NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 11 novembre 2017

AL RE GIOVINE

da L'illustrazione Italiana 7 giugno 1925, numero speciale per il giubileo dei 25 anni di Regno


Questa Ode fu dettata da Gabriele d’Annunzio venticinque anni or sono, e ora fa parte del secondo libro delle Laudi, « Elettra ».

Quando abbiamo chiesto al Poeta di ripubblicarla in occasione del Giubileo Regale, Egli ci ha risposto: «Approvo la ristampa dell'Ode.... Forse stasera o domani scriverò io

stesso una breve nota, firmandola, come rinnovato saluto del Profeta monocolo. »

Ma, sùbito dopo questa lettera, nuovi avvenimenti sono venuti a togliere alla sua solitudine il
Trappista del Vittoriale. E la «breve nota» non è stata scritta: in altro modo Gabriele dAnnunzio celebrerà l’anniversario solenne.
Noi però non vogliamo omettere di far notare l’alto valore profetico di questa Ode, che fu scritta — si ricordi! — in uno dei momenti più oscuri e dolorosi della storia d Italia, quando ogni mèta più audace poteva sembrare sogno o foiba. L’anima insonne della nuova Italia, che già ascolta « gli eroi — favellare nella notte ingombra », ha la sua prima voce in questo canto ; la coscienza della continuità del Risorgimento nella Nazione ridesta segna il preannunzio dei futuri eventi; il destino del Re Vittorioso è intravisto, con mirabile scorcio, in forza d’un ardente anèlito dell’anima. 
Per questo l’Ode è veramente l’opera d’un Vate, nel più profondo senso della parola, che significa veggente e profeta.




Nella gran bandiera
che agitarono i vènti marini
a poppa della nave guerriera

tutt’armata di ferro gigante

contra i ferrei destini,
nella gran bandiera
di battaglia e di tempesta
avvolgi il tuo padre esangue,
coprigli la bianca testa,
consacragli il petto forte
con quella croce raggiante,
o tu, della purpurea sorte
erede, che navigavi il Mare,
Giovine, che assunto dalla Morte
fosti Re nel Mare!


Avvolgi il tuo padre
nell’insegna che attese la gloria

sopra le acque così lungamente;

componilo sul carro scemato
del bronzo possente;

dagli a scorta mute squadre
che in arme sognino la vittoria

pel sangue non vendicato

sul deserto ardente;
nella luce dell’ Urbe fatale,
nel silenzio delle scorte
e del tuo dolor regale,
accompagna il tuo padre clemente,
o tu che chiamato dalla Morte
venisti dal Mare.


Accompagna il padre
alla tomba ove già l’avo dorme,
nel tempio sublime
che alzò su colonne
di granito la forza di Roma.
La romba degli inni austeri
come un turbine all’ultime cime

rapisca i tuoi pensieri

nuovi, oltre la tomba, oltre l’altare.
E i grandi pensieri

ti facciano insonne; e Roma
e la sua Fortuna dalla chioma

terribile ti facciano insonne,

Gioyine, che assunto dalla Morte
fosti Re nel Mare.


Tu non dormirai
se il tuo cuore è degno che lo morda
l’avvoltore violento;
tu non dormirai
se de’ tuoi nervi indurati
attorca tu la corda
per l’arco che t’è innanzi lento;
tu non dormirai
se tu oda la voce dell’Urbe,
sepolcrale e marina,
non voce di volubili turbe
ma d’immutabili fati,
ma dell’anima eterna latina,
o tu che chiamato dalla Morte
venisti dal Mare.

Tu non dormirai
se degni sieno i tuoi occhi

di contemplar l’orizzonte

che il Quirinal discopre
al dominatore;
tu non dormirai
se le tue mani sien pronte
alle lotte ed all’opre,
alla spada ed al martello,
a foggiar per la tua fronte
un’altra corona di ferro
col ferro d’un altro Salvatore
sopra l’incudine d'un altare,

Giovine, che assunto dalla Morte
fosti Re nel Mare.


Non dormimmo noi
nella notte solenne
quando passò per l’ombra
d’Italia il funereo convoglio
che portava il buono infranto cuore.
Non dormimmo. Ascoltammo gli eroi
favellare nella notte ingombra.
Ascoltammo il fragore
dei carri nel venta d’estate.
Tremammo. Più del cordoglio
poterono le speranze alate.
Per l’ombra era un fremito di penne.
Lampeggiavano i monti e le coste.

Gravido di vita e di morte

anelava il Mare.

