NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 12 marzo 2016

Il Partito democratico italiano di Enzo Selvaggi - IV parte

I RAPPORTI INTERNAZIONALI

Noi siamo convinti che nessuno dei grandi problemi particolari italiani, e tanto meno il problema italiano nel suo complesso, quello cioè di un Italia intimamente rinnovata, sia possibile prescindendo dalla situazione internazionale, quale essa è stata determinata dalla guerra e quale si va delineando. Anche questi problemi vanno affrontati con fedeltà alle grandi linee direttive della concezione democratica, quali sono state espresse nelle «quattro libertà» di Roosevelt e negli «otto punti» della Carta Atlantica
Il nostro realismo ci impone di considerare queste direttive come precisi impegni, reciprocamente validi sul piano del rapporti internazionali.

Caratteri di questa guerra

E' innanzi tutto necessario veder chiaro nel dati caratteristici della guerra che ancora continua. Essa non è spiegabile con i vecchi sistemi di forze politico-militari e tanto meno con gli slogans della propaganda fascista delle nazioni proletarie in lotta contro le nazioni plutocratiche. Né è spiegabile con lo schema economico-sociale della lotta degli imperialismi quale stadio finale dei regimi capitalistici, poiché questa, ipotesi non si concilia, tra l'altro, con la realtà dell'intervento dell'Unione Sovietica a fianco delle Nazioni anglo-sassoni.

Questa guerra ha un profondo valore religioso: la religione della libertà per il cui trionfo milioni e milioni di uomini affrontano la morte. Ed essa arde non solo fra gli Stati ma anche nei popoli. .

Questa guerra poi rappresenta la crisi totale del sistema politico europeo. L'Europa occidentale è caduta ed i suoi paesi sono stati sconvolti o distrutti dal flusso e riflusso della vicenda militare. E' probabile quindi che questa paralisi e questo decadimento dell'Europa da soggetto ad oggetto della direzione politica mondiale si prolunghino per un notevole periodo di tempo.

Da tali caratteri noi riteniamo che possa derivare ,un mondo più omogeneo spiritualmente e forse politicamente che accetti il principio della collaborazione internazionale, in un ordine internazionale comunque giuridicamente e tecnicamente espresso. Ma ciò importa una revisione se non un totale superamento del concetto, e della struttura dello Stato nazionale.

Oggi, sarebbe dannoso ripetere l'esperienza della Società delle Nazioni che fu paralizzata dal mantenimento paradossale e contraddittorio di una sovranità statale in un ordinamento che formalmente la limitava. Dobbiamo impegnarci nel nuovo ordinamento coli tutte le conseguenze che esso potrà implicare. Fra queste però non può esservi certo quella della diminuzione e dello svigorimento dell'idea di Nazione quale realtà morale, civile, culturale, sociale e politica. E' anzi interessante notare come, insieme all'affermarsi dell'esigenza, di un ordinamento superstatale, questa guerra abbia dovunque rinvigorito e vitalizzato il sentimento nazionale. Quindi se lo schematico internazionalismo è morto, è morto, ed in ogni caso deve morire, anche l'egoismo nazionalistico, maschera dei più chiusi e più gretti egoismi. Non è possibile negare una revisione del concetto politico di Potenza e di grande Potenza. Per quello che ancora tali termini esprimono essi sono riferibili essenzialmente a grandi complessi oceanici e continentali ai quali spetterà perciò nell'ordinamento post-bellico una responsabilità ed una solidarietà contro eventuali ritorni isolazionistici.

Quanto alla futura organizzazone internazionale, ci si domanda se vi sarà gerarchia od eguaglianza. Il problema cosi posto è per noi oggi accademico ed astratto. Il carattere democratico del futuro ordinamento internazionale non potrà sboccare in un sistema rigido e cristallizzato, ma dovrà essere invece mobile snodato. Come sul Piano interno, così sul piano internazionale l'azione democratica dovrà essere diretta a vitalizzare e a liberare le individualità nazionali che i pesi del dopoguerra frappongono alla loro ripresa piena, viva e vitale. Se non si crede a questo, è inutile parlare di ordine internazionale. Esso infatti dovrà basarsi solidamente sulla base di concreti e determinati interessi umani, morali e materiali. Cioè, anche sul piano internazionale non può esservi ordinamento che di per sé regga se non è sostenuto e difeso da un'attiva e consapevole coscienza e volontà morale e politica e se non pone tutti, grandi e piccoli, sullo stesso piano di eguaglianza, di diritti e di doveri.

