NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 5 marzo 2017

5 giugno 1944 – 9 maggio 1946: due anni difficili – La Luogotenenza del Principe Umberto - terza parte


Il  Quirinale  non  era  però  solo  sede  di  incontri  politici, ma  per  precisa  volontà  del  Principe  Umberto, anche  sede  di  iniziative  assistenziali  e benefiche  o  simili, quale  ad  esempio  il  21  gennaio  1945, un  pranzo  offerto  a  50  soldati  del  Battaglione  “San  Marco”, con  il  suo  personale  intervento, o  il  giorno  di  Pasqua del  1945, un  pranzo  per  ben  500  bambini poveri  e  100  soldati. 
Il Sovrano con i piccoli mutilatini
 E  sempre  in  questa  data   viene  aperto  un  ambulatorio  per bambini  mutilati civili  di  guerra, intitolato  “Maria Gabriella”, come pure  saranno  aperti  la  casa  “Maria Beatrice”  per bambini  mutilati  di  guerra, la colonia  elioterapico  “Maria  Pia”  per  bambini  dei  quartieri  operai, e  una  cucina  per  gli  indigenti  “Mafalda  di  Savoia” e varie  altre  iniziative  per  chiudere  con  un  Ufficio  di  Assistenza, che  solo  nel  1945, distribuì  10  milioni  di  contributi, cifra  rappresentante  il  90%  degli  emolumenti del  Luogotenente.  Ed  a  proposito  di  queste  attività  è  interessante  un  dialogo  tra   De  Gasperi, che  essendone  venuto  a  conoscenza, ed  evidentemente  apprezzandole, si  rivolge  a  Lucifero, quasi  incitandolo: “le  rendete  note  queste  cose?”  e  Lucifero  che  rimane  interdetto, quasi non pensando  all’effetto  propagandistico  che  avrebbero  avuto. E  queste  azioni  benefiche  sarebbero  proseguite  particolarmente  dopo  il  rientro  a  Roma, della  Principessa  Maria Josè, il  7  giugno  1945, e  quello  successivo  dei  giovani  principi, con  il  pranzo  di  Natale  per  100 bambini  poveri, un  altro  analogo  per  il  Capodanno ed un ulteriore per  l’ Epifania,  dove  appunto  i  principini  più  grandi  aiutavano  nel  servizio.
Quella  solitudine  del  Principe, cui  accennammo  all’inizio, si  era  notevolmente  attenuata  perché  oltre, logicamente  al  Ministro  della  Real  Casa, ed  agli  aiutanti  di  campo, generale  Adolfo  Infante  e  l’ammiraglio  Franco  Garofalo, si  erano  riavvicinati  alla  Corona, Vittorio  Emanuele  Orlando, al cui  parere   venivano  sottoposti  numerosi  problemi giuridici, Francesco  Saverio  Nitti, che  rientrato  dall’esilio, aveva  pronunciato  un  importante  discorso  al  San  Carlo  di  Napoli  sottolineando  la  funzione  stabilizzatrice   e  moderatrice  della  Monarchia, e  persone  più  giovani  quali  Carlo  Scialoja, esperto  di  diritto, e   per  la  politica  estera, Giovanni  Visconti  Venosta, diplomatico, entrambi  discendenti da famiglie che già avevano  dato  importanti  contributi  nel  Risorgimento  e  nel  successivo Regno, nonché  alcuni  giornalisti  fra  i  quali  Luigi  Barzini jr.,  Ugo  D’Andrea  ed  il  liberale Manlio Lupinacci, che troveremo  nel  gruppo  che  salutò  il  Principe, divenuto  Re,  quel  triste  pomeriggio del  13  giugno  1946  a  Ciampino.  