed  i  Toselli, non  era  secondo  a  nessuno.
In quegli  anni, ultima  decade  del  1800, nell’organizzazione  dell’Esercito, erano  avvenute  diverse   modifiche, la  più  importante  delle  quali  era  stata  la  istituzione  del  ruolo  di  Capo  di  Stato  Maggiore  dell’ Esercito, per  primo  ricoperto  da  Cosenz, di  origine  meridionale  ed  allievo  della  “Nunziatella” , cui  seguì  Primerano, fino  ad  arrivare  il  primo giugno  1896, al  generale Tancredi   Saletta, che  resse  tale  incarico  fino  al  27  giugno  1908, con  il  quale  il  suddetto  ruolo  si  svincolava  parzialmente  dal  Ministero  della  Guerra, acquistava  la  sua  autonomia, e , soprattutto, rispondeva  al  Re Vittorio  Emanuele  III, che  per  la  sua  esperienza, aveva  raggiunto  una  notevole  competenza  in  materia  militare, per  cui: “Il  Capo  di  Stato  Maggiore  prepara  in  tempo  di  pace  e  sottopone  a  S.M. il  Re, con  cui  ha  relazione  diretta, i progetti  di  operazioni  di  guerra  da  svolgersi  durante  e  dopo  la  radunata.”(  vedi  bibliografia n. 6).
Con  questa  nota  si  veniva  finalmente  ad  individuare  il  compito  del  Capo  di  Stato   Maggiore, come  effettivo  comandante  dell’esercito  in  caso  di  guerra, onde  evitare  il  ripetersi  di  quanto  avvenuto  nel  1866. Al  Saletta  seguì  il  generale  Alberto  Pollio, uomo  di  grande  cultura  storica  e  militare, la  cui  improvvisa  scomparsa  ai  primi  di  luglio  del  1914, prima  cioè  dello  scoppio  della  grande  guerra, avrebbe  portato  a  Capo  di  Stato  Maggiore, Luigi  Cadorna  e  con  Cadorna  il  24  maggio  1915 , saremmo  entrati  in  guerra  contro  l’Austria-Ungheria  ed  il  Re sarebbe  partito  per  il  fronte, dove  sarebbe  rimasto  per  tutta  la  durata  della  guerra, meritando  il  titolo  di  “ Re  Soldato”.

Prima  però  di  seguire  il  Re  nella  sua  vita  di  fantaccino  è  bene  ritornare  sulla  sua  corrispondenza  con  l’antico  precettore  Egidio  Osio, nel frattempo  divenuto  Tenente  Generale  del  Regio Esercito, all’epoca  il  massimo grado,  perché  la  stessa  proseguì  anche  dopo  l’assunzione  al  trono, con  lettere  non  formali, ma  lunghe  ed  impegnative, che  denotano  l’assoluta  fiducia  che  Vittorio  Emanuele, riponeva  nella  riservatezza  del  destinatario  e  perciò  rappresentano  un  “unicum” nella  vita  del  Re  e  nei  suoi  rapporti   con  tutte  le  personalità  che  ebbero  frequentazione  con  Lui, e  confermano  l’ipotesi  che  se  l’ Osio, che  il  Re  aveva  nominato  conte ed  insignito  della  massima  onorificenza  della  Corona  d’Italia,  non  fosse  morto  prematuramente,  avrebbe  potuto  ricoprire  ben  alti  incarichi, come  già  accennato  all’inizio.
Nel  quindicennio  dal  1900  al  1915, chiaramente  il  Re, doveva  dividere  il  suo  tempo  e  le  sue  presenze  tra  tutte  le  attività  istituzionali, senza  dimenticare  la  vita  familiare, che  era  di  esempio  per  tutte  le  famiglie  italiane (vedi  bibliografia  n.7), ma  non  mancava  mai  a  quelle  attinenti  la  vita  militare, dalla  visite  alle  caserme, alle  riviste, tipica  quella  celebrativa  dello  Statuto, nella  prima  domenica  di  giugno   e  particolarmente  alle  manovre, le  grandi  manovre   dove  si  muovevano  sul  terreno  decine di  migliaia  di  soldati. Ed  a  tale  proposito  è  interessante  notare , testimoniato  da  decine  di  fotografie, come  il  Re, di  massima  sempre  serio, fosse  invece  sorridente  quando  si  trovava  tra  i  suoi  soldati, nei  quali, proprio  per  la  sua  diretta esperienza  giovanile, non  vedeva  un  esercito  dinastico, ma  l’espressione  migliore  del  popolo  italiano, pur  con  i   tanti  limiti  che  ben  conosceva,  e  la  garanzia  della  difesa  dei  confini. Sorridendo  ai  soldati, sorrideva  all’Italia  che  amò come  nessun  altro, per  cui  tanti  anni  dopo, in  esilio  in  Egitto, iniziava  il  suo  diario , il  primo  gennaio  1947, scrivendo  “Viva  l’Italia, ora  più  che  mai”.
