NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 29 aprile 2016

Si torna a parlare di Libia...


... E magicamente compare nelle nostre mani il numero 2 di Candido del 1952.
Il nostro omaggio a Guareschi.

Settanta copertine sulla Guerra

di Paolo Romano
Una mostra. sulla Grande Guerra attraverso le illustrazioni della “Domenica del Corriere” è allestita in questi giorni presso il Liceo Alfonso Gatto di Agropoli, dove sarà visitabile fino a sabato 30 aprile. Sono le copertine disegnate dal celebre Achille Beltrame, giornalista ed illustratore del Corriere della Sera. Una vera e propria storia per immagini che documenta, attraverso 70 copertine dell’epoca, la genesi e gli sviluppi della Grande Guerra.
Ad aprire il percorso è la raffigurazione dell’attentato di Sarajevo all'arciduca Francesco Ferdinando erede al trono d'Austria e alla moglie, pubblicata dal settimanale nell'edizione del 5-12 luglio 1914.
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martedì 26 aprile 2016

lunedì 25 aprile 2016

DIMENTICANZE E NON CONOSCENZA


Alla  vigilia  del  25  aprile  appaiono  i  consueti  articoli  sulla  repubblica  nata  dalla  resistenza, per  cui  anche  il  “Corriere  della  Sera”  del  23 aprile, si  è  unito  al  coro  con  un  articolo  di  Marzio  Breda  dal  titolo  “Nella  resistenza  i  primi  passi  della  repubblica”.

Non  ripeteremo  che  questo  slogan  suona  offesa  ai  militari  che  fedeli  al  giuramento  al  Re, per  primi  scelsero  la  difficile  strada  della  resistenza  nei  confronti  dei  tedeschi, ma  ci  soffermeremo  su  uno  dei  punti in  cui  l’articolista  cita  le  cosiddette  “repubbliche partigiane”, per   definire  alcune  zone  del  Piemonte  dove  per  brevi  periodi   le  stesse  furono  liberate  dalla  presenza  germanica, e  si  ressero  autonomamente, dando  a  queste  zone, che  meglio   sarebbe  definire  “comuni  liberati”, il  significato di  anticipazione  della  successiva  scelta  repubblicana, in  quanto  la  loro  esperienza  “…non  poteva  più  coincidere  con  la  forma  monarchica….”. 

Ora  migliore  smentita  alla  tesi  dell’articolista  è  data  dai  risultati  del  referendum   del  2  giugno  1946, dove  Varallo  Sesia, in  provincia  di  Vercelli, città  medaglia  d’oro   della  resistenza,citata  nell’articolo  come  esempio  di  “repubblica”, vide  la  maggioranza  degli  elettori  scegliere  il  mantenimento  della  Monarchia  con 2.983  voti  contro  i  2.287  repubblicani  e  la  famosa  “libera” Alba, in  provincia di  Cuneo, così  ben  descritta  dall’indimenticabile  Beppe  Fenogllio , nel  suo  “I  23  giorni  della  città  di  Alba”,  vide  ben  6.709  voti  per  la  Monarchia  contro   3.334  repubblicani,  dati  di  un  estremo  interesse  e  particolarmente  significativi  in  provincie  dell’Italia  del  Nord, dove  fu  quasi impossibile  svolgere  una  qualsiasi  propaganda  monarchica  e  dove, non  dimentichiamolo, i  due  maggiori  quotidiani  “La Stampa”  ed  il  “Corriere  della  Sera” , che  uscivano  con  i  nomi diversi dati  loro  in  quell’epoca, erano  decisamente  schierati  per  la  scelta  repubblicana, che  avrebbe  prodotto  l’esilio  e  la  confisca  dei  beni  per  i  Sovrani  di  Casa  Savoia, ma  mantenuto  invece  la  proprietà  dei  suddetti  giornali  e  di  altri  beni  ai  loro  storici  precedenti  possessori.

Sempre  sul  “Corriere  della  Sera”  del  24  aprile   vi  è  invece  un  lungo  articolo  del  piemontese  Aldo  Cazzullo , che  costituisce  la  nuova  introduzione  al  suo  libro  “Possa  il mio  sangue  servire”, dove  viene  ripetutamente  dato  atto  della  presenza  monarchica  nella  resistenza, anche  se, quando  ricorda  i capi  della  resistenza  piemontese,  fucilati  a  Martinetto, e  cita  i  militari  dal  giovane  tenente  Silvio  Geuna, unico  scampato , e  che  ritroveremo  schierarsi  per  la  monarchia   nel  referendum, al  capitano  Franco  Balbis , agli  ufficiali  di  complemento  Errico  Giachino  e  Massimo  Montano  ed  al  generale  Giuseppe  Perotti, non  spiega  che  questa  numerosa e  qualificata  presenza  di  ufficiali  era  dovuta  a  quella  fedeltà  al  giuramento  al  Re  che  abbiamo  già  ricordato , ma  questa  è  o  sarà  “solo”  una  “dimenticanza” !

Domenico  Giglio


domenica 24 aprile 2016

I bidelli della costituzione di Noto, provincia di Siracusa, capitale del barocco


Vi è da qualche tempo, nella nostra sfortunata nazione, una triste consuetudine: il comunicato stampa dell'ANPI e di  SEL.
Nonostante per ovvi motivi di anagrafe l'associazione dei partigiani (comunisti) italiani, detta ANPI, dovrebbe essere pressoché estinta, la suddetta gode invece di una nuova, improvvisa vitalità, non dovuta al gerovital ma alla furbata di iscrivere ragazzotti di estrema sinistra che la mantengono in vita e ne usano i fondi che naturalmente il governo della repubblica nata dalla resistenza di un sacco di gente non solo comunista mette a disposizione.

