NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 12 luglio 2017

VERA DEMOCRAZIA È LIBERTÀ DI OPINIONE

“Riconfermando più che mai i valori dell’antifascismo che ho appreso alla scuola di Garosci e Galante Garrone non mi sento tuttavia di approvare il ddl”-


Dino Cofrancesco sosteneva giustamente che bisogna distinguere tra peccato e reato, in difesa della laicità dello Stato.
La storia, bella, brutta, bruttissima, indecente è sempre storia e nessuna legge può cancellarla.
L’on. Fiano presentatore di un disegno di legge che vieta la propaganda di idee fasciste (esiste già il reato di apologia del fascismo) forse parte da ottime intenzioni,ma nella sostanza sbaglia. Il suo ddl è in discussione alla Camera e già suscita un infuocato dibattito. Fiano appare persona equilibrata e quindi suscita un certo stupore che sia primo firmatario di un progetto di legge che quanto meno crea delle perplessità.
Il liberale Popper sosteneva “il diritto di non tollerare gli intolleranti” nel suo grande libro “La società aperta e i suoi nemici”, un libro che in Italia è stato tradotto e conosciuto con decine di anni di ritardo.
Non sembra però che Fiano si ispiri al filosofo austriaco che forse non ha mai neppure letto.
Quella di Popper tuttavia a me è sempre apparsa un’idea poco liberale perché vanno nettamente distinte le opinioni dalle azioni.
Le opinioni devono essere liberissime in senso assoluto, l’agire di conseguenza appare invece tutt'altro discorso che va punito perché ricorrere alla violenza, in regime di democrazia e libertà -qualsiasi motivazione o matrice politica ci sia dietro certe azioni - può essere consentito e lo Stato democratico ha il dovere di reprimerlo.
I nostri governanti nei confronti dell’estremismo rosso e nero degli ultimi anni 70 non si comportarono in base a questa logica e Carlo Casalegno (che pagò con la vita per le sue idee) scrisse, ripetutamente e inutilmente, che i covi sovversivi andavano chiusi.
I Governi centristi degasperiani invece si posero il problema di una “democrazia protetta” sia nei confronti dei neofascisti, sia soprattutto nei confronti dei comunisti.
La Legge Scelba colpì invece soltanto i neo fascisti che oggettivamente non potevano minacciare la sia pur gracile democrazia italiana perché il recente crollo del fascismo fu così disastroso da non lasciare grandi rimpianti se non ai reduci di Salò e ai nostalgici in generale. Per altri versi, non si può dimenticare
che il PCI diede un grande contributo alla stesura della Carta costituzionale e non poteva accadere che si assumessero misure nei confronti dei comunisti, malgrado i gravissimi i delitti del “Triangolo della morte” suscitassero apprensione e facessero intravvedere delle minacce alla democrazia anche da parte della sinistra.
L’idea di una “democrazia protetta” può aver avuto senso alla fine degli anni 40 e agli inizi degli anni 50.
Dopo fu una sciocchezza che andava contro i principi della stessa Costituzione che vietò la ricostituzione del partito fascista in una norma transitoria. Il ricordare che si trattò di una norma transitoria appare molto utile a chiarire il problema.
Le crociate anticomuniste di Sogno e soprattutto di alcuni suoi amici si risolsero in una bolla di sapone perché la DC rappresentò comunque una diga sicura nei confronti del PCI e tale venne percepita dagli Italiani non solo nel 1948, quando ottenne la maggioranza assoluta dei voti.
Il PCI venne sconfitto attraverso le urne e non ricorrendo a leggi potenzialmente liberticide.
La Costituzione ebbe il merito storico di guardare al futuro dell’Italia e non al suo immediato passato. In questo ha dimostrato di essere stata il frutto di un compromesso al rialzo che storicamente nessuno può disconoscere, anche chi non la ritiene “la più bella del mondo”.
Ci fu il paradosso, nel primo dopoguerra, di Leo Longanesi che inizialmente fascista, aveva rifiutato il regime e, dopo il disastro della guerra perduta, sentì una qualche nostalgia per il Ventennio. Longanesi non faceva però testo perché era soprattutto un artista un po’ stravagante senza una vera valenza politica.
Appare invece fondato il giudizio, tra il serio e il faceto, di Ennio Flaiano che giunse a scrivere che “i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti”.
Flaiano aveva ragione perché non si può storicamente escludere che ci sia stata una forma di fascismo che abbia attraversato i pensieri e le azioni di uomini che appartenevano a schieramenti opposti, al di là della adesione giovanile al regime.
La sola idea manichea di scegliere tra due diverse opzioni e non tra le molte disponibili è sintomo, oltre che di incultura, di settarismo miope.
Il settarismo, in era post ideologica, sembrava essersi ridotto, poi la discesa in campo di Berlusconi ha riacceso gli animi e il passo avanti degli anni ’90 si è come cristallizzato, per non dire che si sia tradotto in un passo indietro. Io ricordo alcune affermazioni coraggiose di Bobbio, ad esempio (che nessuno prese più in considerazione, malgrado stesse crescendo il suo mito) sulla necessità di storicizzare la Resistenza, il che non significa ridurne l’importanza, ma esprimere la necessità di scindere il mito dalla verità storica.