Così  si  arriva  al  24  maggio  1915  Vittorio  Emanuele  invia  un  proclama  alle  forze  armate, sobrio, sintetico, efficace, come  fu  giudicato  anche  da  spiriti  critici, (vedi  bibliografia  n.8), proclama  che  riportiamo  e  parte  per  il  fronte, la  sera  del  25 maggio, in  forma  strettamente  privata:
“L’ora  solenne  delle  rivendicazioni  nazionali  è  suonata. Seguendo  l’esempio  del  mio  grande  Avo, assumo  oggi  il  comando  supremo  delle  Forze  di  Terra  e di  Mare, con  sicura  fede  nella vittoria, che  il  vostro  valore, la  vostra  abnegazione, la  vostra  disciplina  sapranno  conseguire. Il  nemico  che  vi  accingete  a  combattere  è  agguerrito  e  degno  di  voi. Favorito  dal  terreno  e  dai  sapienti  apprestamenti  dell’arte , egli  opporrà  tenace  resistenza, ma  il  vostro  indomito  slancio  saprà  di  certo  superarlo .
Soldati , a  voi  la  gloria  di  piantare  il  Tricolore d’Italia  sui  terreni  sacri  che  natura  pose  a  confine  della  Patria  Nostra; a  voi  la  gloria  di compiere   finalmente, l’opera  che  con  tanto  eroismo  iniziata  dai  vostri  Padri.”   
E  da  quel  momento  in  poi, come  vedremo, il  Re, affidando  al  capo  di  Stato  Maggiore  la  direzione  delle  operazioni  e  riservandosi  il  compito  di  vigilanza  assidua, di  controllo  e  di  consiglio,  starà  ininterrottamente  al  fronte, salvo  dei rapidi  rientri  a  Roma,  in occasione  delle  crisi  governative, la  prima  nel  1916, con  le dimissioni  del  gabinetto  Salandra, sostituito  dal  Boselli  e  poi  nel  1917, dopo  Caporetto, con  le  dimissioni  di  Boselli  e  l’incarico  a  Vittorio  Emanuele  Orlando, che  costituì  un  governo  di  unità  nazionale  con  il  cattolico  Meda  ed  il  repubblicano  Comandini, crisi  che  imponevano  la  sua  presenza, in  quanto  la  Luogotenenza  Generale  del  Regno, affidata  dal  Re, allo  Zio  Tommaso  di  Savoia, Duca  di  Genova, all’atto  della  nostra  entrata in  guerra, riguardava l’ordinaria  amministrazione  e la  normale attività  istituzionale  e  di  governo. Per  cui  fu  la  Regina  Elena, che  a  sua  volta  aveva  trasformato  il  Quirinale  nell’Ospedale  Militare n.1,  a  recarsi  con  i  figli   diverse  volte  nelle  zone  di  guerra, ed  in  una  di  quelle  occasioni, a  Venezia, incontrandosi  con  la  Regina  Elisabetta  del  Belgio, avvenne  il  primo  incontro  tra   i  due  giovani, il  principe  Umberto  e  la  principessa  Maria  Josè, che  studiava  a  Firenze, nel    prestigioso  Collegio  della  Santissima  Annunziata di  Poggio  Imperiale. Quanto  al  giovane  principe  Umberto, vestito  con  l’uniforme  militare  e  la  mantellina  grigia, fu  più  volte  portato  dal  Padre, durante  le  sue  ispezioni  e  per  lui  poi  preparò  gli  album  delle  sue  fotografie (vedi  bibliografia  n.9). Accennando  al  Belgio  è  doveroso  ricordare  che  anche  il  Re  Alberto, fu  sempre  a  fianco  dei  suoi  soldati,  mentre  altrettanto  non  può  dirsi  del  Re  Giorgio  V, che  fece  delle  saltuarie  visite  al  fronte,  e  tanto  meno  del  Presidente  della  Repubblica  Francese, Poincarè, mentre  vicino  al  fronte  erano  sia  lo  Zar  Nicola  II, che  il  Kaiser Guglielmo  II, con  intorno  pletora  di  generali, ambienti  ben  diversi  da  quello  semplice  scelto  da  Vittorio  Emanuele, di  cui  cercheremo  di  seguire  la  sua  vita  giornaliera, con  visite  a  trincee  ed  