Ogni volta che si verifica qualche avvenimento non in linea con la più stretta osservanza antifascista - antimonarchica possiamo leggere patetici comunicati stampa che sono per lo più firmati dall'ANPI, Sinistra Ecologia e Libertà, qualche volta Rifondazione Comunista, qualche altra sigla di contorno, fatta da nessuno, che comunque rimarchi che il dogma della trinità repubblicana, "resistenza, repubblica, costituzione" è intangibile e anche se siamo cronologicamente in un altro mondo in Italia le cose vanno così. Punto e basta.

E' di questi giorni la notizia che la visita del principe Emanuele Filiberto, parteciperà  a Noto ad un evento di una certa importanza ..

"Un coro di no si è sollevato da Sinistra Ecologia e Libertà Circolo di Noto, da Noto Libera Democrazia e Partecipazione, da Noto Ambiente, dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia Comitato Provinciale Siracusa, dal Comitato diritti dei Cittadini Noto e dall’A.N.P.I. Noto".

(Perché come tutti sanno a Noto, città subito occupata dalle forze armate anglo americane, vi fu un florido movimento resistenziale che diede un contributo fondamentale alla liberazione della Patria)


Un sentimento di vergogna assale noi (per fortuna, almeno quella....)cittadini di Noto nell’apprendere che – scrivono le associazioni e i partiti – in occasione dell’intitolazione di uno degli altari della Cattedrale Basilica di San Nicolò alla Beata Maria Cristina di Savoia verrà ospitato, accolto dal sindaco, Emanuele Filiberto erede della dinastia dei Savoia tristemente famosa. Di essa infatti bisogna ricordare i vari massacri del risorgimento Italiano ( dal 1860 in poi ): il massacro del sud, con i morti le cui teste mozzate venivano mostrate ai sudditi come macabro monito; il bombardamento dell’artiglieria , durante lo stato d’assedio dichiarato dai Savoia nelle quattro giornate di Milano del maggio 1898 , al comando del generale Bava Beccaris  (ringraziato dall’allora primo ministro Antonio di Rudinì) con più di cento morti e 400 feriti tra i dimostranti che richiedevano la diminuzione delle esose tasse sul grano e sul pane; la prima grande guerra mondiale del 15-18 dai Savoia voluta e costata una enorme carneficina , soprattutto di figli del sud, per la conquista di Trento e Trieste; i morti ammazzati dal fascismo alla cui conquista del potere contribuì, in modo determinante , la mancata proclamazione dello stato d’assedio per la marcia su Roma dei fascisti e il conseguente incarico di capo del governo a Mussolini; la proclamazione delle leggi razziali e dei tribunali speciali con le migliaia di persone (uomini , donne e bambini) deportati nei campi di sterminio; la dichiarazione di guerra contro gli alleati e al fianco della Germania nazista nella seconda guerra mondiale e, dopo quattro anni di indicibili sofferenze di tutti gli Italiani e migliaia di morti , la fuga di tutta la corte dei Savoia, in siti più sicuri, lasciando il proprio regno in balia dell’invasore. Anche per questo i Nostri Padri Costituenti decretarono nella Costituzione l’esilio dei Savoia col divieto d’ingresso in Italia e il sequestro di tutti i loro beni come forma di risarcimento per tutta la Nazione , divieto rimosso solo nel 2002 quando con legge costituzionale è stata abolita la XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione a cui , i Savoia, hanno risposto chiedendo un risarcimento di 170 mln di € come risarcimento per l’esilio oltre alla restituzione dei beni privati confiscati dallo Stato nel 1948! Ecco, ci chiediamo come può il Sindaco, Istituzione di Stato, accogliere l’erede di una dinastia che ha chiamato in giudizio lo Stato stesso! E tutto questo proprio nell'anno del 70° anniversario della Repubblica Italiana! Noi continuiamo a stare dalla parte della Repubblica! Chiediamo al Sindaco quali siano i costi, a carico di tutti i cittadini, di tutta questa operazione che, sembra, sia stata anticipata per usi elettoralistici e, non avendo assolutamente nulla in contrario alla celebrazione religiosa, invitiamo tutti i cittadini a firmare la petizione al Sindaco per fermare tutto ciò!


A questo segue la risposta del Sindaco Bonfanti

Replica del sindaco Corrado Bonfanti ai partiti e alle associazioni che hanno lanciato una petizione contro la visita del principe Emanuele Filiberto di Savoia il prossimo 14 maggio 2016. Il sindaco di Noto Corrado Bonfanti, ha precisato: "Non c’è stato alcun invito ufficiale e il Comune di Noto con il Sindaco in testa sono estranei alla visita; non c’è alcuna bandiera sabauda che sventoli tra le bandiere istituzionali. A me sembra che il dott. Faust Scifo abbia preso una grossa cantonata senza avere la semplice accortezza di essere informato sui fatti; ma l’ha detto proprio lui: siamo in campagna elettorale. Assicuro che il Comune non tirerà fuori alcun centesimo, mentre per quanto riguarda la cerimonia, a volere la presenza in città di Emanuele Filiberto sono state le associazioni degli Ordini dinastici di casa Savoia con il delegato regionale Francesco Atanasio di Siracusa, e il delegato di zona di Noto Francesco Maiore".

Conferma, che poi arriva dallo stesso ordine: "Il Principe Emanuele Filiberto di Savoia è stato invitato dalla Delegazione per la Sicilia degli Ordini dinastici di Casa Savoia, che promuove nel solco delle tradizioni assistenziali dei detti Ordini solo iniziative ed attività di natura benefica, caritativa, religiosa e culturale; la Delegazione per la Sicilia degli Ordini dinastici di Casa Savoia, che sostiene per evidenti ragioni di cortese ospitalità, tutti gli oneri legati alla visita del Principe, nel 2014 ha provveduto a far restaurare a proprie spese lo stemma del Regno d’Italia che si trova affrescato nel Palazzo Municipale e che versava in un grave stato di degrado alla pari dello stemma del Comune di Noto; nessun onere, costo o spesa di qualsivoglia natura grava o graverà sulle finanze comunali; il Principe Emanuele Filiberto di Savoia sarà presente a Noto per partecipare alla Santa Messa nel corso della quale sarà consacrata l’immagine votiva della Beata Maria Cristina di Savoia, elevata alla gloria degli altari da Sua Santità il Papa Francesco nel 2014 e per venerare le Reliquie di San Corrado".