Ebbene  tutte  queste  attività  del  Principe, di  cui ricorderemo  fra  l’altro  il  messaggio  di  Capodanno  del  1946, letto  alla radio, indirizzato ai  nostri  prigionieri  di  guerra, e  l’accoglienza, il  17  novembre  1945, a  reduci  dalla  Russia, presente  anche la  Principessa, che, a  sua  volta, aveva  ripreso  diversi  contatti  con  personalità  della  cultura, in primo  luogo  Zanotti  Bianco, non  mutavano  la  propensione  repubblicana  anche  di  personalità  lontane  dai  comunisti, il  cui  atteggiamento  è  perfettamente  descritto  dal  conte  Carandini  in  questa  frase: “La  Monarchia  è  una  causa  perdente  e  non  vale  sciuparsi  in  combattimenti  di  retroguardia” o  in  quella, ancor  più  cinica, di  Meuccio  Ruini: “Dobbiamo  schierarci  per  la  repubblica, giacché  se  vince  la  Monarchia, questa  ci  perdonerà e  saremo  sempre lo  stesso  ministri, consiglieri  di  stato….”. In  realtà  nessuno  di  questi  politici appartenenti  alla  nobiltà  ed  all’alta  borghesia, aveva  effettivi  contatti  con  il  popolo, ed  ignorava  quanto  invece  la  Monarchia, come si  vide  nel  successivo  referendum, malgrado  la  propaganda  contraria, la  quasi  totale  impossibilità  di  una  propaganda  monarchica in  tutto  l’Italia  Centro settentrionale, gli  scarsi  mezzi  finanziari  a  disposizione, avesse  radici  ben   profonde, ed  anche, specie  da  parte  delle  donne, alle  quali  era  stata  finalmente  concesso  il  diritto  di  voto,  un  attaccamento, se  non  affetto, per  la  famiglia  reale, e  particolarmente  per le  sue  Regine, che  erano  state  esempio  per  i   costumi  morigerati ed  il tenore di  vita.
Quanto  alla  situazione  politica, riunitasi  finalmente  la  già  citata  Consulta  Nazionale, il  25  settembre,  con  l’elezione  di  Sforza  a  Presidente, nel  governo  Parri si  erano  accentuate  le  spinte  demagogiche, specie  per  una  epurazione  ancor  più  radicale, per  cui  da  parte  liberale  cresceva  l’insofferenza  per  questo  modo  di  agire,  così  dopo  un  acceso  dibattito  interno, i  liberali  provocarono  la  crisi  del  governo, anche  se  Parri, stranamente  attaccato  alla  poltrona  avrebbe  voluto  continuare  a  governare  senza  i  liberali , ma  è  la  Democrazia  Cristiana  a  dargli  il  “colpo di  grazia”, costringendolo  a  presentare  le  dimissioni  al  Luogotenente il  24  novembre  del  ’45. In  questa  occasione  Parri  tenne  un  infelice  discorso, criticato  dallo  stesso  Nenni,  dove  aveva  spiegato  le  sue  dimissioni come  frutto  di  un  “colpo  di  stato” (sic), anche  se  poi  si  corresse  chiamandolo  “colpo  di  mano”. E  queste  infelici  espressioni  oratorie  erano  presenti  anche  nel  suo  discorso  del  precedente  26  settembre, alla  Consulta, dove aveva  pronunciato  la frase, storicamente  falsa, come  lo  rimbeccò  Benedetto  Croce, che  “neppure  prima  del  fascismo, vi  era  stata  in  Italia, una  vera  democrazia”.