Si tratta perciò in sostanza di creare e di attivare concreti interessi umani, morali e materiali, cioè dei grandi fatti che i cittadini del mondo devono percepire fin nella loro realtà personale e quotidiana. L'edificio internazionale rimarrà vuoto come l'immenso palazzo di Ginevra se non sarà fondato su di una concreta e sperimentata solidarietà di interessi, la quale sola può essere base per una successiva, formulazione e definizione giuridica

La situazione dell'Italia.

Nel quadro di questi dati direttivi noi collochiamo e prospettiamo gli specifici e particolari problemi italiani. Risolto definitivamente con i Trattati del Laterano un problema che in fondo per gli italiani già da tempo più non esisteva nella sua sostanza, e che tanto meno può esistere oggi, dopo che le recenti circostanze hanno dimostrato la vitalità umana della Chiesa in Italia e diciamo umana in quanto è accettata anche da coloro che non credono nella sua natura divina noi siamo profondamente convinti che l'esperienza democratica dell'Italia è legata alla sorte, alla capacità e alla vitalità dell'ordine internazionale democratico. Ciò importa una precisa responsabilità nostra nel sentire e nell'impostare sul piano internazionale i nostri problemi, ma importa soprattutto corresponsabilità e solidarietà degli altri nei nostri confronti, Ma questi problemi in definitiva e con carattere di urgenza si riducono ad uno solo: la nostra partecipazione alla guerra ed alla pace. Poiché non vi può essere partecipazione alla guerra se non vi è partecipazione alla pace che è lo scopo che la guerra
si prefigge. Abbiamo accettato senza beneficio di inventario la tremenda eredità fascista. Abbiamo pagato e stiamo     ma è necessario  e giusto che noi sappiamo quanto dobbiamo pagare.

Se la giustizia internazionale sarà veramente instaurata nel mondo e se gli Alleati saranno coerenti a quanto più volte hanno proclamato, di fare cioè la guerra al fascismo e non al popolo italiano, difficilmente potranno essere imputate solo al popolo italiano le colpe del fascismo, Il popolo italiano può avere errato ma conviene ricordare agli accusatori di oggi quali e quante forze straniere, non antidemocratiche, appoggiarono ed incoraggiarono Mussolini ed i suoi fascisti.

Noi siamo convinti che il popolo italiano è capace di dare e di soffrire ancora purché il sacrificio non appaia vano e si intraveda una speranza. Questo popolo che vuol risorgere che ha combattuto e combatte, per risorgere, dovrà riprendere il suo posto tra le Nazioni libere, poiché si è tormentato e rifatto nello sforzo della liberazione. Siamo cioè convinti che la parità di diritti, l'alleanza formale non può essere né un dono né un anticipo, ma una dura, dolorosa conquista da parte del popolo italiano, quindi un suo preciso diritto.

Agli Alleati, questi che semplicemente e naturalmente noi chiamiamo Alleati, noi non chiediamo che di metterci nelle condizioni di poter intensificare questo travaglio della nostra liberazione questa conquista della nostra libertà internazionale. Ma l'alleanza significa il riconoscimento, della piena ed effettuale indipendenza, poiché non è concepibile l'indipendenza di uno Stato che non sia in condizione di esercitarla prima di tutte sul piano della politica interna. Ma perché questo possa avvenire noi riteniamo che occorra dimostrare agli Alleati di avere un Governo capace di assumere la piena responsabilità del suo operato nei confronti del popolo.