Come si vede la madre dei mentecatti non smette di figliare. Senza neanche voler entrare nel merito delle sciocchezze storiche, riportate secondo il consueto copione, ci limitiamo a considerare che il principe è anche lui cittadino di questa repubblica, va dove meglio crede ,partecipa agli eventi che preferisce e che questi cialtroni non hanno il potere legale di impedire nulla a nessuno.
Notiamo in questa accozzaglia di miserabili che vorrebbe riconoscere diritti a tutti e toglierli a quelli che li hanno, lo stesso fondamentalismo dell'ISIS. Soprattutto la stessa intelligenza. 
Vorrebbero fare i guardiani e fanno i bidelli rompiscatole.
Vorrebbero fare i guardiani di una costituzione che, pure nata male, enuncia qualche buon principio come quello della libertà di pensiero, di associazione, di stampa etc ma miracolosamente saltano 52 articoli scritti quasi decentemente e corrono a leggere le disposizioni transitorie e finali.
Le uniche che sono all'altezza dell'intelligenza loro.

P.S.Tra l'altro, cercando in rete, abbiamo trovato lo stemma del comune di Noto: questo che segue. I miserabili ci dormiranno la notte?


http://www.gazzettadelmediterraneo.it/9442/noto-replica-bonfanti-la-visita-del-principe-emanuele-filiberto-comune-non-sosterra-spese/

sabato 23 aprile 2016

Il Re è morto, viva il Re

Settant'anni dopo il referendum del 2 giugno, il mito monarchico sopravvive in Italia. E' un movimento di nicchia che attrae anche giovani adepti convinti che la politica attuale sia ormai screditata.


Non c'era la tivù, figurarsi la Rete, Facebook e tutto il resto. Le donne avevano appena conquistato il diritto a votare. E non era tanto la disoccupazione a preoccupare gli elettori, c'era tutto un Paese da ricostruire, nel morale e nelle strade. Ma anche settant'anni fa, in Italia, c'era aria di referendum, uno di quelli che avrebbero deciso (per davvero) la storia nazionale.

Il 2 e 3 giugno del 1946, il regime fascista alle spalle, gli italiani dovevanoscegliere fra la Monarchia, accusata di non aver arginato la deriva mussolinana,e la Repubblica. E scelsero per quest'ultima, nonostante fossero sostanzialmente spaccati fra le due opzioni e malgrado le accuse di brogli argomentate con vigore dai sostenitori di Casa Savoia. Settant'anni dopo, di monarchici, ce ne sono ancora, anche se ormai confusi fra le minoranze. Non solo discendenti di nobili casate o nostalgici, ci sono anche giovani innamorati del mito monarchico, che immaginano il ritorno di un re (costituzionale) al Quirinale come l'occasione di riscatto di un Paese in perenne crisi di credibilità. Avessero una rappresentanza partitica - ma ufficialmente si tratta di qualche migliaio di iscritti a un mosaico di associazioni raramente collegate fra loro - potremmo ritrovare anche molti di loro nelle fila dell'anti-politica imperante, certo in una versione più elitaria e tradizionalista.

«Dopo settant'anni può esserci una monarchia 2.0 che difenda l'unità nazionale e la sua storia. Che sia davvero super partes, perché un re non è frutto di una mediazione in Parlamento»
«Non si tratta di tornare al passato, dopo settant'anni può esserci una monarchia 2.0 che difenda l'unità nazionale e la sua storia. Che sia davvero super partes, perché un re non è frutto di una mediazione in Parlamento. Che garantisca la stabilità politica. E che torni a dare un'autorevolezza internazionale all'Italia». Simone Balestrini è il monarchico che non ti aspetti, nel 2016. Haventitré anni, è nato a Saronno, dopo Tangentopoli e poco prima che iniziasse la stagione politica berlusconiana, già Seconda Repubblica. Balestrini è il segretario del Fronte Monarchico Giovanile, sezione che raccoglie circa 300 iscritti dell'Unione monarchica italiana fra i 16 i 27 anni.

Studia Giurisprudenza alla Cattolica di Milano, fa il pendolare, veste come i suoi coetanei, non mette certo in discussione il regime democratico, anzi. Sta sorseggiando un caffè in un bar vicino a piazza San Babila, mentre spiega a Linkiesta di essere rimasto folgorato leggendo da piccolo le storie delle monarchie contemporanee del nord Europa. «Vedo arrivare fra noi tante persone comuni, sempre più giovani che non si fidano dei politici di oggi», assicura Balestrini, convinto della necessità di una rigenerazione morale: chi può contribuire a farlo meglio, è il senso del suo discorso, di una dinastia senza ansie da prestazione elettorale?


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Elisabetta II, una regina "low cost": solo la Corona di Spagna spende meno

Segnalare articoli di "la repubblica" normalmente ci ripugna, e non perché si chiama così ma per la mancanza di verità del giornale. Stavolta lo facciamo ma non manchiamo di sottolineare come nell'articolo manchi il confronto, stridente,  con i costi delle repubbliche europee, in particolare con quelli della sciagurata repubblica di casa nostra.