Ripresa  così  delle  consultazioni, con  i  tentativi, non  riusciti, di  inserire  nel  governo  gli  esponenti  del  liberalismo  storico, affiorò  il  nome  come  possibile  nuovo  Presidente  del  Consiglio, del  leader   democristiano, De  Gasperi, ed  il Luogotenente gli  affidò  l’incarico  di  formare  il  nuovo  governo  con  tutti  e  sei  partiti  dell’Esarchia, che  era  divenuto  il  termine  per  definire  il  potere del CLN. La  costituzione  di  questo governo  non  si  rivelò  facile  per  le  pur  giuste  richieste  liberali  che  non  trovavano  accoglimento  negli altri  partiti, tanto  che  sembrava  essere   orientato  De  Gasperi  ad  un  governo  senza  i  liberali  se  non  fosse  stato  proprio  richiamato  dal  Luogotenente  al  rispetto  dell’incarico  conferitogli  di  un  governo  a  sei, che, costituitosi,  giurò  con  la  solita  formula, il  10  dicembre. Purtroppo  in tali  trattative  quel  Ministero  dell’Interno, che  in  precedenza  era  stato  negato  ai  socialisti  da  liberali  e  democristiani, fu  concesso  loro  con una  incredibile  leggerezza, particolarmente  grave  specie  da  parte  della  DC  che  ebbe, oltre  agli  Esteri, confermati  a  De Gasperi, due  ministeri  minori, e  per  questo  incarico  i  socialisti  indicarono  Romita, notoriamente  repubblicano. E  tale  nome non  trovò  opposizione  neanche  nel  Ministro  Lucifero, che  sottovalutò  l’importanza  che  i  due  ministeri  chiave, giustizia  ed  interni, fossero  in  mani  socialcomuniste, e  quindi  repubblicani, ed  anzi, riferendosi  proprio  a  Romita, in  un  successivo  incontro  del  12  dicembre, lo  definì  “un  galantuomo”, per  cui  riteneva  sufficiente questa  qualifica  a tranquillizzare  il  Luogotenente. Forse  sia  lui  che  il  Principe, ignoravano  non  solo  il  repubblicanesimo  del  Romita, ma  proprio  l’avversione  a  Casa  Savoia, che  sarebbe  venuta  fuori  anni  dopo  nel  libro  di  memorie, dove  Romita  la  definisce  come  “la  più  inetta  dinastia  europea”, con  una   incredibile  malafede, frutto  di  ignoranza  storica, ingiustificabile  in  un  piemontese  che, almeno, avrebbe  dovuto  conoscere  la  storia  della  propria  regione. Romita  infatti, fin  dal  primo  giorno  del  suo  incarico  lavorò, e  lo  confessa  nelle  memorie, per  il  trionfo  della  repubblica, con  ipocrisia, sempre  acquiescente  stranamente  la  DC, come  nel  caso  delle  prime  elezioni  amministrative  del  successivo marzo  del  1946  per  cui  uno  storico, Andrea  Ungari ,  afferma, e non  mi  sento  di  dargli  torto, che  la  “repubblica  era  già  fatta  il  martedì  11 dicembre  1945”. Così  per  l’eterogenesi  dei  fini  la  crisi  aperta  dai  liberali  per  evitare  lo  scivolamento  a  sinistra  del  governo  Parri, portava  ad  un  governo, salvo  il  Presidente  del  Consiglio, maggiormente  squilibrato  a  sinistra  e  per  la  repubblica.