ospedali, dove ad  esempio  avvenne, casualmente, il  primo  incontro  con  il  caporale  Benito  Mussolini,  ricoverato  per  una  ferita  dovuta  allo  scoppio  di una  bomba  a  mano  durante  una  esercitazione. Non  abbiamo parlato logicamente di  visita  alle  truppe  austro-ungariche da  parte di  Francesco  Giuseppe, ormai  ottuagenario  e  che  sarebbe  mancato  nel  novembre   1916 , compito  che  fu  assolto  dal  principe  ereditario  e  poi  imperatore  Carlo, la  cui  sede  di  comando  era  però  molto  lontana  dal  fronte italiano. Questo  per  un  breve  raffronto  con  gli  altri  capi  di  stato  e  a  conferma  di  quella  tradizione  secolare  sabauda, di  Principi  vicini  al  popolo  ed  ai  soldati, che  Benedetto  Croce  così  sintetizzò  nella  già  citata  prefazione  al  libro  della  Regina : “la  singolare  unione  di  Sovrani  e  popolo  propria  della  storia  di  Casa  Savoia”. Così  rivestito  in  panni  bigi  come  un  fantaccino  lo  vide  d’Annunzio, nella  poesia  dedicata  al  Re, “Per  il  Re”, composta  il  19  novembre  1915 ,  anche  se  il  Re  non  aveva  dismesso  l’ermellino, e  la  porpora,  in  quanto  non  li aveva  mai  indossati!  E  questo  suo  stile  semplice  ed  austero  fu  riconosciuto  ed  apprezzato  da  quanti  lo  visitarono  in  quegli  anni  prima, fino  a  Caporetto, nella  Villa  Torreano  di  Martignacco, vicino  ad  Udine, chiamata  Villa  Italia, nome  che  presero  tutte  le  dimore  del  re, complesso  costituito dalla  Villa  Linussa, dove  risiedeva, Villa  Prampero  e  Villa  Cantarutti, destinate  al  personale  della  Casa  Militare ed  ai  servizi, e  poi, dopo  la  ritirata  di  Caporetto, nella  Villa Corinaldi  a  Lispida, presso  Battaglia, dopo  brevi  tappe  nella  Villa  di  Altichiero  e  Villa  Giusti, che  fu  la  Villa  dove  fu  poi  firmato  l’armistizio, il  3  novembre  1918. ( vedi  bibliografia  n.10).

Infatti  nella  vita  del  Re, oltre  alle  visite  quotidiane  al  fronte,dove  si  informava, osservava, sempre  con  semplicità  e  garbo, specie  con  i  soldati, che   forse  vedevano  di  persona, per  la  prima  nella  loro  vita  il  Re, fino  ad  allora  visto  di  profilo  sui  francobolli  e  sulle  monete, e  la  sua  figura  divenne una  consuetudine  ed  una  leggenda  anche  tra  i  reparti  più  avanzati  che   lo  vedevano  apparire nei  momenti  più impensati  e che  gli  procurarono  una  eccezionale  conoscenza  di  luoghi  ed  uomini, come  non  aveva  nessun  altro,(vedi  bibliografia  n.11) vi  furono  numerosissime  visite  di  personalità  ed  autorità  civili  e  militari,  italiane  e  dei  paesi  alleati. Tra  le  più  significative  la  visita  del  Re  Alberto  del  Belgio, del  Presidente francese Poincarè, del  Principe  di  Galles, il  futuro  Edoardo  VIII, ed  anche  di  autorità  di  paesi  neutrali, tutti  concordi  nell’apprezzamento  delle  doti  di  carattere, di  chiarezza, di  competenza,  di  conoscenza  approfondita  dei  problemi,  e  di  semplicità  del  Re, doti che  ebbero  la  massima  espressione  nell’incontro  di  Peschiera  dell’ 8 novembre  1917, con  l’appassionata  difesa  dei  nostri  soldati  e  della  linea  di  resistenza  al  Piave, come  testimoniato  da  Vittorio  Emanuele  Orlando  e dal  Primo  Ministro  Inglese  Lloyd  George, oltre  che  dagli  altri  militari  francesi  ed  inglesi  presenti. 

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