La più cara è la monarchia norvegese: costa 3,38 sterline l'anno per ogni suddito, oltre 4 euro. Sul podio anche Olanda (1,85) e Danimarca, molto staccato il Regno Uniti con 0,62 sterline e la Spagna (0,13). La minoranza repubblicana resta critica: "Nel conto mancano le spese per la sicurezza"


LONDRA - Un'obiezione della minoranza repubblicana britannica al tripudio nazionale per i 90 anni della regina Elisabetta, festeggiati ieri (oggi anche il presidente Obama va a farle gli auguri al castello di Windsor), è: avete idea di quanto costa la monarchia al contribuente? Be', costa, questo è vero, ma uno studio pubblicato stamane dall'Independent prova a calcolare esattamente quanto in confronto alle altre case reali d'Europa.
 
In assoluto, quella di Elisabetta II è effettivamente la più costosa di tutte: il budget annuale è di 40 milioni di sterline (50,8 milioni di euro), rispetto ai 31 della monarchia olandese, ai 17 di quella norvegese, agli 11 della svedese, ai 10 del Belgio, ai 9 della Danimarca e ai 6 della corona spagnola. Ma se si fa il confronto in rapporto alla popolazione, ovvero al numero di abitanti, quella britannica è la più economica o meno costosa d'Europa, fatta eccezione della spagnola. La più cara è la monarchia norvegese, con l'equivalente di 3,38 sterline a persona, seguita da quella olandese con 1 sterlina e 85, quella danese con 1,62, quella svedese con 1,21, quella belga con 0,96 e appunto quella del Regno Unito con 0,62, battuta nella gara al risparmio soltanto dalla monarchia spagnola con 0,13.
 
Questo calcolo è tuttavia parziale, precisa l'Independent, poiché non tutti gli abitanti pagano le tasse. Se si guarda al numero di contribuenti (in Gran Bretagna sono poco meno di 30 milioni di persone su una popolazione totale di oltre 60 milioni), il costo della monarchia britannica è di 1 sterlina e 26 per contribuente.

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giovedì 21 aprile 2016

GENETLIACO DELLA REGINA ELISABETTA II




Tantissimi auguri al più grande Capo di Stato dell'era moderna, Sua Maestà la Regina Elisabetta II che oggi festeggia i 90 anni.


Da Churchill a Cameron, ben dodici Primi Ministri hanno servito sotto di lei.
Tutti i martedì li ha ricevuti, ascoltati e consigliati.
Mai si è saputo nulla di questi colloqui, mai un pettegolezzo, una voce.
Sempre e solo serietà e senso dello Stato, a questo servono i Capi, meglio ancora se regnanti così avulsi dal gioco politico.
Solo lo scorso anno, oltre 300 impegni ufficiali, mai un passo indietro, mai un lamento.

Auguri Maestà, esempio insostituibile di una vita per la propria Nazione!!!

lunedì 18 aprile 2016

La resistenza, anniversario di pacificazione

Cartolina riferita all'8 Settembre ma che ben illustra
lo spirito dell'articolo riferito al 25 Aprile
di Emilio Del Bel Belluz  

Fra qualche giorno si comincerà a parlare della ricorrenza del 25 aprile. Come ogni anno, ci saranno degli interventi contrastanti sulla verità storica. I partigiani  vogliono che in quella data siano ricordati gli eroismi della resistenza,  dall’altra parte ci sono quelli che hanno scelto di affidare la loro vita all’Italia, volendo combattere per mantenere un patto di lealtà con i tedeschi e che per tanto anche questi avrebbero diritto di essere ricordati. 
Sono figlio di un soldato, che per non tradire il suo giuramento al Re, venne fatto prigioniero e deportato in Germania. In quel campo di concentramento trascorse gli anni dal 1943 al 1945. Alla liberazione rimase prigioniero dei Russi e tornò in Italia quasi un anno dopo. Spesso diceva che la sua esperienza militare non l’avrebbe augurata nemmeno al suo peggior nemico. Ha sofferto la fame, indicibili erano le sofferenze fisiche, come la paura di morire durante i bombardamenti e la struggente nostalgia per la lontananza  della patria. In questi giorni, pensavo a lui, perché gli sarebbe piaciuto che gli italiani in questa data storica, potessero ricordare tutti i caduti, onorarli senza che l’odio scendesse nei loro cuori. Le ferite sanguinano ancora, ma l’unica vera vincitrice dovrebbe essere la pacificazione tra le parti. Quando mi reco al camposanto non ho difficoltà a pregare sulle tombe  sia dei partigiani che dei soldati di Salò. La morte li accomuna e per me i caduti in guerra e nel dopo guerra  vanno sempre rispettati. 

Mi sono venute in mente due realtà, che a mio giudizio potrebbero spiegare cosa intendo per concordia nazionale. Il primo di questi esempi  è dato da una donna che ha trascorso la sua vita a dare sepoltura ai soldati i cui occhi guardavano il cielo. Trovo questa storia nella rivista cattolica – Grotta di Lourdes – Del Beato Claudio, scritta da suor Annachiara Rizzo: “Una testimone della nostra storia recente è Lucia Pisapia in Apicella più conosciuta come “mamma Lucia”, nata a Cava de’ Tirreni (Sa) il 18 novembre 1887 e morta sempre a Cava il 23 luglio 1982. Dopo lo sbarco  degli alleati durante la seconda guerra mondiale si erano susseguiti, nei dintorni di Cava de’ Tirreni, violentissimi scontri con l’inevitabile e inutile carneficina. Centinaia di soldati morti erano stati sepolti alla meglio in cimiteri improvvisati, ma molti altri giacevano qua e là sotto il sole e la pioggia, nei boschi e lungo le scarpate e non avevano ricevuto degna sepoltura. Mamma Lucia una notte fa un sogno: sulla montagna vicino a Cava vede otto croci bianche e sotto otto bellissimi giovanotti che si levavano in piedi dalle zolle. Inizialmente si spaventò, ma poi si fece coraggio e domandò chi fossero.  gli risposero: siamo tanti e di tante nazioni diverse e implorarono “riportaci alle nostre mamme“. Per mamma Lucia questa divenne una missione e cominciò a cercare i resti mortali che lavava e componeva in cassette di zinco, e fece arrivare alle famiglie. Ha dato sepoltura a più di ottocento soldati italiani, tedeschi, polacchi, marocchini e americani”. Questa donna non ha fatto domande sulla nazionalità di questi soldati,  li ha adottati tutti. 