In  questi  mesi  che  separano  la  nascita  del  primo  governo, presieduto  da  un  cattolico, nella  storia  del  Regno  d’Italia, il  fatto  più  importante   ed anche  l’unica  vittoria  luogotenenziale, fu  l’affidamento  ad  un  referendum  la  soluzione  della  questione  istituzionale, con  il  Decreto    del  16  marzo  1946, n.98, la  cui  firma  fu  accompagnata  da  una  lettera  personale  del  Principe  al  Presidente  del  Consiglio, che  trascriviamo  integralmente, rappresentando  la  sintesi  del  pensiero  politico del  Luogotenente  e  della  Sua  correttezza  costituzionale:
“Signor  Presidente,
Le  restituisco, muniti  della  mia  sanzione, i  provvedimenti  con  i  quali  si indice  il  “referendum” sulla  forma  istituzionale  dello  Stato e  si  convoca  l’Assemblea  Costituente  che  dovrà decidere  sulla  nuova  Costituzione.
Nel  compiere  quest’atto sento di  ricongiungermi  alle  gloriose  tradizioni  del  Risorgimento  nazionale, quando, attraverso  eventi memorabili  indissolubilmente  legati  alla  storia  d’Italia, la  Monarchia  poté  suggellare l’unità  della  Patria  e  i  plebisciti  furono  l’espressione  della  volontà  popolare  ed  il  fondamento  del  nuovo  stato  unitario.
Questo  ossequio  alla  volontà  popolare  dettò  anche  la  decisione  del  mio  Augusto  Genitore  di  ritirarsi  irrevocabilmente  dalla  vita  pubblica  per  facilitare. Come  Egli  stesso  affermò, l’unità  nazionale. Il  medesimo  pensiero  mi  indusse  a  sanzionare  il  Decreto  del  24 giugno  1944, che  rimetteva  al  popolo  italiano  la  scelta  delle forme  istituzionali.
La  sanzione  di  oggi  è  dunque  il  coronamento  di  una  tradizione  che  sta  a  base  del  patto  fra  Popolo e  Monarchia, patto  che, se riconfermato, dovrà  costituire  il fondamento  di  una  Monarchia rinnovata, la  quale attui  pienamente  l’autogoverno  popolare e la giustizia sociale.
In  questo  solenne momento non posso  fare  a meno  di rivolgere  un commosso  pensiero  ai nostri fratelli  ancora  prigionieri  e  internati, ai  cittadini  tutti  di  ogni  terra  italiana, i quali – per  ragioni  indipendenti  dalla  nostra  volontà  e  che per  rispetto  della  giustizia  devono   considerarsi  contingenti – non  potranno  partecipare  alla  consultazione  che dovrà  decidere  anche del  loro  avvenire.
Confido  che  il Governo  saprà  provvedere  affinché  le  elezioni  si  svolgano  nella massima  libertà  degli  individui  e  delle  coscienze,  per  assicurare  quest’ultima, ho  dato, con le disposizioni  testé  sanzionate, libertà  di  voto  a  quanti  sono  legati  dal  giuramento.
Io, profondamente  unito  alle  vicende  del  Paese, rispetterò  come ogni  italiano  le  libere  determinazioni  del  popolo, che, sono  certo, saranno  ispirate  al migliore  avvenire  della  Patria.
Voglia, signor  Presidente, comunicare  ai  signori  Ministri  questa  mia  lettera, che  considero  un doveroso  contributo  alla  serenità  della  consultazione  popolare.
Roma, 16  marzo  1946                         Aff.mo   Umberto  di  Savoia