E' evidente che non possiamo concepire la vita dell'Italia senza una sua consapevole partecipazione alla costruzione dell'ordine internazionale. Accetteremo con assoluta serenità quelle revisioni delle gerarchie di Potenza che la guerra ha operato se ne saremo costretti, purché esse implichino un'equa accettazione da parte di tutti dei corrispettivi doveri. Forse non siamo più una grande Potenza. Siamo però un popolo che, per la sua ricchezza interiore, le sue capacità, le sue risorse morali ed intellettuali, può essere ancora un grande popolo.

Un popolo che ha dei problemi e delle precise condizioni che possono e devono essere risolti in un sistema di collaborazione internazionale. E' necessario però che di ciò siano tutti convinti dentro e fuori.

Il nostro Paese ha, bisogno di opportunità di lavoro e di progresso individuale, fondamenti dell'esperimento democratico. Il quale quindi è legato anche alla misura ed alla tempestività dell'assistenza con la quale i Paesi più ricchi aiuteranno i più poveri a conseguire la libertà dal bisogno.

Il nostro popolo ha una sua moderna storia politica, nella quale ha conquistato la sua indipendenza e la sua unità, e l'ha conquistata nella libertà e per la libertà. Queste popolo vuole che questa unità nazionale, non sia comunque messa in pericolo ed in discussione Perciò esso si attende che i suoi confini, quei confini che, ha raggiunti in una guerra che, se fu l'ultima della sua indipendenza, fu anche la prima della libertà europea, combattuta, dagli italiani contro quegli stessi nemici che ci stanno era di fronte ed a fianco di coloro insieme ai quali oggi combattiamo siano integralmente rispettati e mantenuti

Non possiamo perciò non veder senza allarme e diffidenza, sotto l'urgenza di problemi tecnici, profilarsi la prospettiva di soluzioni politiche.

Tale punto di vista vale anche per le colonie, che l'Italia prefascista aveva conquistato, oltre che per la risoluzione di suoi problemi specifici particolari, anche come prova della sua maturità e capacità di lavoro, di organizzazione, di civiltà, e per contribuire, d'accordo con le altre Potenze interessate, al mantenimento dell'equilibrio e alla diffusione della civiltà europea. Per queste ragioni le colonie appartengono al patrimonio storico della Nazione italiana e noi guardiamo al loro problema con delle prospettive e delle esigenze di ordine storico, morale e politico.

Funzione di pace

Vi è un ultimo aspetto dei problemi internazionali che ci tocca molto da vicino. Non ci riguarda tanto il problema tecnico-politico del modo di collaborazione fra le Potenze, ma ci riguarda il fatto di tale collaborazione. Noi non crediamo allo schema semplicistico sul quale ha speculato la propaganda nazi-fascista della antitesi fra le Potenze occidentali anglosassoni e l'Unione Sovietica. Noi riteniamo infatti che al disopra di qualsiasi motivo ipotetico di future antitesi, vi sia oggi in particolare un profondo motivo di solidarietà europea anti-nazista. In relazione a ciò vi sono larghi margini di un'effettiva collaborazione nella ricostruzione mondiale post-bellica. Accanto a zone di frizione, vi è la possibilità di avvicinamenti progressivi che se ad un dato momento possono irrigidirsi ed aprire il conflitto, possono anche fluire naturalmente in una sempre maggiore collaborazione.

Questo problema interessa particolarmente. noi italiani oltre che tutta l'Europa continentale, poiché il nostro Paese è naturalmente posto ai margini delle due grandi sfere di interessi: ai confini di un mondo slavo in cui l'Unione Sovietica ha parte sempre più preponderante, e nel cento di un Mediterraneo, settore di vitali interessi occidentali. Il nostro atteggiamento di fronte a questi due mondi costituirà il grande problema della nostra politica estera di domani. Per servire gli interessi del nostre Paese e insieme quelli dell'Europa, noi riteniamo di dover escludere nel modo più netto di poter costituire una barriera tra questi due, inondi, o peggio, una pedina dell'uno contro l'altro. Dobbiamo invece costituire un punto di incontro effettivo e necessario di collaborazione solidale.

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