Abbiamo dovuto assistere alle crociate contro Renzo de Felice, uno dei maggiori storici italiani del secondo ‘900, a cui certe gazzarre impedirono persino di far lezione. Massimo e finora insuperato storico del fascismo, De Felice venne accusato di aver “sdoganato il fascismo”, ignorando il fatto che i suoi tomi, scritti a volte in modo contorto, erano letti da pochissimi studiosi e che neppure le sue interviste erano oggetto di vasto interesse. Solo Rosario Romeo, il grande storico di Cavour, difese De Felice a viso aperto, anche rispetto alle congiure tramate contro di lui dal mondo accademico.
Oggi con il progetto di legge dell’On. Fiano sembra che si stia tornando indietro di decenni. La democrazia necessita, per potersi esprimere della più assoluta libertà di opinione. Anche la ricerca storica necessita di questa libertà perché l'ipotesi di risolvere i problemi storici in tribunale è cosa totalmente assurda.
In Germania e in Francia ci hanno provato con esiti allucinanti.
Le opinioni non sono reati. Il revisionismo storico nel quale io non mi colloco, non è un reato.
Potrebbe esserlo il negazionismo, ma tra revisionismo e negazionismo va fatta una distinzione netta.
Dino Cofrancesco sosteneva giustamente che bisogna distinguere tra peccato e reato, in difesa della laicità dello Stato. Commettere atti impuri in passato (oggi il giudizio è sospeso e non si parla neppure più della fornicazione) era considerato un grave peccato, ma certo non poteva essere considerato un reato.
Infrangere il vincolo indissolubile del sacramento del matrimonio era (o è?) un peccato, ma la legge Fortuna - Baslini ha consentito ai cittadini italiani di sciogliere il matrimonio naufragato senza ricorrere a sotterfugi.
Ma la laicità non è solo questione di rapporti tra stato e chiesa, è anche un modo di approcciarsi alla realtà.
Un modo di leggere, quasi dissacrare, le stesse ideologie, rifiutando i pregiudizi dottrinari, diceva il liberale Zanone.
Se si vede il discorso in modo laico, appare più che accettabile, ad esempio, il rifiuto del Movimento grillino che si è riscoperto in questa occasione, sorprendentemente, persino liberale.
Le dichiarazioni della presidenta della Camera Boldrini che avrebbe il dovere di tacere su un disegno di legge in discussione alla Camera, rivelano invece uno spirito settario che fa pensare alla famosa frase di Flaiano.
Forse oggi in Italia i pericoli, senza sottovalutare assolutamente Casa Pound, sono il populismo e l’estremismo islamico che insanguina l’Europa.
Riconfermando più che mai i valori dell’antifascismo che ho appreso alla scuola di Garosci e Galante Garrone, non mi sento tuttavia di approvare il ddl Fiano. In passato vennero ammesse persino delle liste elettorali che contenevano la parola fascismo senza particolari problemi.
Una democrazia che ricorre a leggi speciali rivela la sua debolezza.
Non è con le leggi che si contrasta la propaganda avversaria, ma con la mobilitazione sul piano delle idee.
Andare oltre la legge Scelba, ad oltre 70 anni dalla caduta del regime, appare un gesto politico che magari centra l’obiettivo di ricostruire una certa verginità politica di sinistra al PD renziano, ma non risulta utile ai fini di affermare i valori intramontabili della tolleranza. Anche andando oltre Popper.
La tolleranza di Voltaire che dopo due secoli è diventata rispetto per tutti, anche per quelli di casa Pound che ci disgustano e ci preoccupano come democratici come liberali,anzi direi come cittadini.
Casa Pound si richiama ad un poeta che alcuni considerano grande e che a me è sempre apparso molto oscuro. Il fatto di aver simpatizzato con il fascismo gli costò carissimo proprio per iniziativa dei suoi compatrioti americani che lo dileggiarono. Ma essere stato vicino a Mussolini anche durante la repubblica di Salò non poteva non avere dei costi, anche per un poeta che diventò, di fatto, un propagandista del regime nazifascista.
Questo andrebbe ricordato e documentato per evidenziare l’assurdo del fatto di richiamarsi a Pound in un contesto storico in cui egli appare un sopravvissuto del tutto inattuale che va rifiutato per le sue idee spesso confuse e pasticciate, oltre che non condivisibili.
Liberato dagli americani stava lunghi periodi a Rapallo e io ho conosciuto persone che hanno intrattenuto con lui dei rapporti. Certo non era il “fascista libertario” di cui qualcuno ha scritto, ma semmai un vecchietto deluso, ormai al tramonto.
Qualche masnada di ragazzetti esagitati in piazza non potranno né oggi né mai mettere in pericolo istituzioni che hanno garantito la libertà a tutti per tante decine d’anni.
Non riduciamo un problema serio com'è quello delle istituzioni democratiche, a terreno di scontro a colpi di battute semplicistiche che non aiutano ad uscire dalla palude in cui siamo.
Per uscirne occorrono idee che pare manchino assolutamente. Se possibile, idee nuove, capaci di guardare avanti e non indietro.
Pier Franco Quaglieni

il Torinese, 11 luglio 2017

Nessun commento:

Posta un commento