CONCLUSIONE
                                                                             
A  questo  punto  necessita  una  riflessione: cosa  aveva  giovato al Luogotenente, con  la  sua  innata  signorilità, l’ aver esercitato  con  competenza, in  forma  discreta, formalmente   ineccepibile, la  funzione  di  Capo  dello  Stato, come  osserva Ludovico  Incisa, quando  dalla  parte  dei  ministri e dei  partiti  repubblicani, nessuno  si  era  mosso  dalle sue  posizioni  e  convinzioni  aprioristiche, contrarie al mantenimento della Monarchia, pur  rappresentata da questo Principe? Sempre  Incisa  definisce  “evanescente e patetica, politicamente  rassegnata”  la  Sua  figura, dimenticando  e  sottovalutando  quanto  aveva  fatto  in  quei  mesi  il  Luogotenente, attività  che  abbiamo  seguito  e  descritto. Non  pensava  che  Umberto  di  Savoia  era  stato  educato  a  fare  il  Re, e  non  poteva  quindi  trasformarsi  in  capo  di  un  partito  o  di  una  fazione, quando  il  ruolo  di  un  Re, e  lo  avevano  ampiamente  dimostrato  i  suoi  predecessori, era  quello  di  essere  al  di  sopra delle  parti  e  di  rappresentare  il  vertice  dello  Stato, in  cui  tutti  i cittadini  potessero  riconoscersi. O  come  scrivono  altri storici, pure   non  avversi  alla  Monarchia, c‘era  in  Lui una propensione  ad  espiare  colpe  non  sue, ammesso che  fossero  colpe? Eppure  la  risposta, la  motivazione del  suo  modo  di  agire,  esisteva  e  ne  dette  prova  quando  partì  dall’ Italia, ed  era  quella  di  non  acuire  le  tensioni  tra  gli  italiani, di  arrivare  quanto  prima  alla  pacificazione  tra  gli  stessi,  ancor  oggi  non  raggiunta  dopo  71 anni (vedi  la  proposta  di  amnistia, dopo  la  Sua elevazione al Trono, amnistia  che  Togliatti, ministro  della  Giustizia,  ed il Governo non  concessero), e  sopra  tutto  di   evitare  lo  scorrere  ulteriore di  sangue  fraterno. Il  pensiero   regale   per  gli  umili, come  da  carità  cristiana, l’amore  per  la  Patria, per  il  mantenimento, ad  ogni  costo, della  unità  della  stessa, raggiunta  per  merito  della  sua  Casa, sentimenti e valori  ereditati  dal  Padre, Vittorio  Emanuele, definito  da  Domenico Fisichella  “l’ultimo  uomo  del  Risorgimento”, che  quando, forse  tardi, abdicò, il  9  maggio  1946, prendendo  la  strada  dell’esilio, nella  sua  agenda, il  successivo  primo  gennaio  1947, scrisse “Viva  l’ Italia , ora  più  che  mai”,  avrebbero  fatto  dire  al  Principe, divenuto  Re, in  un  messaggio  alla  vigilia  del  Referendum, che  se  la  Monarchia  avesse  prevalso  per  pochi  voti, era  disponibile  ad  un  secondo  referendum, perché  intendeva  governare  con  un  vasto  consenso  popolare  e  non  con il  51%. Questo  atteggiamento  da  Re, mantenuto  per  tutta  la  vita, anche in  esilio,  spiega  perché  per  decenni, fino  al  termine  della  Sua vita  terrena, 18  marzo  1983, tantissimi  italiani  si  recassero a  visitarlo  in  Portogallo, altri  numerosi  seguissero con  affetto   in  Italia  la  sua  vita, leggessero  con  interesse le  sue  interviste, ancora scrittori, giornalisti  e  storici  rivalutassero  la  sua figura  riconoscendo  il  sacrificio  della  sua  partenza  dall’Italia, altri  ancora   combattessero  democraticamente  ed  a  viso  aperto  la  battaglia  monarchica, così  che  tanti   volgessero  lo  sguardo verso Cascais, sperando, forse, in un Suo ritorno.