Un altro episodio che possa far comprendere la parola pacificazione lo ho trovato scritto in un libro delle classi elementari. Il racconto è di Elio D’Aurora :” A Narvik, in Norvegia, ve nè uno, ricordo doloroso e tragico dell’ultima guerra. E arrampicato sulle rocce che cadono a picco nel fiordo. Da quelle acque emergono  carcasse di  tre sommergibili  tedeschi. Sono ombre di guerra che ancora rimangono, con le loro sagome scure, contro lazzurro pallido del cielo. Resteranno lì. Più avanti si vedono, sospesi sulle rocce, fortini diroccati, fortificazioni smantellate. Il tempo che cancella ogni odio e rancore ha pietà anche del nemico, perché quassù  tutti hanno seminato cadaveri: Tedeschi, Inglesi, Norvegesi. E quassù riposano insieme. Senza rancori, senza vendette. Ogni tomba ha il suo fiore. Anche le tombe Tedesche. Le madri Norvegesi non fanno distinzione tra figli e figli. Ora che la morte è passata, col suo peso tremendo, gli uomini hanno ripreso a volersi bene. Le tombe si risvegliano ogni domenica. Il profumo delle rose si infonde col profumo dei fiori di campo.  Cimiteri di guerra. Selve di croci dove un tempo vi furono selve di baionette. Donne stanno chine sulla terra grigia, i fazzoletti scuri annodati sul capo: parlano sommessamente con i figli che stanno nell’aldilà. E altre ancora si piegano sui tumuli che ricordano i soldati nemici e vi mormorano una preghiera e vi depongono un fiore. Poveri figli che hanno bisogno della pietà di una mamma straniera (Elio DAurora)” . 

Sono questi due esempi in cui l’odio si è potuto fermare. Personalmente troverei giusto che ogni parte potesse ricordare i suoi morti, quelli che si sono immolati per i loro ideali.  Quanto sarebbe bello e giusto che anche il presidente della Repubblica potesse onorare per la prima volta sia i partigiani che i ragazzi di Salò.

sabato 16 aprile 2016

Alzati che sta passando la Regina popolare

di Antonio Polito

Nei suoi 64 anni di regno Elisabetta II  ha saputo personificare l'identità di una nazione molto più di tanti capi di Stato repubblicani in  tutto il mondo


Sono un convinto repubblicano. E però bisogna ammettere che le monarchie costituzionali funzionano alla perfezione, sopravvivono ai cambiamenti, e anzi talvolta si mostrano più capaci dei sistemi repubblicani di stare al passo coi tempi.

Prendete Elisabetta II. Giovedì prossimo compie 90 anni, si dovrebbe immaginarla decrepita a un'età in cui di sicuro in Italia si chiederebbe a gran voce la rottamazione magari condita dai consueti insulti al vecchiume che sempre risuonano nei cambi di regime (“giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza…”

E invece Elisabetta Windsor è ancora, e meglio di chiunque altro, la personificazione dell'identità  di una nazione. Anzi delle quattro nazioni riunite nel Regno Unito perché è sempre meglio non dimenticare che ciò che chiamiamo Gran Bretagna è frutto di una unione tra inglesi, gallesi, scozzesi e irlandesi non sempre pacifica né sempre volontaria e quindi bisognosa di simboli viventi.

[....]

Ci permettiamo di chieder al Dottor Polito, sicuramente uno dei migliori giornalisti d'Italia in questo tempo, se forse non è il caso di rivedere qualcuna delle sue convinzioni dopo aver schiettamente riconosciuto che le Monarchie funzionano alla perfezione.
Ci complimentiamo comunque per il bellissimo pezzo, pubblicato sul "7" del Corriere della Sera del 15/4/2016.

Il fascismo fu la risposta alle minacce dei "rossi"