Tremammo di forza
chiusa e di volontà raccolta;

fummo ebri d’un sogno virile.

Sentimmo nei polsi robusti
ardere la febbre civile.

Sentimmo nel suolo profondo
rivivere gli iddii vetusti.

Ebri di presagi augusti,
vedemmo ancora sul mondo

splendere il latin sangue gentile.

Ascoltammo gli indigeti eroi
favellare nella notte ingombra.
Seguimmo nell’ombra
infinita il volo della Morte
lungo il patrio Mare.


E dicemmo: « Passa
lungo il patrio Mare,

Maestà della Morte!
Alza gli spirti; fa palpitare
il popolo che veglia

nella notte balenante.

Genova ti saluta
sul suo golfo magnifica e forte,
coronata di baleni.
La Spezia ti saluta,
in vista dell’Alpe, austera e forte,
coronata di baleni.
Salutano il tuo passare
le due madri delle navi, o Morte,
veglianti sul Mare.

Più grande saluto
avesti tu mai?

Ma, giunta alla mèta, tu avrai
il saluto del Sole e di Roma.

E il nuovo destino, segnato
dal sangue regio, avrà nella nuova
luce principio solenne. »»
Per l’ombra era un fremito di penne.
Lampeggiavano i monti e le coste.

E dicemmo: « O Italia, o Italia,
non ti vedremo noi su l’alba,
per questo buon sangue che ti giova,
per la divina prova
di questa sacrificale morte,
rifiorir nel Mare?»

E dicemmo: «O Italia,
Italia sonnolente,
alfine ti svegli
tu dal tuo sonno vile?
Ahi sì lungamente
sotto il sole giaciuta
con l’obbrobrio senile,

tra le mani dei vegli

scaltri che t’han polluta,
che di te han fatto strame
docile all’ignavia loro
e d’ogni tuo nobile alloro
una verga per batter la fame,
non senti l’odor della morte?

Oh nuova sul Mare!»

Così noi dicemmo,
questo sognammo ascoltando

il fragore dei carri nel vento

d’estate per la funebre notte
recanti alla tomba il re spento,
al silenzio di Roma, alla pace.
Questo pregò sotto il firmamento
ingombro la nostra ansia seguace.
Or chi sarà l’eroe che attendiamo,
il pastor della stirpe ferace?

Tendi l’arco, accendi la face,
o tu che chiamato dalla Morte

venisti dal Mare,

Giovine, che assunto dalla Morte
fosti Re nel Mare!


T’elesse il Destino
all’alta impresa combattuta.

Guai se tu gli manchi!
È perigliosa l’ora.
Ma tu sai che il periglio
è la cintura pe’ fianchi

dell’eroe. Dal sangue vermiglio

fa che nasca un’aurora!
La fortuna d’Italia
prese l'ali sul campo

d'una battaglia perduta.

Ricordati d’un altro padre
partito per un più triste esiglio,

Giovine, che .assunto dalla Morte

fosti Re nel Mare.

T’elesse il destino.
Ricòrdati del fìgliuol vinto
che cavalcò quel giorno
tra la Sesia e il Ticino
verso il bianco maresciallo.

Rifiorla l’itala primavera
tra i dolci fiumi; e il re sardo

scese dal suo cavallo

per segnare il duro patto.
Tutto fu nemico intorno.
Egli disse al suo cuore gagliardo:
« Sopporta, o cuore, e spera!»
Ricòrdati di quel ritorno

tu che chiamato dalla Morte

venisti dal Mare.

Egli volle Roma,
egli ebbe il Campidoglio,
egli, ha pace nel Tempio romano.
Che vorrai tu sul tuo soglio?
Quale altura è il tuo segno?
Miri tu lontano?
È largo quanto il tuo orgoglio
il gesto della tua mano?

Sai tu come sia bello il tuo regno?
Conosci tu le sue sorgenti

innumerevoli e la forza

nuova o antica delle sue correnti?
Ami tu il suo divino mare,

Giovine, che assunto dalla Morte
fosti Re nel Mare?


T’elesse il destino
all’alta impresa audace.

Tendi l'arco, accendi la face,
colpisci, illumina, eroe latino!

Venera il lauro, esalta il forte!
Apri alla nostra virtù le porte
dei dominii futuri!

Ché, se il danno e la vergogna duri,
quando l’ora sia venuta,

tra i ribelli vedrai da vicino

anche colui che oggi ti saluta,
o tu che chiamato dalla Morte
venisti dal Mare,

Giovine, che assunto dalla Morte
fosti Re nel Mare.






Nessun commento:

Posta un commento