Domenico Giglio



Appendice



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Bibliografia:
1) Falcone  LUCIFERO: “L’ultimo  RE- diari  del  Ministro  della  Real  Casa - 1944 - 1946” - editore  Mondadori- collana  “Le  Scie” - 2002
2) Giovanni  ARTIERI: “ Umberto  II  e  la  crisi  della  Monarchia “- editore  Mondadori – collana  “Le  scie”-1983
3) Luciano  REGOLO: “ Il  Re  Signore” – editore  Simonelli – 1998
4) Gianni  OLIVA: “Umberto  II - L’ultimo  Re - editore  Mondadori – 2000
5) Domenico  FISICHELLA: “Dittatura  e  Monarchia “ - editore  Carocci - collana  Sfere - 2014
6) Ludovico  INCISA di  CAMERANA : “Umberto  II  e  l’Italia  della  Luogotenenza  “- editore  Garzanti- 2016
7) Andrea  UNGARI: “In  nome  del  RE - i  monarchici  italiani  dal  1943  al  1948 “-editore  “Le  lettere”- 2004
8) Gianni  OLIVA : “I  vinti  e i  liberati - 8  settembre  1943-25  aprile  1945-Storia  di  due  anni “ editore  Mondadori - collana  “Le  Scie”- 1994
9) Aldo A. MOLA : “Declino  e  crollo  della  Monarchia  in  Italia - I  Savoia  dall’unità  al  referendum  del  2  giugno  1946 “ - editore  Mondadori - collana  “Le Scie “- 2006
10) Giovanni  ARTIERI: “Cronaca  del  Regno  d’Italia “ - volume  secondo - editore  Mondadori – 1978
11) Aldo  A. MOLA: “Umberto II di  Savoia “- editore  Giunti - 1996
12) Niccolò  RODOLICO - Vittorio PRUNAS TOLA: “ Libro  Azzurro  sul  Referendum “ – editore  “Superga” - 1963
13) Enrica  LODOLO: “Savoia “ - editore  Piemme -1998
14) Silvio  BERTOLDI : “Savoia - Album  dei  Re  d’Italia “  -editore  Rizzoli - 1996
15) Vincenzo  STALTARI: “Umberto  II “- editore  Istituto  Teano  di  Cultura – 2003
16) Oreste  GENTA: “S.M. Umberto  II  durante  il  periodo  della  Guerra  di  Liberazione “-  edito  da  INGORTP - conferenza  tenuta  al  Circolo  REX  - 29  gennaio 1989
17) Oreste  GENTA: “S.M. Umberto  II  nei  due  anni  di  Regno “ – edito  da  Ingortp  - conferenza  tenuta  al  Circolo  REX - 21  gennaio  1990
18) Franco  GAROFALO: “Pennello  nero - La  Marina  Italiana  dopo  l’ 8  settembre  1943 .” edizioni  della  Bussola - 1945
19) Giovanni SEMERANO e Camillo ZUCCOLI: "La verità sul Referendum"  - edizioni "Monarchia Nuova", Roma 1996.

2 commenti:

  1. Egregio dottor Giglio, ho letto con piacere il suo breve saggio sulla luogotenenza del principe Umberto...vorrei richiamare la Sua attenzione su di un passaggio che mi lascia molto perplesso: Lei sottolinea il fatto che il principe Umberto non avrebbe potuto fare il capo di una fazione o di un partito, perchè educato a fare il re, come i suoi predecessori che erano sempre stati al di sopra delle parti. Ella non crede che suo padre, Vittorio Emanuele, avallando la dittatura di Mussolini, non si sia schierato a fianco del fascismo? So bene che Mussolini arrivò al governo liberamente eletto dal parlamento, ma questi stravolse in breve tempo la vita politica italiana, arrivando a cancellare ogni forma di democrazia e di espressione del libero pensiero, senza che il Sovrano abbia mai fatto nulla per ostacolare tale deriva.

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  2. I Sovrani costituzionali hanno un ruolo molto più difficile di quanto non si possa pensare. "Il Re regna, ma non governa" è la sintesi. Per cui, come nel caso di Vittorio Emanuele III, lo sviluppo del governo Mussolini, in regime, avvenne gradualmente e sempre legalmente dal 1925 o meglio dal 1928 in poi e, De Felice insegna, con il consenso tacito e non, della maggioranza degli italiani, che toccò il suo culmine nel 1936 con l'esito positivo dell'impresa etiopica. Ancora nel 1938 dopo l'incontro di Monaco di Baviera il prestigio di Mussolini era elevato. I margini di manovra di un Re costituzionale erano ridotti anche se in alcune occasioni sappiamo essersi opposto , ed i diari di Galeazzo Ciano ne sono testimonianza. Il Re aveva i suoi fedeli nelle Forze Armate, ed in tanti altri organismi, dalla diplomazia alla magistratura, ma fino a quando Mussolini avesse goduto del consenso della maggioranza, uno scontro avrebbe portato ad una guerra civile, che mai il Re (come poi suo figlio) avrebbe voluto provocare, o alla sua abdicazione dalla quale l'Italia nulla avrebbe guadagnato, vedi la Germania hitleriana e la Russia staliniana.

    Domenico Giglio

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