Nel 1919-20 la sinistra evocò lo spettro della rivoluzione, ma provocò la nascita dello squadrismo. Come racconta Pansa in "Eia Eia Alalà"
di Giampaolo Pansa
Tutti i nodi vennero sciolti con il colpo di spada dell'offensiva squadrista. È il calendario a ricordarci la velocità di quell'azione. Un blitz che ebbe inizio, si sviluppò e vinse in meno di due anni: dalla fine del 1920 all'ottobre del 1922.
I rossi cianciavano di rivoluzione, i neri costruirono con i fatti la reazione a tante chiacchiere. Aveva ragione il mio edicolante: la colpa di aver messo in sella il fascismo, e di aver mandato al governo Mussolini, era soltanto dei socialisti. Chi comprese subito quanto era avvenuto fu uno scrittore anarchico, il bolognese Luigi Fabbri, autore di un libro stampato nel 1922 dall'editore Cappelli e intitolato: La controrivoluzione preventiva. La sua tesi era semplice. La rivoluzione tanto predicata dai socialisti non era arrivata e in un certo senso non era mai stata voluta per davvero. Ma le sinistre l'avevano fatta pesare come una minaccia per tutto il 1919 e il 1920.
Questo fu sufficiente a provocare la controrivoluzione moderata, di cui il fascismo era il protagonista più impietoso e risolutore. Una bufera che si giovò soprattutto di due armi: la violenza illegale dello squadrismo e la repressione legale del governo liberale, attuata dalla polizia, dai carabinieri e dalla guardia regia, quasi sempre rivolte contro le sinistre.
Il risultato fu simile ai giochi di guerra delle Play Station odierne. Le sinistre avevano gridato per due anni di voler fare come in Russia, ma senza saper passare dai proclami alla rivoluzione vera. E i fascisti andarono all'assalto per impedire a chiunque di trasformare in fatti le teorie del bolscevismo nostrano. Gli incauti parolai rossi si erano comportati come l'apprendista stregone: avevano creato il mostro che li avrebbe divorati.
Infine le sinistre erano pronte a farsi sconfiggere. Dentro un corpo in apparenza molto solido celavano il virus della discordia e della divisione. Stavano insieme in un solo partito e in poco più di un anno si ritrovarono frantumate in tre segmenti. Nel gennaio 1921, a Livorno, la corrente guidata da Antonio Gramsci e Amadeo Bordiga lasciò il Psi e fondò il Partito comunista d'Italia. Allora accadde un fatto assurdo, che anticipava tutte le pazzie destinate nel futuro a corrodere la sinistra italiana. Mentre il nuovo partito iniziava subito l'attacco ai vecchi compagni, i socialisti rimasti nel Psi rinnovavano all'unanimità la fedeltà a Mosca che aveva voluto la scissione.
Anni dopo, un Gramsci costretto all'autocritica avrebbe affermato che la scissione era stata «il più grande regalo fatto alla reazione». Ma in quel 1921, già carico di pericoli per la sinistra, pochi lo compresero. Fra questi c'era Nenni, che scrisse: «A Livorno è cominciata la tragedia del proletariato italiano». E un altro politico vicino al Psi sfornò un'immagine sempre attuale: «La scissione è il cacio sulla minestra della borghesia».
Ma al socialismo italiano una sola frantumazione non bastava. Se ne costruirono una seconda all'inizio dell'ottobre 1922, ventiquattro giorni prima della marcia su Roma. Al diciannovesimo congresso del Psi, la corrente massimalista, sfruttando una lieve maggioranza di delegati, espulse i riformisti di Filippo Turati, Claudio Treves e Giacomo Matteotti. I compagni messi fuori dalla vecchia casa formarono un nuovo movimento politico: il Partito socialista unitario. Affidato alla guida di Matteotti, nominato segretario. Gramsci schernì subito il deputato di Fratta Polesine dicendo che era «un pellegrino del nulla».
Mentre la sinistra si svenava in una guerra senza quartiere contro se stessa, lo squadrismo fascista cresceva a vista d'occhio e partoriva figure sempre nuove. Molti protagonisti della controrivoluzione in camicia nera il lettore li troverà effigiati in Eia eia alalà. Alcuni di loro emergevano da un'Italia sotterranea e sconosciuta, da mondi estranei alla politica, con un passato torbido, non privo di nefandezze. È il caso di una coppia di amanti, poi divenuti marito e moglie: i conti Carminati Brambilla che hanno un posto di rilievo in questo libro.
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Mentre scrivevo questo libro mi sono rivolto una domanda. Nell'Italia degli anni Duemila è possibile vedere emergere un regime autoritario non molto diverso dal regime fascista, anche se di colore differente, bianco invece che nero, oppure rosso o rosa? Non è un interrogativo privo di senso. La storia europea del Novecento ci ha insegnato che le dittature nascono in paesi che hanno tre caratteristiche. Sono deboli perché stremati da una guerra o da una crisi economica feroce. Hanno istituzioni democratiche screditate e che non funzionano più, in mano a partiti inefficienti e corrotti. Risultano dilaniati da contrasti sociali molto forti, tra una minoranza di presunti ricchi e una maggioranza di cittadini sempre più poveri. L'Italia del 2014 è così? Esiste un'affinità tra il paese di oggi e quello del 1919-1922? Qualche volta temo di sì.


http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/fascismo-fu-risposta-minacce-dei-rossi-1247331.html

Elisabetta II d’Inghilterra: la vita di una regina che diventa icona

Il suo è il regno più lungo della storia britannica, talmente lungo da aver superato quello di tutti i suoi predecessori. Che dire, Elisabetta II d’Inghilterra è senza dubbio la regina dei primati.
Oltre 5000 capelli per uno stile inconfondibile: sobrio e conservatore nella foggia ma strabiliante nei colori. Non a caso, nel 2003, è proprio alla regina che fu dedicata una mostra organizzata a Kensington Palace: i suoi accessori, borsette e cappellini diventarono protagonisti di un’esibizione che solo in parte rese omaggio all’iconico stile di Elisabetta, celebre in tutto il mondo.
Elisabetta II è, ad oggi, la sovrana più longeva d’Inghilterra: record raggiunto il 9 settembre 2015, giorno in cui la durata del suo regno ha superato il record precedentemente appartenuto alla trisavola Vittoria, che rimase sul trono 63 anni e 216 giorni.
Ma proviamo a conoscere più da vicino Elisabetta, amatissima dal suo popolo e rispettata in tutto il mondo: una figura talmente iconica da rappresentare, con la sua sola persona, l’intera monarchia britannica.
Figlia primogenita di Giorgio VI ed Elizabeth Bowes-Lyon, Elisabetta era destinata a salire sul trono fin dalla nascita. Fu alla morte del padre, avvenuta il 6 febbraio 1952, che Elisabetta divenne Regina. L’incoronazione, tuttavia, ebbe luogo solo l’anno successivo, il 2 giugno 1953.
Esempio di lealtà, onestà e correttezza, Elisabetta II ha dedicato l’intera esistenza alla monarchia. Fu celebre il discorso di Cape Town, pronunciato in occasione del suo 21esimo compleanno, durante la sua prima visita ufficiale d'oltremare: "io dichiaro davanti a voi tutti che tutta la mia vita, sia essa lunga o breve, sarà dedicata al vostro servizio e al servizio della nostra grande famiglia imperiale a cui tutti apparteniamo", disse al microfono della radio.
Elisabetta ha mantenuto la sua promessa. Pragmatica, composta, con un carattere d’acciaio: ha servito sempre il suo paese, anche prima di diventare regina. Durante la seconda guerra mondiale, per esempio, partecipò attivamente agli sforzi bellici della Corona, unendosi al Servizio Ausiliare Territoriale, per il quale fu impiegata come autista per essere poi promossa a Comandante Onorario Junior.
Non è sbagliato affermare che conosciamo molto dell’Elisabetta pubblica, ma che dire dell’Elisabetta privata, moglie, donna e madre? La regina ha raccontato molto poco di le tanto che, in 64 anni di regno, non ha mai rilasciato un’intervista. Pur vivendo nell’epoca della comunicazione massiva, in cui chiunque ha la possibilità di raccontare e raccontarsi, Elisabetta II ha compreso pienamente il valore del silenzio.
Ma proviamo a scavare un po’ nel privato di una regina che è diventata simbolo d’Inghilterra. Che dire, per esempio, dell’amore? Sposata con Filippo di Edimburgo dal 1947, l’inizio della loro relazione sembra essere nato tra le pagine di un romanzo rosa: Elisabetta aveva solo 13 anni quando vide per la prima volta Filippo. La futura regina si trovava a bordo del Royal Yacht e, stando alle cronache dell’epoca, Filippo si mise ad inseguire la futura moglie a bordo di una semplice barca a remi. Tra loro cominciò una fitta corrispondenza, che poi sfociò nel matrimonio.
Il loro è (ed è stato) un matrimonio felice? Cosa si nasconde dietro la pesante coltre delle apparenze reali? Unmatrimonio fatto di continue scappatelle, pare. Sembra che Filippo non sia stato un marito esemplare, anzi. Un principe consorte farfallone, dal quale Elisabetta non ha mai preteso fedeltà. E' questo quanto emerge da una celebre biografia della regina, pubblicata nel 1996 da Sarah Bradford.
Ma lasciamo da parte l’amore, le scappatelle e gli scandali reali per concentrarci di più su Elisabetta: cosa piace alla regina? Ama i cani di razza Corgi e, nella sua vita, ne ha avuti oltre 30, nutriti rigorosamente con carne della migliore qualità. Il suo genere letterario preferito è il giallo e, ovviamente, tra le sue autrici preferite figura Agatha Crhistie.
Che dire, invece del suo stile? Come fa ad essere sempre così impeccabile? Molto semplice: gli orli delle sue gonne sono "arricchiti " di speciali pesi da tenda che impediscono all'abito di alzarsi. Sempre parlando di stile, poi, in moltissimi avranno notato che i suoi outfit sono costantemente accompagnati da una borsetta nera(lo stesso modello da 70 anni), dalla quale la regina non si separa mai, Il motivo? Il modo in cui utilizza la borsetta è un modo per comunicare, rigorosamente in silenzio, con il suo staff. Se la borsetta passa da un braccio all'altro significa che la regina è stanca della presenza del suo interlocutore; se, invece, la borsetta finisce sul tavolo, significa che, per la regina, è tempo di congedarsi. La sopracitata borsetta ha destato così tanta curiosità che le è stato addirittura dedicato un libro intitolato "What’s in the Queen’s Handbag: And Other Royal Secrets" (Cosa c'è nella borsa della regina e altri segreti reali).
Elisabetta II d’Inghilterra è molto più di una regina. E' una regina che diventa icona. 

venerdì 15 aprile 2016

La sovranità e l'identità nazionale durante il Regno d'Italia

L'evento  si svolgerà nella mattinata di domenica 29, dalle ore 9.30 alle ore 13, avrà luogo presso l'Arciconfraternita del SS. Nome di Maria, Foro Traiano n. 89 (adiacenze di Piazza Venezia), Roma

Su "La Stampa" di oggi


Eugenio di Savoia, il segreto del guerriero

Con la divisa degli Asburgo, fu tra i generali che fermarono i turchi a Vienna nel 1683. Si dice che amasse gli uomini e fosse spietato in battaglia
Il principe Eugenio di Savoia è uno dei più sfuggenti fra i grandi generali della storia. In 72 anni di vita non scrisse nulla che potesse svelare qualcosa del suo animo agli storici futuri, né diari né memorie né lettere private: solo una fitta corrispondenza d’ufficio, in parte autografa, in francese o in italiano, in parte dettata a segretari, in tedesco. Non si sapeva nemmeno di che nazionalità fosse, perché era sì un Savoia, ma d’un ramo cadetto ed era nato a Parigi....



giovedì 14 aprile 2016

Quanto costava la Monarchia e quanto costa la repubblica


Un quotidiano di Roma pubblicava in data 19 giugno 1957 la seguente lettera:

Reale Tenuta di San Rossore

Egregio Signor Direttore,

l’articolo di Gianni Granzotto del 15 scorso: «Quanti milioni occorrono per stipendiare Re e Presidenti» contiene alcune inesattezze che credo atto di giustizia dover rettificare.

1) L'importo della Lista civile assegnato a Vittorio Emanuele III era bensì di 11 milioni e 250 mila lire, ma poiché il Sovrano restituiva al Ministero del Tesoro il milione del dovario che lo Stato doveva per legge alla Regina Margherita, Egli passava alla Madre detta somma deducendola dal suo appannaggio. L'importo della Lista Civile veniva così ridotto a 10 milioni e 250 mila lire fino al 1927.

I Principi di Casa Savoia non avevano appannaggi speciali e le Principesse rinunciarono tutte alla costituzione della dote personale alla quale avevano diritto per legge, ma vi provvide sempre il Sovrano col suo patrimonio privato.

2) Non si possono fare paralleli con le liste civili straniere poiché queste avevano obblighi insignificanti in confronto con quelli della Corona italiana la quale doveva provvedere alle spese di manutenzione ed al miglioramento - senza diritto alcuno di rimborso - di circa un centinaio fra Palazzi Reali, residenze, edifici vari, basiliche, ecc. pervenuti al Demanio dagli Stati scomparsi ed addossati alla Corona. Queste spese alle quali vanno aggiunte le pensioni al personale dei vecchi Ducati e del Reame delle due Sicilie, assorbivano circa un terzo della Lista civile, spese che scomparvero (ma non tutte) soltanto nel 1919 con il trasferimento dei Beni della Corona al Demanio ed all'Opera Combattenti alla quale il Sovrano cedette ben 8.000 ettari di terreno produttivo, con frutto pendente.

3) Dalla documentazione tratta dall'Archivio del Quirinale (documentazione che i Comitati di Liberazione non fecero a tempo a far scomparire) risulta che Vittorio Emanuele III nei 46 anni di Regno beneficiò di circa 540 milioni che, dedotti di un terzo per la manutenzione dei palazzi e delle ville reali, si ridussero a 360 milioni. Di questi erogò per beneficenza, borse di studio, istituzioni scientifiche artistiche e agrarie, circa 120 milioni. Il Sovrano prelevava dalla sua Cassa privata 5 mila lire al giorno a titolo personale che la Regina Elena e le Principesse spendevano in beneficenza anonima in soccorso alla povera gente dei tuguri e delle soffitte. Egli stesso soccorreva artisti bisognosi con l'acquisto di quadri che da un recente inventario risultano essere circa 10 mila dei quali 5 mila già da Lui donati allo Stato. Totale di tutte queste spese a titolo benefico e soccorritore, poco più di 200 milioni. Rimasero dunque a disposizione della Corona per la vita quotidiana e per il suo decoro circa 160 milioni da ripartirsi in 46 anni di Regno.

Il solo Corpus Nummorum (la raccolta delle monete) regalato da Vittorio Emanuele III al popolo italiano è stato valutato 3 miliardi. Vi è un quadro antico alla Galleria Sabauda di Torino (costituita con danaro privato di Casa Savoia) che vale circa mezzo miliardo. E di quadri ve ne sono in questa Galleria ben 700! E poi il Museo egiziano, l'Armeria Reale, la Biblioteca con la raccolta di monete antiche di Carlo Alberto. Valori di miliardi lasciati in Italia a disposizione del popolo italiano. I gioielli così detti della Corona, di indiscutibile proprietà privata, furono da Re Umberto depositati alla Banca d'Italia. Egli partì da Roma con due modeste valigie di indumenti personali. Ecco perchè il patrimonio di Casa Savoia, malgrado le angherie persecutorie dei catoni repubblicani, è risultato a conti fatti di modeste proporzioni.

4) Altra inesattezza è quella riguardante la lista civile del Presidente della Repubblica. Essa infatti non consiste soltanto, come dice il Granzotto, nei 12 milioni dell'assegno personale più i 182 milioni di dotazione alla Presidenza, ma occorre aggiungervi i 10 milioni per la manutenzione dei beni (pochini davvero) e poi ancora l'assegno di ben 730 milioni al «Segretariato Generale della Repubblica». stabilito dall’art. 4 della legge 9 agosto 1948, n. 1077. Con recente decreto venne destinata alla Presidenza della Repubblica anche la tenuta di S. Rossore che ha un reddito di 130 milioni annui. Aggiunti al precedenti abbiamo un totale di 1 miliardo e 62 milioni, costo della Presidenza della Repubblica. Le obbiezioni sulla svalutazione della moneta valgano sia per la spesa Presidenziale che per quelle della Corona, ben inteso lese, prendendo per base le annate 1946-1948.

Venne dunque assegnata alla Presidenza una dotazione sulla base di 103 volte quella della Monarchia!

Distinti saluti  

MARIO VIANA

mercoledì 13 aprile 2016

La Giordania per il Santo Sepolcro


Un editto di Abdullah II ribadisce l’attenzione della monarchia hashemita verso i Luoghi di Gesù

Il Re di Giordania Abdullah II ha deciso di finanziare il restauro della Tomba di Gesù nella Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme.  Lo ha annunciato l’agenzia di stampa giordana Petra citando un editto reale pubblicato il 10 aprile. 
Dell’iniziativa è stato informato in una lettera il Patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, S. B Kyrios Kyrios Teofilo III. Il restauro era stato annunciato due settimane fa dalle tre confessioni cristiane che condividono la giurisdizione sulla Chiesa del Santo Sepolcro: i greco-ortodossi, i francescani della Custodia di Terra Santa e gli armeni.
Il restauro si è reso necessario per via del degrado della struttura provocato dall'umidità prodotta dal respiro delle migliaia di pellegrini e dal fumo delle candele. Esiste già uno studio e un progetto di intervento elaborato dalla National Technical University di Atene sul quale c’è l’accordo di tutte le parti: i lavori dovrebbero durare otto mesi e concludersi all'inizio del 2017. 
Fino a ieri, però, si parlava di un intervento che sarebbe stato finanziato dalle tre confessioni, da contributi pubblici erogati dal Governo greco e da benefattori privati.
“L’annuncio della Corte hashemita, è stato salutato come un gesto di grande generosità dal patriarca Teofilo III. 
“Il ruolo svolto dalla Giordania nella protezione della presenza dei cristiani in Terra Santa –ha sottolineato il patriarca – è chiaro e innegabile. Re Abdallah sta guidando gli sforzi di tutti i giordani nel seminare i semi dell’amore e della fratellanza tra musulmani e cristiani in questa era in cui guerre settarie stanno bruciando intere nazioni”.